Mentre ancora non è spenta, in tutta Europa, l’eco sollevata pochi giorni fa dalla drastica decisione presa dal sindaco di Barcellona, Jaume Collboni, che ha stabilito di chiudere pressoché definitivamente con la stagione degli affitti temporanei (vedi qui), ecco che in Italia giunge una sentenza del Tar della Toscana, che sembra procedere esattamente in direzione opposta. I giudici amministrativi hanno infatti dichiarato “improcedibili” i ricorsi che erano stati presentati contro lo stop agli affitti temporanei in area Unesco, voluto dall’ex sindaco di Firenze, Dario Nardella.
I giudici non sono scesi nel merito del provvedimento concepito dalla giunta comunale di Firenze, si sono limitati a un rilievo “tecnico”: i ricorsi non possono nemmeno essere presi in considerazione, dato che la norma restrittiva non è stata inserita dal Comune nel nuovo Piano operativo comunale (Poc), ed è quindi da ritenersi superata. In parole povere: non essendo stata reintrodotta la limitazione alle nuove licenze nello strumento pianificatorio approvato recentemente, la delibera dell’ottobre scorso è da considerarsi decaduta, anche in mancanza di una variante che la riproponesse. Esultano le associazioni dei proprietari e il Codacons, da oggi è possibile nuovamente presentare domande per ottenere la licenza per affitti temporanei nel centro storico.
Nardella da Bruxelles, dove ricopre ora il ruolo di deputato europeo, si mostra contrariato, e si appella alla costruzione di una legislazione dell’Unione sulla questione, mentre la nuova sindaca, Sara Funaro, ha dichiarato che intende procedere nella direzione avviata lo scorso autunno, e che presenterà una variante al Poc, in cui riapparirà la limitazione delle licenze. È in ogni caso evidente che lo strumento urbanistico, che già Nardella aveva utilizzato per introdurre il provvedimento, che si rifà al Testo unico per l’Edilizia, è uno strumento debole giuridicamente, anche perché ha validità e capacità di azione solo nell’area Unesco, e le norme particolari che vorrebbero regolare gli affitti nella zona rischiano di essere in contraddizione con l’utilizzo di uno strumento di pianificazione più generale, come appunto ha notato il Tar.
Tuttavia, a prescindere da questi aspetti tecnico-giuridici, rimane il fatto che, quello che è stato il primo tentativo di regolare gli affitti brevi nel Paese, pare per ora finito in maniera miserevole. Ormai, in quasi tutte le grandi città turistiche europee, sono stati introdotti dei sistemi di regolazione: è stato inserito un limite temporale o zonale alle locazioni brevi, e vengono richieste, per queste attività, una licenza e non un semplice sistema di registrazione. In alcune città, è stato introdotto un obbligo di residenza per il proprietario che desidera svolgere quest’attività in forma non imprenditoriale. Ciò ha reso la vita difficile a quei proprietari che affittano il proprio appartamento per mezzo di società intermediarie, e l’attività di gestori che svolgono quest’attività per una pluralità di appartamenti. In altre città, sono stati stabiliti degli accordi di cooperazione con le piattaforme di prenotazione, che si sono impegnate a bloccare gli annunci irregolari cancellandoli dalla piattaforma stessa.
In Italia si avverte sempre più la mancanza di una legge nazionale, e c’è inoltre un problema estremamente complesso di ripartizione delle competenze, perché il turismo è di competenza normativa regionale, mentre la locazione è di competenza nazionale. Né ha fatto chiarezza su questi aspetti il disegno di legge Santanché, che si è limitato a prescrivere un numero minimo di pernottamenti e sanzioni agli affittuari irregolari. Va anche rilevato che la Toscana è la prima regione italiana per il giro di affari degli affitti temporanei, con un fatturato di 1,3 miliardi di euro. Il rischio della museificazione incombe su molte città storiche italiane: Venezia, Firenze, Napoli. Sappiamo che la funzione residenziale nei centri storici è particolarmente vulnerabile, e dovrebbe per questo essere ancora più attentamente tutelata: le unità immobiliari, in queste aree, hanno infatti dei costi molto elevati e degli ingenti costi di manutenzione. Quindi lo spopolamento dei centri delle città è sicuramente favorito dagli affitti brevi, ma fa parte di un fenomeno complesso. Per questo, anche se riuscissimo a ridurre la pressione degli affitti brevi, non risolveremmo immediatamente tutti i problemi; ma potrebbe essere un inizio, un segnale di una nuova e diversa attenzione ai centri storici.Anche perché, se vogliamo andare alla radice dei problemi, la stessa etichetta Unesco, sotto il cui ombrello era nata l’iniziativa di Nardella, è per alcuni versi a doppio taglio, come notava Marco D’Eramo nel suo libro sul Selfie del mondo: l’etichetta dell’Unesco non è che la consacrazione di un potenziale urbanicidio. Se, sulla carta, l’etichetta dell’appartenenza al patrimonio mondiale dell’umanità attribuita dall’Unesco ha come obiettivo l’identificazione, la tutela e la trasmissione alle generazioni future del patrimonio culturale e naturale di tutto il mondo, essa finisce però per legarsi strettamente al turismo. “L’etichetta Unesco non è causa del turismo, ma è il suo certificato di legittimità… È la sua copertura ideologica in quanto istituzione preservazionista a fin di bene”.
Così l’etichetta Unesco funziona anche come potente marker turistico. L’etichetta di “patrimonio dell’umanità” finisce per paralizzare e mercificare il sito scelto. La crociata di salvaguardia e preservazione dell’Unesco rischia, troppo spesso, di mettere capo alla distruzione dei siti etichettati, sia per l’edificazione delle necessarie strutture di accoglienza, sia per l’eliminazione di attività creative legate alla cultura locale e alla sua identità. I luoghi di produzione vengono “espulsi” dal centro, e non per mancanza di apprezzamento da parte dei turisti, ma perché non riescono a tenere il passo con le dinamiche dei valori immobiliari alimentate dalla turistificazione. Ed è evidente la difficoltà delle attività che non riescono a garantire un’adeguata redditività: non riescono a stare sul mercato, anche se il loro prodotto è apprezzato, come appunto è il caso di molte attività artigianali. Ma le città-museo sono città morte, che espellono e respingono gli abitanti. Città-scenario da cui scompare la vita. Per questo insieme di motivi, la regolamentazione in questi luoghi è particolarmente difficile, non va intesa necessariamente come limitazione. Una buona regolamentazione può aiutare le attività economiche. Le locazioni brevi sono chiaramente attività di ricettività turistica, quindi occorre chiarire in quale quadro questa attività vada svolta e trovare poi gli strumenti adeguati, che possono anche essere diversi dalla cura da cavallo prospettata dal sindaco di Barcellona. Ma sembra che questi discorsi di semplice ragionevolezza non si possano fare in una nazione in preda alla retorica, e in cui si favoleggia che il turismo possa diventare la prima industria del Paese.