Lo spettacolo che sta offrendo la Francia, a seguito dei risultati delle europee, ha dell’incredibile. Il presidente Macron, secondo le prerogative conferitegli dalla Costituzione gollista, ha sciolto l’Assemblea nazionale e indetto nuove elezioni legislative a tamburo battente. Va precisato che questa decisione era nell’aria da tempo, dato che in parlamento Macron ha soltanto una maggioranza relativa, e i provvedimenti più spinosi e contestati, come la riforma delle pensioni, sono stati fatti passare grazie a un codicillo (paragonabile al nostro “voto di fiducia”) che permette al governo di imporsi senza una maggioranza.
La questione di fondo è che i macroniani, pur guardando costantemente a destra, non sono riusciti in due anni (dalle elezioni del 2022) a coinvolgere stabilmente i “repubblicani”, cioè gli ex gollisti, che, nel parlamento attuale, hanno una sessantina di deputati. Questi però sono divisi: alcuni tra loro inclini a un’alleanza con l’estrema destra – il che significa un definitivo tradimento dello spirito gollista –, mentre altri sarebbero disponibili, a certe condizioni, a stare con Macron. Il quale, per parte sua, ha già sfilato loro una consistente porzione di esponenti più centristi, anche inserendoli nel governo. Così il presidente di Les Républicains, Éric Ciotti, ha rotto gli indugi, annunciando, nel clamore generale e con il dissenso di non pochi nel suo stesso partito, un accordo con il Rassemblement national di Marine Le Pen alle elezioni che si terranno il 30 giugno.
Che cosa accadrà ora? Era questo il principale obiettivo di Macron quando ha deciso di sciogliere il parlamento: arrivare a una resa dei conti finale con gli ex gollisti, che probabilmente non esisteranno più dopo la prossima tornata elettorale (si consideri che alle europee hanno preso il 7,5%)? Si tratta comunque di un azzardo non da poco. Perché, con un’estrema destra mai così forte, andare a una nuova sfida può significare consegnarle la maggioranza parlamentare. Che però, al di là di ogni previsione, non si sa se potrà veramente esserci: perché il sistema elettorale francese, basato sul doppio turno nei collegi, permette agli elettori “anti” di coalizzarsi oggettivamente nelle urne ai ballottaggi, votando per il candidato “meno lontano” contro quello “detestato”. Ma quanto larga è ancora in Francia la ripulsa nei confronti dell’estrema destra? E d’altronde Macron, con i suoi trascorsi, ha fatto sì che fosse messo da parte quasi del tutto il meccanismo del cosiddetto “fronte repubblicano” di cui spesso e volentieri non ha tenuto conto, evitando di far ritirare i propri candidati in quei casi in cui erano arrivati terzi e il ballottaggio era “a tre” (nei collegi, a partire da una certa soglia dei voti espressi al primo turno, i ballottaggi possono risultare anche “triangolari”).
Qui allora sembrerebbe dover entrare in gioco la sinistra, da Macron corteggiata al momento delle elezioni presidenziali vinte contro Marine Le Pen, ma sistematicamente tradita nelle politiche concrete. L’opinione pubblica di sinistra non ne può più di Macron; certo però non si rassegna a regalare il Paese all’estrema destra. Un accordo generale di desistenza reciproca tra le forze politiche di quella che alle scorse legislative fu la Nupes (Nuova unione popolare ecologica e sociale) e il partito di Macron è fuori portata; ma nei singoli collegi il “fronte repubblicano” può ancora giocare un ruolo per via dell’accortezza degli elettori di sinistra e anche di una parte di quelli di destra moderata. Ma l’insieme delle forze di sinistra, in pochi giorni, deve ritrovare almeno formalmente l’unità andata smarrita nelle europee (soprattutto a causa della divisione sull’atteggiamento da tenere nei confronti della guerra di Israele a Gaza).
In proposito, si è profilata una differenza non da poco tra Raphaël Glucksmann – astro nascente di una sinistra moderata alleata ma non interna al Partito socialista (vedi qui) –, e il segretario del Partito, Olivier Faure. Il primo vorrebbe stringere il deus ex machina della sinistra radicale, Mélenchon, in un accordo con un insieme di condizioni, come la difesa a oltranza dell’Ucraina, da questi non ricevibili, mettendo sullo sfondo la cruciale questione dell’unità; il secondo, più realista, è pronto a sottoscrivere un rinnovato patto con lo stesso Mélenchon, i comunisti e i verdi. Di questo patto sono già state annunciate le linee fondamentali, e ci si può augurare che le trattative vadano felicemente in porto.
Vedremo come andrà a finire. Ma fin d’ora possiamo dire che la Francia sta precipitando in un baratro scavato, dall’inizio dell’intero regno di Macron, dal suo opportunismo centrista. Che aveva cominciato con lo spaccare a destra il Partito socialista per darsi poi a un lavoro di erosione dei conservatori: sempre presentando la propria politica come quella che avrebbe arrestato la crescita dell’estrema destra, e ottenendo invece l’effetto esattamente contrario.