Nel primo trimestre del 2024, il Pil dell’Argentina è crollato del 5,1% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, come conseguenza del duro aggiustamento fiscale e monetario disposto dal governo. Si è registrata inoltre una contrazione del Pil del 2,6% rispetto al quarto trimestre dell’anno scorso. L’impatto del nuovo scenario economico, dopo la svalutazione del peso e i tagli fiscali, emerge dai dati ufficiali, pubblicati il 24 giugno dall’Instituto nacional de estadística y censos (Indec). Delle quattro componenti che costituiscono l’indicatore, solo le esportazioni hanno mostrato una crescita, anno su anno, del 26,1% e dell’11,1% rispetto al trimestre precedente. A spingere, è il settore agricolo, uno dei pochi che si sia salvato dal crollo. Ma i dati sull’evoluzione del Pil del primo trimestre confermano ufficialmente che l’economia argentina è in recessione, con la disoccupazione che, dal 5,7%, ha raggiunto il 7,7% della popolazione attiva.
“Con la peggiore siccità degli ultimi cento anni, il Pil nel 2023 si è contratto dell’1,6%. Nel primo trimestre di quest’anno il calo è del 2,6%, senza fattori esterni che influenzano questo doloroso risultato. La contrazione dell’economia è stata la più forte dalla pandemia. Su base annua il calo è del 5,1%. Questi numeri sono il risultato delle politiche del governo libertario, che insiste con un aggiustamento che deprime il consumo e gli investimenti” – ha dichiarato via X (ex Twitter) Alberto Fernández, il predecessore di Milei. Si sta facendo strada, tra gli osservatori, l’opinione che, se pur una correzione dei prezzi relativi era da farsi, ciò sia stato fatto in maniera brutale. Il risultato è l’insostenibilità di una situazione che vede coesistere i vecchi stipendi con i prezzi nuovi, cosicché la recessione si è aggravata.
Da quando Milei è entrato in carica, la disoccupazione è diventata la principale preoccupazione degli argentini. Secondo l’ultimo rapporto, realizzato dalla società di consulenza Opina Argentina, questa preoccupazione supera quella per l’inflazione, e rappresenta un segnale di allarme per il governo intorno a quello che si attende la gente riguardo all’evoluzione generale dell’economia. Secondo lo studio, la paura di perdere il lavoro è cresciuta di otto punti nell’ultimo mese: è del 37%, ben al di sopra dell’inflazione (29%) e della corruzione (22%). Invece, un dato positivo e incoraggiante per il governo riguarda la situazione economica personale che sembra migliorare, dato che, tra aprile e giugno, la percentuale che dice di non arrivare a fine mese è scesa dal 40 al 29%. Anche se solo tre intervistati su dieci credono che la loro situazione economica migliorerà nell’immediato futuro, tra gli elettori “libertari” l’ottimismo raggiunge il 60%.
Alcuni rapporti, sia ufficiali sia privati, confermano però uno scenario critico, in alcuni casi paragonabile a quello del momento della pandemia. Il 5 giugno, l’Indec ha pubblicato l’indice di produzione industriale manifatturiera in cui si è evidenziato un forte calo, anno su anno, del 16,6% in aprile. La cosa più preoccupante è che le sedici attività economiche principali hanno avuto risultati negativi: alcune hanno subito perdite superiori al 30% nel quarto mese dell’anno. Allo stesso modo, tutti i settori hanno chiuso il primo trimestre con un bilancio negativo. L’attività di costruzione è scesa del 37,2%, nell’aprile di quest’anno, rispetto allo stesso mese del 2023. Le vendite di tutti i materiali sono diminuite, la quantità di manodopera assunta si è contratta, e l’area autorizzata per i nuovi permessi di costruzione si è ridotta.
In sintesi, dati tutti negativi. Bisogna tenere presente che il settore delle costruzioni sta subendo un inevitabile calo a causa della decisione del governo di eliminare il finanziamento dei lavori pubblici, con l’obiettivo di tagliare le spese per dare priorità all’equilibrio fiscale. Secondo la Camera argentina delle costruzioni, ci sono circa quattromila progetti di lavori pubblici bloccati, e centomila posti di lavoro sono già stati persi da quando Milei ha assunto la carica. È l’intera economia che sta cadendo in pezzi. L’ultimo stimatore mensile dell’attività economica (Emae), pubblicato dall’Indec, ha rivelato che nel primo trimestre dell’anno l’economia si è contratta del 5,3%. Per trovare un risultato positivo, bisogna andare allo scorso ottobre, quando l’Emae ha mostrato una variazione dell’1%. L’indice di produzione industriale manifatturiera di aprile ha registrato un calo del 16,6% rispetto allo stesso mese del 2023, mentre il cumulativo del 2024 presenta una diminuzione del 15,4%.
Il calo dei consumi è reso esplicito dalle vendite nei supermercati: l’Indec ha dettagliato, per il periodo gennaio-marzo, un calo dell’11,5% rispetto allo stesso periodo del 2023. E, dopo molti anni in cui si era registrata la tendenza inversa, nei primi quattro mesi del 2024 gli argentini hanno venduto più dollari di quelli che hanno comprato sul mercato ufficiale dei cambi. Mentre il governo punta a mantenere il tasso di cambio ufficiale regolato – oggi circa 928 pesos per un dollaro –, nel mercato informale la valuta americana è aumentata negli scorsi giorni, chiudendo a 1365 pesos. Il rischio è così che si passi dalla iper-inflazione alla iper-recessione. A dirlo non sono solo i critici di Milei, ma l’ex ministro delle finanze di Mauricio Macri, Alfonso Prat-Gay, uno dei sostenitori dell’attuale governo. L’economista Carlos Rodríguez, consigliere di Milei fino all’anno scorso, ha avvertito che “quello che stanno facendo non funziona”. E per Diego Giacomini, ex socio del presidente: “Questi mesi sono la cosa migliore che il programma economico possa dare”.
Dagli avversari è giunta l’osservazione del presidente colombiano Gustavo Petro, secondo cui “la promessa di Milei di riprodurre il sistema neoliberista di trent’anni fa potrebbe essere un fallimento annunciato”. Così il presidente argentino ha insultato Gustavo Petro, qualificandolo come “assassino e terrorista”. Ne ha avuto, del resto, anche per il messicano Andrés Manuel López Obrador, definendolo “ignorante”. In un primo momento aveva anche minacciato di non commerciare con “comunisti” come la Cina, partner commerciale chiave dell’Argentina. E con lo stesso Brasile governato da un altro “comunista”, Lula da Silva. Intanto, tra gli analisti, si sta facendo strada l’idea che la pressione del cambio, unita all’aumento recente del rischio Paese, potrebbe far sì che giugno possa registrare un possibile freno, o addirittura un’inversione, del processo di marcata diminuzione dell’inflazione degli ultimi mesi, che probabilmente rappresenta il più grande risultato ottenuto fino a qui dalla gestione di Milei. Dal picco del 25,5% del dicembre 2023, nel primo mese di mandato del governo anarco-liberista, a gennaio l’indice ufficiale è stato del 20,7%; a febbraio del 13,2%; a marzo dell’11%. E aprile ha portato, per la prima volta, l’indice al di sotto delle due cifre. Ma la tendenza al ribasso troverà il suo primo freno nel mese corrente, secondo le proiezioni dei consulenti economici della Banca centrale. Se a maggio è stato raggiunto il 4,2%, a fine mese dovrebbe essere tra il 5,5% e il 6%, in gran parte a causa dell’impatto degli aumenti della luce e del gas.
In sei mesi di mandato, il neopresidente ha viaggiato spesso all’estero, contraddicendo il refrain governativo no hay plata (“non c’è denaro”). Tanto più che Milei ha rinunciato da qualche tempo, per problemi di sicurezza, all’uso dei voli di linea, aumentando di conseguenza i costi delle sue missioni estere. A molti è sembrato che spesso a spingerlo a viaggiare non erano ragioni di Stato, ma personali. Questo gli ha procurato un’indagine per presunto uso indebito di fondi in viaggi per scopi privati. In totale, le trasferte sono state nove, anche se non si sono registrati molti incontri ufficiali con autorità governative, se si eccettuano le visite in Israele, in Vaticano e a Roma. Nei suoi viaggi negli Stati Uniti, per esempio, non ha incontrato nessuno dell’amministrazione Biden. E ultimamente ha partecipato al G7 di Borgo Egnazia per fare un piacere a Meloni. Il 23 giugno è atterrato a Berlino, ricevuto da Scholz senza onori militari e senza conferenza stampa. Tra i temi dell’agenda comune, c’erano le relazioni tra l’Unione europea e il Mercosur, la fornitura di litio per l’industria automobilistica tedesca e la guerra in Ucraina. Quello con Scholz è stato il primo incontro ufficiale che Milei ha avuto con un leader socialista da quando è al potere. Il cancelliere tedesco ha chiesto a Milei di prendersi cura della “coesione sociale”, dopo le proteste a Buenos Aires contro le riforme promosse dal leader di estrema destra. Poco prima di giungere nella capitale tedesca, Milei aveva fatto una capatina in Spagna per ricevere un premio da Isabel Ayuso, presidente del Partido popular della Comunità di Madrid. Per l’occasione, aveva chiesto di essere ricevuto dal re Felipe. Ma questi ha fatto sapere che la politica estera spagnola è un affare del governo, chiudendogli educatamente la porta, anche in considerazione dello scontro che ha opposto Milei al primo ministro spagnolo. Infine, lunedì scorso, ha fatto tappa a Praga, dove gli è stato assegnato un premio da un gruppo di ex dirigenti dell’Istituto liberale della Repubblica ceca, ma l’istituzione si è dissociata dall’evento, dichiarando che si tratta di un’iniziativa di persone che non hanno legami con quell’istituzione da anni, e che non avevano alcuna autorizzazione a consegnare il premio. Il direttore, Martín Pánek, ha anche precisato: “Siamo contrari alle sue misure contro la droga, l’aborto e le manifestazioni pubbliche; noi siamo a favore della legalizzazione della marijuana e dell’aborto”. Nel discorso di ringraziamento, Milei ha accennato alla possibilità che gli sia assegnato il Nobel per l’economia. “Con il mio capo dei consulenti, il dottor Demian Reidel, stiamo riscrivendo gran parte della teoria economica (…). Se ci va bene, probabilmente mi daranno il Nobel per l’economia insieme a Demian” – ha detto. Come spesso gli capita, Milei ha criticato duramente il socialismo e gli economisti non liberali; si è profuso in lodi per nomi come quello di Adam Smith, ricordando l’origine liberale dei nomi dei suoi cani (Conan, Milton, Murray, Robert e Lucas) – a cui ha fatto riferimento, ancora una volta, come ai suoi “figli a quattro zampe”.
Lula ha attaccato duramente il suo omologo argentino, al quale ha chiesto di “scusarsi” col suo Paese e con lui stesso, perché “ha detto molte sciocchezze”. Le dichiarazioni aumentano la tensione diplomatica tra i due principali partner del Mercosur, già complicata per il caso dei militanti vicini a Jair Bolsonaro che, condannati dalla giustizia brasiliana, si sono rifugiati in Argentina. “Il popolo brasiliano e argentino è più importante dei presidenti – ha aggiunto Lula –, entrambi vogliono vivere bene, vogliono vivere in pace. Se il presidente dell’Argentina vuole governare l’Argentina va bene, ma che non cerchi di governare il mondo”. Lula non ha avuto finora alcun contatto con Milei, che ha una stretta relazione con l’opposizione brasiliana guidata da Bolsonaro. Milei e Lula erano entrambi, per la prima volta, al vertice del G7 italiano, ma si sono evitati a vicenda, non hanno scambiato una parola e neppure sono apparsi insieme in fotografie. Per il governo argentino ha risposto, nella consueta conferenza stampa mattutina, il portavoce Manuel Adorni, che ha detto: “Il presidente non ha fatto nulla di cui debba pentirsi”.
Intanto, il 5 giugno, alla Camera dei deputati il gruppo radicale, il kirchnerismo e altre formazioni non allineate col governo hanno approvato – 162 voti a favore, 72 contrari e otto astensioni – un disegno di legge che sostituisce la formula di aggiornamento delle pensioni decretata da Milei. Se sarà approvato anche dal Senato, come molti ritengono probabile, ci sarà un aumento delle pensioni dell’8% al quale il governo si oppone per non dovere dire addio all’equilibrio fiscale. La sconfitta è schiacciante, perché a favore del piccolo aumento hanno votato i due terzi dei presenti, e perché è raro che il parlamento imponga una legge a un presidente. Nel caso di un suo veto, la Costituzione argentina prevede che il ramo legislativo possa ripetere il voto. Ma se i due terzi di ciascuna delle Camere votano la legge, questa è approvata. Si prevede, pertanto, un altro scontro tra il legislativo e l’esecutivo, dato che Milei ha chiamato coloro che l’hanno votata “degenerati fiscali”. Secondo l’Ufficio di bilancio del Congresso, la formula di aggiornamento delle pensioni ha un costo fiscale dello 0,43% del Pil argentino. Una volta approvata, manderebbe a farsi benedire il surplus dei conti pubblici raggiunto da Milei, grazie al taglio delle pensioni, degli stipendi e dei lavori pubblici, ma certo porterebbe un certo sollievo alle tasche degli anziani.
Esiste, nel parlamento argentino, un insieme di deputati e senatori che non rientrano nella dialettica kirchnerismo-antikirchnerismo, qualcosa di simile al Centrão brasiliano, una palude con la quale il nuovo capo di gabinetto, Guillermo Francos, ha trattato dal suo ufficio alla Casa Rosada, facendo concessioni in vista del voto al Senato sulla “legge base” e il pacchetto fiscale. Sono politici che rispondono a governatori o a leader senza un preciso riferimento ideologico: ne fanno parte i partiti provinciali, il peronismo non ultrakirchnerista, il Pro non ultramacrista e, soprattutto, i radicali. Per Milei, averli a favore o contro significa la vittoria o la sconfitta.
In virtù di questa opera di mediazione, il 12 giugno il Senato ha approvato una versione ampiamente modificata rispetto al testo approvato alla Camera della “legge base”, grazie a 36 voti a favore e 36 voti contrari, a cui però si è aggiunto quello decisivo della presidente dell’assemblea, Victoria Villarruel. Ciò è accaduto mentre in strada, nei pressi dell’edificio che ospita il Senato, manifestanti che gridavano la patria no se vende, se defiende si sono scontrati con la polizia, con il lancio di bottiglie molotov, auto incendiate, da una parte, e gas lacrimogeni, uso di proiettili di gomma, dall’altra, che hanno causato decine di feriti. Alcuni osservatori, tra cui qualche deputato dell’opposizione, hanno denunciato la presenza di agenti provocatori ai quali, a quanto pare, sarebbero da addebitare gli atti di vandalismo. Mentre cacerolazos di protesta sono stati organizzati in molte città.
Il progetto di ampie privatizzazioni di Milei – già ridimensionato dalla Camera bassa che l’ha approvato con 142 voti a favore, 106 contrari e 5 astensioni, lo scorso 30 aprile – è stato comunque una boccata di aria fresca per il governo, dopo il fallimento di quello originario, in febbraio. Giunto in Senato, ha subito ancora più tagli al fine di ottenere i voti necessari per passare. Così, delle quaranta aziende che originariamente Milei voleva privatizzare, alla fine ne sono rimaste solo otto, che andranno totalmente o parzialmente al privato, mentre rimarranno pubbliche Aerolíneas argentinas, Correo argentino e Radio y Televisión argentina. Il governo non ha potuto evitare di pagare un conto salato, visto che un altro insuccesso legislativo sarebbe stato difficilmente sostenibile. E ha dovuto fare marcia indietro sulla eliminazione della moratoria, che consente di andare in pensione senza la quantità di contributi previsti dalla legge, e sulla fine del blocco alle opere pubbliche i cui lavori sono in uno stato avanzato o finanziate con fondi stranieri.
Al presidente è stata anche interdetta la possibilità di chiudere organismi pubblici legati alla scienza e alla cultura, mentre si è ristretto il campo delle aziende a cui potrà essere applicato il Régimen de incentivo de grandes inversiones (Rigi). Questo prevede benefici fiscali, doganali e di cambio per trent’anni, così come la stabilità normativa e la protezione contro gli abusi statali, per progetti che superano i duecento milioni di dollari, al fine di incoraggiare grandi investimenti a lungo termine, sia nazionali sia stranieri. I critici affermano che darà un vantaggio importante alle grandi aziende, in particolare alle multinazionali, e che danneggerà le piccole e medie imprese argentine, che oggi generano il 70% dell’occupazione. L’ex presidente Cristina Fernández de Kirchner ha sostenuto che il Rigi porterà allo sfruttamento delle risorse naturali argentine per mano di aziende straniere, generando “un’economia estrattivista senza valore aggiunto”, e instaurando un “colonialismo, versione Ventunesimo secolo”.
Ciò detto, il testo è ritornato alla Camera, e per assicurarsi l’approvazione finale, Milei ha accettato gran parte delle modifiche che sono state fatte al Senato, e ha dovuto escludere Aerolíneas argentinas, il Correo e Radio y Televisión argentina dalle privatizzazioni. La Camera bassa ha approvato nella scorsa notte la prima legge del governoi, che include il ritorno dell’imposizione fiscale per i lavoratori, riduzioni delle tasse per i più ricchi, una riforma del lavoro regressiva, poteri straordinari per il governo, privatizzazioni e profitti esorbitanti per le multinazionali. L’ambizioso progetto “omnibus” era stato presentato alla Camera dei deputati a gennaio, e per sei mesi ha subito innumerevoli tagli e modifiche che hanno permesso al partito di governo di raggiungere un consenso minimo con i blocchi dell’opposizione dialoghisti. “Non è la legge che il governo voleva, ma è la legge possibile”, ha commentato un deputato radicale. Sarà interessante capire se la scelta della strada della mediazione è stata solo una soluzione dovuta all’emergenza o se rappresenta una svolta più realistica e di fondo che porti all’abbandono del dogmatismo nel modo di intendere l’esercizio del potere. Oltre a ciò, rimane più di qualche dubbio su come il governo deciderà di gestire la protesta sociale che difficilmente andrà scemando nei prossimi mesi.