(Questo articolo è stato pubblicato il 4 aprile 2024)
Un governo che balbetta, una multinazionale (Stellantis) che cerca con furbizia di scaricare tutte le responsabilità sulla politica, un sindacato, quello dei metalmeccanici che, dopo anni di divisioni nelle battaglie alla Fiat e nelle richieste di rinnovi contrattuali, ora sembra ritrovare l’unità per cercare di contrastare quella che potrebbe essere la fine dell’industria dell’auto in Italia. Questo lo scenario della nuova crisi Stellantis che è apparso chiaro ieri (mercoledì 3 aprile), dopo l’incontro a Roma nella sede del ministero pomposamente ribattezzato dal governo Meloni: non si chiama più banalmente ministero dell’Industria, ma addirittura Mimit, ministero delle Imprese e del Made in Italy. Eppure, nonostante gli sforzi propagandistici del ministro, Adolfo Urso (ex Alleanza nazionale, ora Fratelli d’Italia), che ha organizzato perfino un meeting per esaltare le magnifiche sorti della manifattura italiana, la crisi dell’automotive è ormai palese.
I sindacati sono molto preoccupati: “Chiediamo un rilancio dello stabilimento che passa attraverso la produzione di nuovi modelli, di progetti per gli ingegneri e i tecnici, e di assunzioni di giovani. Senza questi punti, il rischio è che tra sette anni Mirafiori chiuda per consunzione, in quanto tutti gli addetti saranno in pensione. Questo determinerebbe l’ulteriore impoverimento di Torino”. Si è espresso così, senza tanti giri di parole, il segretario generale della Fiom Cgil di Torino, Edi Lazzi, subito dopo l’incontro convocato a Roma dal ministro Urso sul caso Stellantis. I sindacati dei metalmeccanici, unitariamente, hanno dato un giudizio netto sulla riunione: nessun passo avanti rispetto alle dichiarazioni dell’azienda sugli esuberi in Italia. L’amministratore delegato di Stellantis, Carlos Tavares, solo due settimane fa aveva promesso “un milione di auto prodotte in Italia”. Poi però si è scoperto un piano esuberi da 3.600 addetti in tutti gli stabilimenti. Per i sindacati, la scelta è stata quindi quasi obbligata: sciopero unitario a Torino il 12 aprile prossimo.
“Le risorse chieste da Stellantis, a sostegno delle cosiddette ‘condizioni abilitanti’ di competitività non possono sostituire gli investimenti propri dell’azienda e determinare le scelte di allocazione di nuove piattaforme e modelli”, ha spiegato, dopo l’incontro ministeriale inconcludente, Samuele Lodi, segretario nazionale della Fiom Cgil e responsabile settore mobilità, che sollecita il governo a convocare a Roma l’amministratore delegato della multinazionale, Tavares. Una richiesta sostenuta anche dalla Cgil nazionale, come ha detto il segretario confederale Pino Gesmundo: “Risulta a questo punto necessaria una convocazione a Palazzo Chigi dell’amministratore delegato per chiarire le reali intenzioni del gruppo in Italia e dare le giuste garanzie richieste a salvaguardia di uno dei settori strategici per l’occupazione e l’economia del nostro Paese”.
E l’azienda che dice? Per ora la strategia di comunicazione della multinazionale assume il tono mellifluo delle rassicurazioni per il futuro. Davide Mele, responsabile Corporate Affairs del gruppo in Italia, ha ribadito che “lo stabilimento di Mirafiori è il cuore pulsante di Stellantis”. Il manager non parla di un nuovo modello, ma spiega che “la 500 elettrica raggiungerà target ambiziosi a Mirafiori, numeri a tre cifre”, il che vuol dire quota centomila unità grazie agli incentivi che possono portare il 120% in più di produzione. Quanto alle Maserati, sottolinea Mele, “stiamo lavorando per l’elettrificazione sulla piattaforma Folgore dei nuovi modelli da produrre: oltre alla Gran Turismo, entro giugno la nuova Gran Cabrio”.
Alla faccia della modernizzazione e dell’esaltazione delle strategie di mercato, si ripropone dunque la vecchia scena dei rimpalli. Da una parte un’azienda (che ha ancora scandalosamente il monopolio della produzione nazionale di automobili), che chiede soldi pubblici per poter andare avanti. Dall’altra, un governo (questa volta di destra-destra) che rilancia la politica delle tre carte e accusa Stellantis di scelte produttive deboli. Urso ha voluto infatti mettere in guardia l’azienda sui bonus per l’auto: “Se Stellantis non produce auto che corrispondono alle richieste del mercato, questi incentivi andranno ad autovetture prodotte all’estero e poi immatricolate in Italia, e questo non ce lo possiamo permettere”.
Per ora, dunque, l’unica certezza riguarda l’ingente utilizzo di ammortizzatori sociali, che però, per le carrozzerie di Mirafiori, è previsto fino alla fine dell’anno, unitamente al piano di uscite volontarie incentivate. Il lavoro delle parti, avviato il 6 dicembre dell’anno scorso, e dei relativi tavoli tecnici, viene così rimesso pesantemente in discussione, anche se al tavolo della crisi Stellantis si sono seduti tutti gli attori del settore, con l’obiettivo di portare la produzione di veicoli almeno a un milione di unità e così salvaguardare anche la tenuta occupazionale nel nostro Paese, partendo naturalmente dagli stabilimenti Stellantis e dall’intera filiera, senza escludere quelle migliaia di lavoratori e lavoratrici impegnati nella logistica, nei refettori e nei lavori di pulitura dei vari siti.
Così lo scetticismo e i timori dei sindacati crescono. “Per l’ennesima volta hanno ribadito gli stessi concetti – ha detto ancora Edi Lazzi, segretario Fiom di Torino –, ma il Battery Technology Center, l’Hub di Economia Circolare, la produzione di cambi elettrificati Dct, l’incertezza delle future produzioni delle Maserati 100% elettriche, la sola produzione della 500 Bev, non sono assolutamente sufficienti per garantire l’occupazione e il rilancio di un polo storico della produzione italiana di auto”. La preoccupazione del sindacato dei metalmeccanici Cgil è condivisa in casa Cisl. “Giudichiamo questo tavolo non sufficiente – ha detto dopo l’incontro al Mimit il segretario della Fim-Cisl, Ferdinando Uliano –, non abbiamo avuto risposte rispetto alle nostre richieste”. Più possibilista la Uil visto che Gianluca Ficco, segretario nazionale della Uilm, ha usato la formula classica dell’incontro “interlocutorio”.
E le istituzioni? Al tavolo del Mimit sono intervenuti il presidente della Regione Piemonte, Alberto Cirio, e il sindaco di Torino, Stefano Lo Russo, che hanno riproposto il lancio di un nuovo modello per salvare Mirafiori. “Collaboreremo con l’azienda”, dicono, concentrandosi su due richieste di base: la produzione di un nuovo modello per tornare a quota duecentomila auto all’anno, e il mantenimento della direzione tecnica e ingegneristica a Torino. “La presenza di Stellantis in Italia non è a rischio perché l’Italia è il Paese in cui crediamo di poter produrre un milione di veicoli”, aveva detto al “Sole 24 ore” del 19 marzo Carlos Tavares. Dalle parole ai fatti: gli stabilimenti Stellantis italiani continuano a produrre meno della metà del milione di veicoli annunciato e i posti di lavoro reali continuano a essere ridotti. Per ora non si tratta di licenziamenti veri e propri, ma di dimissioni incentivate. Sono chiari comunque i segnali di disinvestimento. Per la Fiom, che non ha firmato gli accordi per gli esodi incentivati a livello territoriale, “siamo in presenza di licenziamenti collettivi camuffati dall’incentivo”.
Infine, qualche altro numero per completare il quadro. A Torino, Stellantis ha chiesto l’uscita volontaria incentivata di altri 1.520 lavoratori occupati in ventuno società del gruppo presenti sul territorio, su un bacino di circa dodicimila addetti complessivi. Lo stabilimento storico di Mirafiori è ormai per metà vuoto, mentre si prevedono 733 uscite incentivate nelle strutture centrali (impiegati e quadri) e trecento uscite al reparto carrozzerie. Sono questi i segnali preoccupanti che hanno convinto tutti i sindacati dell’auto a proclamare lo sciopero unitario. Una decisione a suo modo storica, visto che non si scioperava tutti insieme da almeno quindici anni. Alla mobilitazione ha aderito anche l’UnionQuadri. I tempi della marcia dei quarantamila quadri della Fiat, scesi in campo contro il sindacato nella Torino degli anni Ottanta, sono lontanissimi.