Un paio di anni fa il “New York Times” pubblicava le infografiche illustrate di Mona Chalabi sulla quantità di denaro accumulato da Jeff Bezos, fondatore di Amazon. I dati, in forma di disegni colorati, rapportavano lo smisurato patrimonio di Bezos alla vita degli altri comuni mortali, come per esempio i suoi impiegati. Un dipendente medio di Amazon a tempo pieno, nel 2020, guadagnava 37.930 dollari. Per accumulare tanto denaro quanto il dirigente dell’azienda – 172 miliardi di dollari in un anno! – avrebbe dovuto iniziare a lavorare quattro milioni e mezzo di anni fa, quando gli ominidi avevano appena iniziato a stare in piedi e i mammut si aggiravano ancora sulla terra.
Nel dibattito sulle sfide globali, la questione dell’ampiezza del divario salariale e della crescita inesorabile dei miliardari di fronte alla scomparsa della classe media dovrebbe essere centrale, e, se non lo è, è perché sono essi stessi a guidare il gioco. Soprattutto per quanto riguarda l’impatto ambientale, le differenze sono allarmanti. Secondo uno studio di Oxfam e del Stockholm Environment Institute, l’1% più ricco dell’umanità è infatti responsabile di una maggiore quantità di emissioni di carbonio del 66% più povero. Il che significa che dodici dei miliardari più ricchi del mondo producono più gas serra di milioni di famiglie: gli agricoltori del Bangladesh o i venditori ambulanti thailandesi non possono nemmeno avvicinarsi all’impronta energetica dei venture capitalists californiani o degli oligarchi del petrolio della Russia e del Medio Oriente.
Personaggi come Jeff Bezos, Elon Musk e Bill Gates – ma anche Taylor Swift o Beyoncé –, con i loro favolosi stili di vita e gli investimenti in settori altamente inquinanti, contribuiscono in modo sproporzionato al cambiamento climatico. Nel 2013 Barack Obama aveva definito la disuguaglianza “la sfida principale del nostro tempo”, ma le differenze salariali sono aumentate ininterrottamente dal 1980. Gli Stati Uniti ospitano un quarto dei circa 2.700 miliardari del mondo. Il quadro è lo stesso a livello globale: il patrimonio dei più ricchi continua a salire alle stelle, mentre l’austerità post-crisi e post-pandemia paralizza lo Stato sociale democratico e, con esso, la classe media. I jet privati, le ville di ottanta stanze e le flotte di auto di lusso sono solo la punta dell’iceberg di un problema più profondo: l’allocazione delle risorse e il consumo smodato di una piccola élite stanno avvelenando il nostro pianeta.
Oltre al loro devastante impatto ecologico, i miliardari esercitano un’influenza politica, sociale e commerciale smisurata, che, fino a qualche decennio fa, era appannaggio solo degli Stati occidentali. La distruzione dell’autorità statale sul capitale è stata l’obiettivo esplicito della rivoluzione finanziaria che caratterizza la nostra epoca: perciò gli Stati-nazione sono stati spesso costretti a reinventarsi come custodi del mercato, scendendo a continui compromessi con le multinazionali gestite dai super-ricchi. Finanziando campagne elettorali, lobby e think tank, manipolano le politiche pubbliche a loro favore. L’ingerenza dei super-ricchi altera e mina inevitabilmente la democrazia: il sistema “una persona, un voto” viene a essere compromesso quando una sola persona, spesso senza meriti particolari, può avere così tanta influenza. La crescita dei patrimoni smisurati ha creato una nuova oligarchia liberista e populista, che assomiglia più a un feudalesimo capitalista che al libero scambio di Adam Smith. I giganti tech della Silicon Valley, come Google o Meta, sono più potenti della gran parte degli Stati a livello globale. I ceo miliardari agiscono come padroni, proteggendo le disuguaglianze che li hanno resi così potenti, e lasciando milioni di persone con poche possibilità di scelta sul futuro del pianeta. Senza contare le famiglie di milionari e miliardari che sono entrati direttamente in politica. Non serve citare l’imprenditore Donald Trump: basti vedere il potere della famiglia Berlusconi o quello del clan Le Pen, che ha ereditato trenta milioni di euro negli anni Settanta.
Avendo un’influenza così radicata nella cultura popolare, tramite giornali, social media, televisioni, queste persone sono idolatrate dalla gente comune. Invece di riconoscerne l’aspetto dannoso per la comunità, sono visti come un punto di arrivo, un futuro possibile e auspicabile. Vengono inoltre scambiati per esperti di qualsiasi argomento – musicisti presi come guru del commercio mondiale, speculatori immobiliari come esperti di diplomazia. Esempi fuorvianti, che fanno dei cittadini comuni le vittime di una specie di sindrome di Stoccolma, amanti dei propri persecutori.
Per riequilibrare queste disuguaglianze, e ridurre l’impatto climatico, è essenziale implementare tasse patrimoniali significative e imposte straordinarie sulle società di combustibili fossili. I fondi raccolti potrebbero essere utilizzati per sostenere i Paesi e le persone più colpite dalla crisi climatica, puntando alla transizione energetica basata sulle rinnovabili. Incredibilmente, all’ultimo G7 dallo sfondo pugliese, per la prima volta in cinquant’anni, si è parlato della tassazione progressiva per i milionari e miliardari. Paolo Pezzati, portavoce di Oxfam Italia, ha sottolineato che questa è l’unica nota positiva di un vertice che non è stato all’altezza di una risposta alle sfide della povertà e delle disuguaglianze globali. Oxfam ha proposto che una tassa del 60% sui redditi dell’1% più ricco potrebbe raccogliere 6,4 trilioni di dollari all’anno, riducendo le emissioni di 695 milioni di tonnellate, più dell’impronta del Regno Unito nel 2019. Tassare la ricchezza estrema trasformerebbe le possibilità di affrontare sia la disuguaglianza sia la crisi climatica, impedendo ai super-ricchi di continuare a saccheggiare e inquinare il pianeta.
L’idea che i miliardari possano continuare a esercitare un potere così enorme e distruttivo è insostenibile. È fondamentale limitare le possibilità, da parte di un’unica persona o famiglia, di possedere più di un intero Paese e garantire una distribuzione più equa delle risorse. Solo allora si potrà aspirare a un mondo più sostenibile.