Quando l’Alleanza verdi-sinistra di Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni decise di candidare la militante antifascista Ilaria Salis, detenuta nelle carceri ungheresi, più d’uno manifestò perplessità per una sua possibile inadeguatezza al ruolo che sarebbe andata a ricoprire, e ancor più per il timore che una sua mancata elezione avrebbe potuto peggiorarne la posizione. Com’è noto, Salis era detenuta in condizioni disumane, ed era poi fortunatamente stata trasferita ai domiciliari a Budapest. L’accusa riguardava (e riguarda) procurate lesioni – reato che comporta in Ungheria fino a ventiquattro anni di carcere – ai danni di manifestanti neonazisti, quelli che ogni anno commemorano indisturbati l’orrendo Honor Day, ovvero la resistenza che le SS opposero all’Armata rossa. Evento, questo, che richiama antifascisti da tutta Europa per protestare contro un rito tollerato dalle autorità ungheresi.
L’obiettivo di liberare l’attivista, eletta come europarlamentare, è stato raggiunto, e la scelta dell’Alleanza, che ha raddoppiato i suoi consensi arrivando quasi al 7%, si è rivelata e si sta rivelando ancora più giusta alla luce di quanto continua a succedere a Budapest e in Europa. Lo scorso 29 giugno, è andato in scena un evento, se possibile, peggiore di quello che ha riguardato l’insegnante lombarda. L’episodio, passato sostanzialmente sotto silenzio, concerne la giovanissima (23 anni) Maja T., accusata come Salis di lesioni procurate a militanti neonazisti nella stessa commemorazione. Il percorso che ha portato Maja dalle carceri tedesche, dov’era detenuta, a quelle ungheresi è inquietante. Una settimana fa, la Corte d’appello tedesca ha dichiarato ammissibile il mandato d’arresto europeo spiccato dalla magistratura ungherese, malgrado le gravi condizioni in cui sono costretti a vivere i detenuti e le detenute nelle carceri di quel Paese e la sproporzione delle pene previste per reati di lieve entità. La donna, nel giro di poche ore, si è ritrovata dal carcere di Dresda in quello di Budapest. Prelevata nel cuore della notte dagli agenti tedeschi, è stata consegnata agli agenti austriaci, che a loro volta l’hanno messa nelle mani degli ungheresi. Un percorso sinistro, che evoca altri tempi. Tutto questo mentre il suo avvocato riusciva a fare accogliere una richiesta di sospensione della procedura, grazie a una decisione della prima sezione della Corte federale costituzionale di Karlsruhe, ormai però fuori tempo massimo, visto che la ragazza era già in Ungheria e aveva cominciato il suo – chissà quanto lungo – calvario nelle prigioni di Orbán. La sua condizione potrebbe essere più drammatica in quanto la giovane, o il giovane, non si riconosce nel genere binario e fa parte di quel mondo Lgbtq+ che il governo di Budapest vede come il fumo negli occhi.
Difficile ora prevedere che cosa succederà. Teoricamente, Maja dovrebbe essere riconsegnata alla Germania, ma sulla automaticità della decisione è lecito avere forti dubbi. I due Paesi rischiano uno scontro diplomatico, e quello che emerge con forza, suscitando indignazione, riguarda, da un lato, lo scontro interno alla magistratura tedesca e, dall’altro, l’incapacità del governo “semaforo” di tutelare una propria cittadina, alla quale potevano forse essere risparmiate le stesse carceri tedesche. Una decisione, quella della magistratura tedesca, ben diversa da quella presa a marzo dalla Corte d’appello di Milano per il giovane Gabriele Marchesi, accusato, sia pure più genericamente, degli stessi reati. Secondo il procuratore generale, Cuno Tarfusser, “l’Ungheria si è allontanata dallo spirito europeo”. A Gabriele furono perciò revocati gli arresti domiciliari, e all’Ungheria arrivò un bel “no” alla richiesta di estradizione.
Ricordiamo chein Germania, del resto, ci sono altri dieci antifascisti accusati dalla magistratura ungherese degli stessi reati. Si trovano nelle identiche condizioni degli altri. Latitanti, avevano fatto sapere attraverso i loro genitori che sarebbero stati disposti a consegnarsi alle autorità tedesche, a patto di non essere messi nelle mani degli ungheresi, ma, visto quello che è successo a Maja, non c’è da fidarsi, e infatti i giudici tedeschi non hanno dato alcuna garanzia. Il “trasporto” da una prigione all’altra vissuto da Maja ha suscitato le proteste e l’indignazione delle varie sinistre, in primo luogo italiana e tedesca. “Questa estradizione è uno scandalo” – ha dichiarato Martin Schirdewan, eurodeputato della Linke, per il quale potrebbe trattarsi di un regalo della coalizione di governo al regime di Orbán, in cambio dell’assunzione della presidenza del Consiglio europeo. Ilaria Salis scrive che Maja è “una persona non binaria e l’incarcerazione in Ungheria, dove gli attacchi contro la comunità Lgbtq+ sono frequenti e diffusi, rischia di esporla a grave pericolo di violenza fisica e psicologica”. “Nessuna dovrebbe essere costretta a vivere questa esperienza e subire queste ingiustizie: le estradizioni devono essere subito fermate per tutte!”.
Nel frattempo, in Italia, si assiste all’ennesima e ignobile macchina del fango, della quale è vittima appunto Salis. Attacchi che non esitiamo a definire fascisti, scatenati da chi vuole far dimenticare i reati di apologia di fascismo e nazismo, oltre che di istigazione all’odio razziale (ma, al riguardo, quando comincerà a muoversi la magistratura?) commessi da esponenti di Fratelli d’Italia e ben documentati dallo splendido lavoro di “Fanpage”, che ha fatto uscire allo scoperto la peggiore feccia. Oltre a essere una delinquente che meritava di restare nelle carceri ungheresi, l’europarlamentare è accusata di gravi reati per avere occupato abusivamente appartamenti di proprietà dell’Aler (Azienda lombarda per l’edilizia residenziale): un ente pubblico il cui patrimonio immobiliare ammonta a circa ventimila appartamenti solo nel capoluogo lombardo, arrivando a circa novantamila-centomila in tutto il territorio nazionale, per lo più non assegnati e lasciati in stato di abbandono. L’Aler pretenderebbe novantamila euro per presunti affitti non pagati da Salis, ma, secondo il suo avvocato, le cose stanno in modo molto diverso: “Ilaria Salis non ha mai avuto un contratto con l’alloggio di via Borsi 14 – ha detto Eugenio Losco in un’intervista a “Fanpage” –, nel 2008 è stato fatto un accertamento in cui avrebbero trovato la signora Salis all’interno di questo appartamento, almeno stando a quanto scritto dai giornali. Non risulta – ha precisato l’avvocato – nessun altro accertamento fino al 2024 su chi ci fosse in quell’immobile”.
Ad attaccare Salis, oltre alla destra, si è messo anche il direttore del “Fatto”, Marco Travaglio, che, all’unisono con Vittorio Feltri, ha proposto “di occupare le case di Ilaria Salis e Nicola Fratoianni” per risolvere il problema degli alloggi, nonostante il contenzioso non riguardi certo i privati cittadini e abbia tutt’altre caratteristiche. Nello stesso “Fatto” viene ospitata, invece, l’opinione di Massimo Pasquini – attivista ed ex segretario nazionale dell’Unione inquilini, storica associazione, nata nel 1968, per garantire il diritto all’abitare – intorno alla richiesta, da parte della Regione Lombardia, di pignoramento dello stipendio dell’europarlamentare a fronte dei presunti debiti. Questa storia solleva un problema ben più rilevante: “Mi attendo – dice Pasquini – che, ora, il Consiglio regionale della Lombardia chiami la giunta regionale e Aler a rispondere di quel danno erariale che dipende a Milano, e nel resto della Lombardia, dalle ben ventimila case popolari chiuse e inutilizzate per assenza di manutenzioni che le rendano agibili”. Chi attacca Salis in modo scomposto lo fa trascurando un assunto: “Se ci fossero case popolari a sufficienza – ricorda l’attivista – non ci sarebbe alcuna occupazione, le famiglie nelle graduatorie avrebbero una casa e le famiglie sfrattate un passaggio da casa a casa”. Senza mettere da parte la questione della sostenibilità degli affitti rispetto ai redditi delle famiglie, dettaglio dimenticato nel nostro Paese.
Il bilancio che possiamo fare dell’intera vicenda Salis è, malgrado tutto, positivo. Ilaria non avrebbe mai immaginato che – da una manifestazione antinazista – sarebbe nata una storia certo drammatica ma anche di riscatto e di rappresentanza delle sofferenze altrui. La quarantenne insegnante di Monza, grazie all’impegno dell’Alleanza verdi-sinistra, è diventata un simbolo della lotta contro la pericolosa avanzata dell’estrema destra in Europa, riportando a galla, nel contempo, il drammatico problema della casa con cui da decenni l’Italia convive. Gli insulti che le arrivano da destra, ma non solo, sono il segno che sta dalla parte della ragione.