In un giorno di luglio abbiamo organizzato un appuntamento per discutere di politica e di forma partito, temi antichi e attualissimi in un’epoca di grandi trasformazioni e di salti antropologici. Lo scopo è stato quello di ridare senso a parole consumate nel corso degli anni, se non dei secoli, tentando di individuare alcuni strumenti concettuali che possano essere messi a disposizione di chi già pratica l’azione politica, o di chi decida di cominciare a impegnarsi per cambiare lo stato presente delle cose. Come punto di partenza, c’è stata una riflessione di Michele Mezza (vedi qui).
Per il resoconto della discussione (svoltasi il 9 luglio nella sede romana della Fondazione per la critica sociale) abbiamo scelto una formula ibrida fra la trascrizione integrale degli interventi e il podcast audio. Per agevolare la lettura, proponiamo quindi una presentazione molto sintetica (tipo abstract) degli argomenti dei partecipanti, a cui alleghiamo gli audio degli interventi. Siamo fiduciosi che si possano trovare, in questo forum, spunti originali per avviare, eventualmente, un approfondimento o una ricerca.
Sono intervenuti nell’ordine: Michele Mezza, giornalista e docente, Rino Genovese, filosofo, direttore editoriale di “terzogiornale.it” e presidente della Fondazione per la critica sociale, Eugenio Marino, responsabile Esteri del Pd, Agostino Petrillo, sociologo, Mario Pezzella, filosofo, Antonio Floridia, politologo, Riccardo Agostini, componente della direzione regionale del Pd, ex segretario per il Lazio di Articolo uno.
Michele Mezza: il “partito semantico”
Ripartendo dalla critica della formula dell’autonomia del politico, Mezza ripercorre la crisi della concezione della politica della sinistra, che, da un certo momento in poi, è diventata impermeabile al cambiamento sociale. C’è stata una fuga nel politicismo: i partiti della sinistra hanno fatto l’opposto di quello che raccontava Antonio Pizzinato a proposito dei tempi in cui bastava un minimo mutamento dell’organizzazione del lavoro in fabbrica per cambiare il segretario della cellula del partito. Contemporaneamente, c’è stata la perdita della capacità di rappresentanza di un’idea alternativa di sviluppo del pianeta, e, mentre cominciava la grande stagione dell’individualismo, la sinistra che basava i suoi progetti sulla classe operaia, non si è resa conto che quella degli anni Settanta non era un’alba ma l’inizio del tramonto.
Una riflessione seria dovrebbe ripartire da due esperienze, trascurate e poi dimenticate: quella dei “Quaderni rossi” di Raniero Panzieri, e quella delle scelte industriali strategiche di Adriano Olivetti, che avevano posto l’Italia al vertice dell’innovazione tecnologica. Si sono invece preferite altre strade e altre formule – sostiene Mezza – ricordando, per esempio, l’idea del partito della nazione di cui Alfredo Reichlin è stato uno dei massimi interpreti. Un partito “indistinto e plebiscitario”, che aveva già perso grandi occasioni di rinnovamento e di rimescolamento dei ceti sociali, quelli che, in un passato non lontano, avevano dato vita a movimenti come Magistratura democratica, Medicina democratica, Psichiatria democratica.
Arrivando all’oggi, si deve capire che ciò che conta non è più la materialità della fabbrica, ma un sistema relazionale che attraversa l’intera società. Di qui l’idea di un partito semantico. “Un partito in grado di individuare i livelli di contraddizioni nel processo di rinegoziazione dei sistemi di calcolo. Un partito che rifiuti il determinismo matematico e rovesci il sistema algoritmico in un modello dipendente da una variabile indipendente”. L’algoritmo è una variabile psicologica prima ancora che matematica, per cui sarebbe necessario un partito che organizzi questi livelli di conflitto con nuovi soggetti negoziali; e questi nuovi soggetti devono essere in grado di confrontarsi e contrastare in maniera concreta e proficua l’avversario, che è oggi il proprietario dei sistemi e delle procedure di elaborazione della ricerca e del calcolo.
Intervento di Michele Mezza
Rino Genovese: un “partito coalizione”
Secondo Genovese è giusto ripartire dalla critica della teoria dell’autonomia del politico e del compromesso storico, per riflettere sul declino veloce e apparentemente inesorabile di un’idea di partito. Una decadenza, quella italiana, che comunque è molto diversa da quel che è successo in altre parti d’Europa. Il nostro Paese si trova in una situazione particolare, dovuta alla circostanza che le forme di organizzazione sindacale e politica che erano state create nel corso del Novecento sono tramontate senza lasciare quasi traccia. Le radici del declino sono molto lontane, ed è giusto andarle a ripescare nella storia come ha fatto Mezza nel suo paper. “Ma nel suo intervento – dice Genovese – ci sono dei punti che convincono, altri con cui sono in disaccordo”. “Un punto su cui concordo è quello relativo alle geometrie variabili e al federalismo come caratteristiche fondanti di un partito nuovo. Convince anche l’espressione di “partito semantico”, che ha a che fare con la forte presenza della comunicazione e del linguaggio in tutte le forme della vita sociale. Non siamo in presenza soltanto di un cambiamento del modo di produzione, che pure è importante; dobbiamo confrontarci con qualcosa che riguarda la società nel suo complesso”.
Più problematico, invece, il rilancio del Marx dei Grundrisse,soprattutto laddove si teorizza che bisognerebbe concentrarsi sulle punte più avanzate dell’organizzazione della produzione. Molte delle idee di Marx sono ancora valide: per esempio, quella di considerare lo sviluppo tecnologico come il terreno di una possibile emancipazione. Ma non convince l’idea che ci sia un unico punto alto del conflitto su cui scommettere. L’idea cioè che sia necessario e sufficiente collegarsi a questo punto alto, che Marx individuava nella fabbrica. La realtà sociale, anche ai tempi di Marx, era già molto più articolata e – accanto ai punti alti dello sviluppo capitalistico – c’erano condizioni arretrate e forme di schiavismo vero e proprio. Questa compresenza c’è sempre stata all’interno dello sviluppo dei diversi modi di produzione. E si ripresenta oggi con una evidenza che non può non incidere sull’elaborazione di una nuova forma partito. Si deve dunque immaginare un partito che sia esso stesso il promotore di una coalizione sociale, non essendoci più un soggetto unico intorno a cui aggregare la conflittualità sociale. Un partito basato sull’orizzontalità al posto della verticalità, che riprenda, aggiornandolo, il modello consiliare: una formula che diventa essa stessa utopica, in quanto cerca di collegare, all’interno della coalizione sociale, le forme arretrate con quelle più avanzate che si esprimono nel modo di produzione.
Intervento di Rino genovese
Eugenio Marino: ci vuole una base sociale
Che dire oggi della forma partito? Secondo Marino, prima di tutto è chiaro che serve un partito strutturato, un partito che si collochi nel solco della tradizione dei grandi partiti, che soprattutto a sinistra sono nati anche dall’idea di Marx. Nella tradizione della sinistra, c’è sempre stata la scelta di puntare su un punto forte della produzione. Nell’Ottocento poteva essere la fabbrica. Oggi, come dice Michele Mezza, potrebbe essere l’algoritmo. Da questo punto di vista, secondo Marino, è convincente la formula del partito semanticoe delle nuove forme della conflittualità sociale. “Continuo però a pensare – chiarisce Marino – che il partito debba avere un universo preciso di riferimento, una sua base sociale, e questa non non può che essere, oggi come allora, la rappresentanza degli oppressi, la rappresentanza degli ultimi, la rappresentanza di chi è la società. Per quanto questa società cambi rapidamente, ci saranno sempre quelli che hanno meno possibilità, meno capacità, meno intelligenza, meno formazione, e quelli che lavorano con le mani, che in ogni società, per quanto avanzata tecnologicamente, continuano a esserci, che siano i rider o gli operai di una fabbrica sempre più piccola, che siano i muratori o gli imbianchini…”. Il partito deve essere in grado di rappresentare le masse anche in maniera trasversale. Una impostazione, quella proposta da Marino, che implica un ripensamento dei processi decisionali e della partecipazione, perché non basta affidarsi solo a un click o all’adesione attraverso una tessera per sviluppare la democrazia.
E ciò implica anche un ripensamento intorno al grande tema della formazione. Le questioni poste in questo forum, e in generale quelle che caratterizzano la nostra epoca, necessitano di una formazione e di un apprendimento continuo. Alla metafora del partito giraffa, cara a Palmiro Togliatti (cioè i dirigenti che sanno leggere il mondo), si deve oggi affiancare la capacità del partito di coinvolgere tutti coloro che sono esclusi o che non hanno gli stessi strumenti degli intellettuali.
Intervento di Eugenio Marino
Agostino Petrillo: un partito che si autoproduce?
Per ragionare sulla nuova forma partito, secondo Petrillo, è necessario prima di tutto mettersi d’accordo sul concetto di partito. Su questo punto la polemica è annosa, perché anche nell’ambito della scienza politica non c’è affatto uniformità di pensiero. Nel paper di Mezza è riassunta, in estrema sintesi, l’intera vicenda storica dei partiti occidentali. Rispetto alla proposta di un partito semantico,Petrillo mette in guarda su possibili fraintendimenti ed equivoci, dovuti al significato della parola “semantico”. L’equivoco potrebbe nascere da una interpretazione restrittiva, il partito della comunicazione, che ricorda le esperienze recenti del Movimento 5 Stelle, un movimento che ha provato a diventare il partito di un’intelligenza tecnico-scientifica minoritaria. Un esperimento che, come abbiamo visto, è fallito.
Bisogna fare anche grande attenzione ai rischi che si possono correre riproducendo modelli già superati dalla storia, come si è visto con i modelli di “partito notabilato”, o con i partiti costruiti solo come macchine elettorali. Risulta indispensabile prendere in esame i meccanismi di riproduzione delle élite (tema classico della politologia, già da Michels), e nello stesso tempo valutare il vero approdo di quella che è apparsa come l’utopia della liberazione attraverso Internet, che oggi deve fare i conti inevitabilmente con l’ideologia (e la pratica) della sorveglianza e del dispotismo.
Accanto a tutto questo, per avvicinarsi a un concetto nuovo di partito, è necessario riflettere sugli errori del passato, che hanno avuto come snodo centrale il rapporto tra partiti e movimenti, una questione che è rimasta irrisolta in tutta la tradizione della sinistra e del movimento operaio. I partiti possono nascere in vari modi, ma uno riguarda sicuramente il loro rapporto con i movimenti sociali. Uno dei possibili punti deboli della proposta di un partito semantico, riguarda proprio il rapporto tra questo e i movimenti. Secondo quello che propone Mezza potrebbe evidenziarsi un partito che si autoproduce, una sorta di partito “spettrale”. Per questo è necessario andare a fondo sulla questione delle radici sociali del partito, in una società, come sostiene del resto anche Mezza, in perenne trasformazione. Una riflessione che si può chiosare, intanto, con una vecchia battuta di Lukács: “Un partito è quella cosa che diviene”.
Intervento di Agostino Petrillo
Mario Pezzella: il partito sarà “ecosocialista”
Prima di tutto, secondo Pezzella, c’è la necessità di avviare una ricognizione sul concetto di socialismo, che è stato trascinato nella sconfitta dall’esito tragico del socialismo realizzato, del comunismo sovietico e, nello stesso tempo, dalla specifica storia, in Italia, del Partito socialista. Eppure dopo l’89 il socialismo avrebbe potuto essere ancora interrogato per riaprire un discorso diverso, in particolare nel rapporto complesso tra individui e istituzioni.
Il secondo punto considerato da Pezzella è stato quello relativo a una sorta di “ibridazione”, proposta da Rino Genovese, in alternativa alla soluzione del soggetto unico su cui puntare per il cambiamento. Il discorso di Mezza, però, non va letto come una separazione netta tra le punte più avanzate del progresso tecnologico e le parti più arretrate della produzione e della società. Una separazione in fondo astratta, perché l’innovazione e le tecnologie innervano tutta la società, e non riguardano solo fasce ristrette di tecnici e ingegneri, come si vede dall’uso delle stesse nuove tecnologie in settori considerati arretrati, come quello dei rider. Oggi anche quelli che una volta erano considerati i “dannati della terra” usano il cellulare e, potenzialmente, potrebbero essere coinvolti in processi di rivolta.
Il terzo elemento è la questione ecologica. Anche su questo terreno stanno saltando i vecchi paradigmi e un partito nuovo non può non tenerne conto. Sono stati fatti studi molto seri, soprattutto in Francia, che dimostrano che anche se non facciamo niente per l’ambiente, ma semplicemente procediamo così come stiamo facendo, rischiamo di andare incontro a una catastrofe nel giro di dieci o vent’anni. Sdoganando finalmente il termine socialista, un partito nuovo non potrà che essere ecosocialista, perché in gioco ormai c’è la sopravvivenza dell’umanità.
Intervento di Mario Pezzella
Antonio Floridia: i partiti non sono sostituibili con i movimenti
Preliminare alla costruzione di una nuova idea di partito, per Floridia, è l’analisi storica della crisi dei partiti che vengono dalla tradizione socialista e del movimento operaio. Sulla genesi dei partiti, dice Florida, risultano tuttora validi gli studi di Rokkan, che individuava quattro grandi “fratture” sociali. In particolare i partiti socialisti nacquero dalla frattura tra capitale e lavoro. Non sono però le fratture a determinare il partito, ma l’azione del gruppo dirigente che riesce a politicizzare i conflitti.
Invitando a rifuggire da qualsiasi determinismo sociologico o storico, (anche perché lo schema dei partiti che si sono estinti non è riproducibile), Floridia si chiede quale funzione possano svolgere oggi i gruppi dirigenti politici perché – alla luce di quello che abbiamo visto negli anni – i partiti non risultano sostituibili con i movimenti sociali. Il nodo che non si può eludere, infatti, è quello del rapporto con il potere e le istituzioni. Solo i partiti possono affrontare la questione. Quindi oggi, ammesso che sia giusta una visione della società segnata solo da frammentazione e individualizzazione, questo esige un surplus nella costruzione di un’alternativa. Un partito come soggetto politico collettivo in grado di unificare e ricomporre segmenti sociali,che, altrimenti, resterebbero separati e perfino incompatibili tra loro. Chi può farlo questo lavoro di ricomposizione se non un partito? E, da questo punto di vista, non si tratta di individuare quella parte della società che deve essere rappresentata dal partito, ma pensare che sia il partito stesso a costruire una società, a costruire il suo “popolo”, come ha scritto di recente Etienne Balibar sul “manifesto”.
Oggi non possiamo utilizzare i vecchi schemi che determinavano le funzioni dei partiti, ma qualcosa rimane valido. Un partito deve tenere insieme tre livelli: anzitutto, una filosofia pubblica, cioè una visione generale della società del futuro; il secondo è quello delle grandi aree programmatiche, che riguardano le scelte in tema di lavoro, formazione, eccetera; il terzo livello è quello delle policy. Per fare un esempio di come queste cose oggi manchino, si può fare riferimento al Pd, che, essendo un partito “post-ideologico”, ha pensato che ci si potesse basare solo sui programmi, sulle policy. Ma così non può funzionare.
Per arrivare alle proposte di Mezza, è molto importante la parte che riguarda lo sviluppo della democrazia deliberativa interna. Si tratta di far nascere un partito che sappia costruire un discorso pubblico articolato, diffuso, unico modo per attirare militanti che devono essere coinvolti secondo le nuove forme della comunicazione. Infine, anche se i modelli passati sono irriproducibili, sarebbe comunque utile andare a studiare le esperienze concrete dei partiti laburisti e socialisti nel mondo.
Intervento di Antonio Floridia
Riccardo Agostini: non nascerà un partito nuovo senza un’idea alternativa di sviluppo
Probabilmente si dovrebbe partire dalla domanda “a che cosa servono i partiti?”, anche alla luce di quello che è successo negli anni. Vista la provenienza storica dei fondatori dell’Europa (per lo più dalla tradizione socialdemocratica), e visto poi l’approdo alla cultura neoliberista, il primo punto ragionamento proposto da Agostini riguarda l’origine della crisi attuale, da considerare un effetto della crisi dei valori post-89. La caduta del Muro avrebbe cioè prodotto, sia sui partiti comunisti occidentali sia su quelli socialdemocratici e socialisti, un arretramento rispetto alla loro funzione storica, tanto nei loro Paesi quanto nella costruzione della nuova Europa. Il partito viene sempre più spesso relegato alla semplice gestione dell’esistente a livello nazionale. Anche il Pd non è un partito ma un contenitore, che ha l’unico obiettivo di essere garante delle istituzioni democratiche esistenti. La sua marca è stata quella di tentare di mitigare le politiche neoliberiste degli ultimi venticinque anni.
È tramontato il “partito dei funzionari”, cioè quello della formazione e del lavoro sul territorio. C’è stato anche un passaggio dal lavoro politico nel sindacato, o nel movimento delle cooperative e nelle associazioni, al partito. Si è arrivati al “partito del notabilato”, basato su gruppi di dirigenti che esercitano prevalentemente la loro funzione dentro le istituzioni, a livello nazionale e locale. All’interno di questo modello la selezione avviene sulla base dell’affidabilità al capo-componente di turno, o al segretario di turno. I dirigenti, secondo Agostini (che ha proposto una breve ricostruzione della storia del Pd, nato al Lingotto per iniziativa di Walter Veltroni), non rappresenterebbero più la linea politica del partito, come all’epoca dei funzionari, ma la gestione di un pezzo di lavoro. Il modello lanciato da Veltroni ha permesso a un’organizzazione, prevalentemente elettorale, di governare nella logica della gestione dell’esistente. Non è neppure un caso che sia stato poi Enrico Letta a cancellare definitivamente il finanziamento pubblico ai partiti.
In una fase come quella attuale, caratterizzata da varie crisi che si sovrappongono (finanziaria, ambientale, ecc.), è fondamentale riaprire la discussione sul partito. Ma perché ci si iscrive a un partito? La risposta sta nella proposta di un programma fondamentale. Il partito deve essere portatore di un’idea di società. Il problema principale, quindi, è quello di mettere in campo un’idea di modello di sviluppo, basata su una critica radicale al modello capitalistico dominante. Si deve prendere atto che, negli ultimi vent’anni, c’è stata una vera controrivoluzione. Per questo oggi è essenziale, per un partito di sinistra, rimettere al centro della sua azione un programma fondamentale, tenendo conto di un dato ormai evidente: la dimensione nazionale del dibattito e della costruzione delle politiche non è più sufficiente. Oggi il vero terreno è l’Europa. Un partito nuovo di sinistra non potrà che essere la sezione nazionale del Partito socialista europeo. Perciò sarebbe fondamentale proporre una legge sui partiti.
Intervento di Riccardo Agostini
Replica di Michele Mezza
Quelle di Mezza non sono state delle vere e proprie conclusioni di un dibattito che va considerato come un primo piccolo passo. Stiamo cercando di trovare dei compagni di strada per riaprire un discorso – ha detto Mezza – che ha preferito utilizzare il tempo a disposizione per chiarire alcuni equivoci.
Primo. Partito semantico non significa semplicemente comunicazione. Oggi tutta la nostra esistenza è solo algoritmo. “Fuori dall’algoritmo è solo paccottiglia”, secondo Mezza. Anche tutte le parole usate durante il forum, in fondo, non sono davvero nostre: le abbiamo mutuate da vocabolari digitali, motori di ricerca, sistemi semantici che hanno dei proprietari. Per questo, se non contendiamo la titolarità delle parole e dei vocabolari, la partita non si riapre. Anche chi sbarca a Lampedusa si orienta nel mondo con un telefonino.
Secondo. A proposito della necessità di trovare un’alternativa allo stato di cose presente, come suggerisce Riccardo Agostini: è ovvio che l’alternativa consiste nella proprietà dei sistemi di calcolo, che hanno in mano la sensazione di benessere di cinque miliardi di persone, mentre noi siamo ancora rinchiusi nel salottino europeo. Per l’Europa, però, “la ricreazione è finita”.
Terzo. Perché la rete dovrebbe essere democratica, in assenza di un partito che lo chieda? Sarebbe terribile – dice Mezza – se una tecnologia fosse buona di per sé. La storia è lotta di classe, ma, come dice Buffet, l’hanno vinta “loro”. Lotta di classe oggi è organizzare conflitti che attraversino la capacità e la potenza di calcolo e, citando Giuseppe Di Vittorio, se non si vince nel punto più alto dello scontro, non si tutelano neanche i cafoni.
Quarto. Il punto è un partito che cambi le ragioni di scambio. Questo è il nodo: alterare i processi produttivi. Non è possibile pensare a una organizzazione politica al di fuori dei circoli di notabilato elettorale, senza armare questo livello di scontro.
Quinto. Essere in sintonia con il nuovo è fondamentale anche per il fatto che, tra una decina d’anni, ci saranno ragazzi che non ricorderanno nulla di quello che è stato. E questo potrebbe anche essere un fatto positivo, visto il bilancio che ci hanno lasciato i vecchi partiti. La vicenda di come erano i partiti una volta è chiusa per sempre. “Non ci serve più a niente quello che era” – sostiene Mezza.
Sesto. Allora il problema è: come parlerà la politica a una generazione che nasce in un circuito di relazioni determinate dalla potenza di calcolo e dalla pianificazione? Questa è la domanda intorno a cui ricostruire un’alternativa. Per questo il carattere di fondo del partito semantico si basa sulla provvisorietà, la momentaneità, l’istantaneità tra attenzione (non partecipazione) e decisione. Vuol dire rispondere a una modalità connaturata a questi processi.
Settimo. Il lavoro è ormai ben misera cosa nel processo di valorizzazione delle merci. “Dopodiché, avendo la potenza accumulata, avremo un processo di solidarietà per assicurare civiltà di vita a tutti – precisa Mezza –, ma non saranno quelli (i lavoratori) i titolari del processo, non saranno loro i becchini del capitalismo”.
Ottavo. Ci si è ormai spostati su un terreno psico-relazionale, in cui il conflitto è un processo linguistico. Ed è su questo terreno che deve stare un partito nuovo, un partito semantico, che produce le sue parole e non si limita a mutuarle. In uno scenario che – più che di masse diseredate a cui dare risposta – si compone di moltitudini di individui desideranti, che auspicano di essere diversi prima di tutto da quelli che hanno al loro fianco.
Replica di Michele Mezza