Chi discende da una famiglia che ha fatto la resistenza contro i nazisti con Charles De Gaulle e il suo movimento France libre (e, da parte di madre, dalla importante famiglia ebrea ashkenazita Goldschmidt, alla quale apparteneva la nonna Nicole, anch’essa attiva nella resistenza) dovrebbe, conseguentemente, essere un oppositore di Marine Le Pen, leader di un’estrema destra che domenica scorsa ha subito, pur restando il primo partito, una pesante sconfitta. Ormai però chi fa questi ragionamenti, logici ma semplicistici, può essere tacciato di essere rimasto fermo al secolo scorso. Lo dimostra il caso del potente Vincent Bolloré, una sorta di Berlusconi francese, sponsor appunto dei neofascisti d’Oltralpe, del tutto indifferente alla storia dei suoi avi. Nel suo caso, come in altri, quei parametri sono saltati completamente, e il coraggio del padre Michel e della nonna Nicole sono stati dimenticati.
Quello che conta è la convenienza politica o affaristica. Tutto il resto è noia, come scriveva un noto cantautore romano. Così il nostro uomo, attraverso l’impero mediatico del gruppo Vivendi – che controlla dal 2014, costituito da radio, televisioni e giornali –, fa da megafono al peggio della politica francese, dando fiato al motto “Dio, patria e famiglia”, con insulti agli oppositori, lotta agli immigrati considerati ovviamente dei criminali, ridicolizzazione di ecologisti e femministe, alla maniera delle orrende testate della destra nostrana. Nel suo caso, pur con tutte le differenze, il confronto con lo scomparso leader di Forza Italia, Silvio Berlusconi, viene automatico, nella misura in cui questi, nell’ormai lontano 1994, sdoganò i fascisti del Movimento sociale italiano (che divenne poi Alleanza nazionale), senza che questo partito si trasformasse, come avrebbe voluto l’allora segretario Gianfranco Fini, in una moderna forza liberal-conservatrice. Dal fallimento di quell’operazione, riemerse quello che vediamo oggi.
Ad accomunare l’imprenditore bretone al Cavaliere sono, inoltre, gli innumerevoli guai giudiziari: in particolare quando, nel 2017, tentò di acquistare proprio Mediaset, ma l’operazione venne bloccata e l’imprenditore finì indagato per aggiotaggio. Dopo essersi occupato di settori non collegati direttamente con la politica, arrivò l’ingresso nel mondo dei media: prima Canal+, poi, nel 2016 attraverso il gruppo Vivendi, l’acquisto della rete televisiva CNews, della radiofonica Europe 1 e, infine, della storica testata (oggi anche online) “Journal du dimanche”.
Il sostegno di questa rete mediatica, tuttavia, non sarà sufficiente a Le Pen per battere alle presidenziali Emmanuel Macron (nel 2017 e nel 2022). Intanto, però, il dato è tratto e, pur nella sconfitta, essere arrivati vicini alla stanza dei bottoni è già un successo, sia pure dimezzato.
L’identificazione con l’estrema destra d’Oltralpe – e con una linea politica “alla Ciotti”, dal nome dell’ex gollista passato nei ranghi del lepenismo – ha avuto per Bolloré un riscontro economico molto rilievante. Secondo quanto riporta la testata online “EuropaToday”, “lo spostamento a destra ha premiato le piattaforme di informazione, con un aumento di pubblico e di introiti. La rete CNews, per anni in perdita, è riuscita a generare profitti, riuscendo in maggio a battere per la prima volta il suo principale concorrente BfmTv. Il successo dei conduttori televisivi sta trainando anche Europe 1, la radio del gruppo, per anni in perdita di ascolti. Secondo il Bloomberg Billionaires Index, Bolloré – continua “EuropaToday” – vanta ora un patrimonio complessivo netto di 8,4 miliardi di dollari, con la holding di famiglia che detiene circa il 30% di Vivendi. Dai media puri, Bolloré è poi passato alla produzione e distribuzione cinematografica, alla pubblicità, ai libri e alle riviste. In tutti i canali di business rimane la stessa impronta: idee spostate a destra e di stampo conservatore”.
Questo avviene attraverso una scelta attenta degli ospiti nelle varie trasmissioni televisive, “che ha legittimato una certa visione del mondo”, ha dichiarato all’agenzia Bloomberg Safia Dahani, ricercatrice specializzata nell’estrema destra presso l’Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales di Parigi. Il pubblico viene bombardato continuamente da messaggi e idee politicamente orientate. Insomma, niente di nuovo sotto il sole, come dimostra anche il rapporto negli Stati Uniti tra il potente imprenditore Elon Musk e l’ex presidente Donald Trump (egli stesso del resto uomo dei media), favorito alle prossime elezioni americane di novembre. Così è stato da noi quando Berlusconi, oltre a essere proprietario delle reti Mediaset, controllava almeno due telegiornali Rai su tre.
A Bolloré, inoltre, non poteva sfuggire la grande opportunità offerta dall’Africa francofona, ma non solo. Il più grande fornitore di televisione satellitare in quell’area geografica ha messo gli occhi anche sulla sudafricana MultiChoise, che possiede a sua volta marchi importanti come DStv, SuperSport e Showmax. L’influenza del magnate e del suo gruppo non è più circoscritta all’ex impero coloniale, si estende anche all’Africa anglofona e portoghese, visto che la MultiChoice Group ha lanciato – un paio di anni fa, in Angola e Mozambico – due canali televisivi in lingua portoghese.
E gli affari di Bolloré in Africa non si limitano ai media. Ha preso in mano, tra il 2009 e il 2011, la gestione dei porti di Lomé in Togo e Conakry in Guinea; ma la magistratura ne ha chiesto il rinvio a giudizio, con l’accusa di corruzione nell’inchiesta sull’attribuzione fraudolenta della gestione di questi porti. Insomma, Bolloré rientra a pieno titolo nella categoria degli imprenditori spregiudicati, con le mani in pasta soprattutto nel mondo dei media, amico e sponsor di quella estrema destra europea che il vecchio continente, in questa fase storica, ci sta proponendo. La soddisfazione è che per questa volta il giocattolino Le Pen-Bolloré si è inceppato.