“Questi risultati elettorali chiariscono che le cose non possono continuare così come sono andate finora. L’Europa deve risolvere urgentemente l’insicurezza economica e sociale che sta dietro la crescente rabbia e paura nella nostra società”. Sono le parole usate “a caldo”, nel giorno dei primi risultati delle elezioni per il parlamento europeo, da Esther Linch, segretaria generale della Confederazione europea dei sindacati, che successivamente ha inviato una lettera all’esecutivo dell’Etuc (European Trade Union Confederation) per ringraziare tutti i sindacalisti che si sono mobilitati per tentare di contrastare l’avanzata delle destre. La marcia su Bruxelles dell’estrema destra è stata per ora stoppata, ma il rischio di una svolta conservatrice nelle istituzioni europee rimane molto alto.
Quanto ha pesato quella che viene considerata una sorta di “schizofrenia” tra i lavoratori europei e italiani: votare per partiti di destra avendo in tasca una tessera sindacale, magari della Fiom Cgil? Che cosa è successo in questi anni al voto operaio e più in generale al voto di tutte quelle persone che – come dice spesso il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini – sono obbligate a lavorare per vivere? In attesa di poter avere a disposizione gli studi sui flussi elettorali e sulla composizione sociale del voto, possiamo cominciare ad azzardare qualche spunto di analisi.
Il primo spunto ci viene fornito da Salvatore Marra, coordinatore dell’Area delle Politiche europee e internazionali della Cgil, che è stato intervistato da Simona Ciaramitaro per “Collettiva.it.”: “La gente – dice Marra – in Italia e in Europa, non crede più non solamente nella politica, ma neanche nelle istituzioni, perché pensa che non siano in grado di risolvere i loro problemi, di migliorare le loro qualità di vita e di lavoro. A livello nazionale ed europeo la sfiducia c’è, ed è trasversale. A pesare anche la situazione geopolitica, la capacità dell’Europa di gestire una crisi a livello mondiale che è caratterizzata da cambiamenti profondi testimoniati, peraltro, dalle guerre in corso, a partire da quella in Ucraina”. La vittoria totale delle destre non c’è stata, ma ora al nuovo gruppo dirigente dell’Europa spetta un compito molto arduo: “Adesso – spiega il sindacalista Cgil – consolidare il progetto di rafforzamento dell’Europa sociale sarà ancora più complicato. A livello nazionale ci saranno molti più governi di destra e di estrema destra che indicheranno i nuovi commissari”.
Per Marra, quindi, è fondamentale sapere che le persone hanno bisogno di vere politiche sociali e di vere indicazioni da parte dei partiti rispetto alla costruzione di politiche nazionali, europee e sociali, e che il ragionamento più facile di fronte a quanto invece sta accadendo “porta a non votare per i partiti progressisti perché poi appoggiano la riforma della governance europea che fa tornare l’austerità, procedono con politiche sulle migrazioni che mettono muri e non accoglienza. Le persone finiscono col votare per i partiti di destra”.
L’altro spunto per preparare le prossime analisi riguarda ovviamente il partito del non voto. L’Italia è l’esempio eclatante di quello che sta succedendo. L’affluenza alle elezioni europee in Italia è sempre stata superiore alla media europea, riflettendo un forte coinvolgimento degli elettori italiani sin dalle prime elezioni del parlamento europeo: nel 1979 ha votato l’85,7% degli aventi diritto, contro il 61,9 della media europea. Poi è cominciata una tendenza discendente già dal 1984, con l’82,5%, nel 1989 si è scesi all’81,1 e, nel 1994, al 73,6%. Questa parabola è continuata nei decenni successivi, con un calo ancora più marcato dal 1999 al 2019, quando la percentuale è scesa dal 69,8% al 54,5.
In uno studio dell’Etui, il centro studi del sindacato europeo (che abbiamo già citato in un precedente articolo, vedi qui) si analizzano i motivi che spingono i lavoratori a votare (contro i propri interessi) per i partiti di destra, oppure a scegliere di disertare le urne per la perdita di fiducia nei partiti più tradizionalmente vicini alle classi lavoratrici. “L’economia – scrivono i due autori della ricerca, Daphne Halikiopoulou e Tim Vlandas – gioca un ruolo molto più centrale di quanto a volte si creda. In primo luogo, molti elettori di estrema destra sono spinti da considerazioni economiche o di altro tipo, come la sfiducia nelle istituzioni. L’immigrazione, a volte considerata una questione esclusivamente culturale, è in realtà anche una questione economica. In secondo luogo, i partiti di estrema destra stanno perseguendo strategie di mobilitazione che attingono all’insicurezza economica e a un particolare tipo di sciovinismo del welfare. In terzo luogo, le politiche sociali possono mitigare le insicurezze che portano al sostegno dell’estrema destra”. Secondo il think tank del sindacato europeo, è sicuro che la politica di assorbimento dei valori di destra all’interno dei programmi della sinistra non ha fatto altro che aumentare il disastro politico che abbiamo potuto vedere in questi anni. “Copiare le agende politiche populiste di destra non è una strategia vincente per il centrosinistra poiché ciò probabilmente allontanerà gran parte dei suoi tradizionali sostenitori di sinistra”. Questa scoperta è coerente con la letteratura recente, che suggerisce che il riposizionamento del centrosinistra verso politiche di immigrazione restrittive di estrema destra può attrarre un piccolo numero di elettori di estrema destra, ma alienare una percentuale molto maggiore dei propri elettori. “Al contrario i gruppi di sinistra dovrebbero fare appello alle insicurezze economiche che preoccupano un’ampia fascia di elettori, compresi gli elettori periferici di estrema destra spinti da considerazioni di protesta e malcontento economico. Dovrebbero farlo concentrandosi sulle questioni che la sinistra possiede: prima di tutto, l’uguaglianza”.
Una lettura più ottimistica rispetto alle politiche europee e alle possibilità di azione della sinistra e dei sindacati, sempre nel mondo Cgil, è quella di Filippo Ciavaglia, dipartimento internazionale e punto di riferimento tra i lavoratori italiani emigrati nella rete dei Comites, i consigli comunali all’estero. Secondo Ciavaglia, la relativa tenuta dei partiti democratici e socialisti in Europa, e il parziale riavvicinamento degli elettori ai temi europei, sono direttamente legati alle scelte fatte in questi ultimi anni durante la pandemia, prima, e di fronte alla guerra in Ucraina poi: “Le scelte di sostegno e gli investimenti sociali dell’Europa – dice Ciavaglia – hanno cominciato a modificare l’immagine arcigna e nemica di una istituzione rigida che è capace solo di chiedere sacrifici e proporre misure di austerità”. Ora, però, si dovrà affrontare il vero banco di prova e non sono permessi più errori. Intanto Ciavaglia ci ricorda un tema che è stato solo accennato durante la campagna elettorale, quello del voto degli italiani all’estero: “Ci sono almeno sei milioni di italiani che non hanno potuto votare”, dice Ciavaglia, che ha il compito diretto di occuparsi dei connazionali all’estero. È stata infatti assurda la decisione di vietare il voto a distanza, che invece è possibile per altri tipi di consultazioni elettorali. Come avrebbero votato quei sei milioni di esclusi, ovviamente, non è dato saperlo.
Possiamo invece sapere come stanno cambiando gli equilibri interni alla politica nazionale e come si stanno rapidamente correggendo anche i comportamenti elettorali di chi lavora. Ci viene incontro un’analisi di Ipsos (Pagnoncelli) del 2019 a proposito della precedente consultazione elettorale per le europee. Riletti oggi, i dati sono sorprendenti. Il Pd, che era al 22,7%, aveva una percentuale del 14,3% di voti “operai e affini”. I 5 Stelle avevano una percentuale del 22,1% di operai votanti, Meloni otteneva uno scarso 6,5% di preferenze di cui il 7 di “operai e affini”. Ma i numeri più eclatanti sono quelli di Salvini, 34,3% di preferenze, con un roboante 40,3 di “operai e affini”. Aspettiamo i dati scomposti e le analisi della composizione sociale del voto dell’8 e 9 giugno per fare i raffronti.
Intanto è chiarissimo il messaggio alla sinistra: l’abbandono dei temi sociali e di una proposta complessiva per uno sviluppo davvero sostenibile, capace di non lasciare indietro nessuno, è la scelta più sbagliata che si possa fare. Serve creatività e innovazione per costruire una sinistra all’altezza del grande salto tecnologico che stiamo vivendo. Copiare dall’agenda neoliberista e di destra non paga, ci dice Etui. E per capirlo dobbiamo fare anche i conti con il passato recente. Una chiave anche per comprendere a fondo l’astensionismo. “Emblematico – ha scritto Salvo Leonardi, ricercatore della Fondazione Di Vittorio – il caso inglese, dove il sistema elettorale e l’evoluzione politica del New Labour non hanno consentito reali alternative agli scontenti “di sinistra” del blairismo. Nel 2001 Blair vince le elezioni politiche e porta il Labour al secondo mandato consecutivo, ma nel Paese si registra il record storico di astensionismo, pari al 40,6% degli aventi diritto. Nel 2005, al terzo rinnovo, i laburisti vincono col 35,19% dei votanti (61%), ma con appena il 21,59 degli aventi diritto. Si calcola che 2,8 milioni di elettori laburisti si siano astenuti, con tassi di partecipazione al voto che – nelle storiche roccaforti rosse del nord – non arrivano al 44% (zone operaie di Glasgow, di Leeds o del Tyneside) o addirittura al 35, come nel caso dell’area portuale di Liverpool (Watkins, 2004). Un altro esempio: al ballottaggio delle elezioni presidenziali francesi nel 2002, quando nessun candidato di sinistra era più rimasto in corsa, l’astensionismo fra gli operai ha raggiunto il 44%”.
Vedremo che cosa succederà ora alla “nuova” Europa. E vedremo se nelle prossime tornate elettorali qualcosa cambierà, anche all’interno del mondo del lavoro, e soprattutto nelle linee dei partiti di sinistra e del sindacato. “Noi facciamo i conti da anni con il fenomeno del voto a destra e dell’astensione anche tra i nostri iscritti”, dice Valentina Orazzini della Fiom nazionale che si occupa del lavoro industriale in Europa. “Stiamo lavorando anche su questi temi e sulle scelte politiche degli operai. Ne parleremo sabato prossimo a Firenze in un incontro al quale parteciperà Judith Kirton-Darling, vicesegretaria generale dell’industria europea”. La Ces, la Confederazione europea dei sindacati, guidata da Esther Linch, rilancia intanto i progetti della “speranza”, e chiede ai parlamentari scelte coraggiose in termini di investimenti sociali e innovativi.