Che il risultato delle elezioni europee abbia una ricaduta sulla lotta dell’Unione al cambiamento climatico, appare evidente. L’applicazione del Green Deal – il pacchetto di misure per sostenere la transizione energetica e azzerare le emissioni di gas serra al 2050 – è una condizione imprescindibile, secondo gli esperti, per arginare la crisi ambientale. Il fatto che il Partito popolare europeo (Ppe) abbia riottenuto la maggioranza relativa al parlamento non è una buona notizia. Il Green Deal è stato sì presentato, nel 2019, proprio da Ursula von der Leyen, ma è stato anche osteggiato su vari punti proprio dal suo stesso gruppo. Esempio ne è l’iter della legge sul ripristino della natura, che prevedeva la bonifica di vaste aree compromesse, e quella sull’abbattimento del 50% dell’uso dei pesticidi: la prima annacquata e la seconda caduta, dopo essere arrivata quasi in porto, a causa del Ppe, che si è fatto portavoce delle proteste dei produttori agricoli.
Per quanto le misure abbiano effettivamente prodotto un aumento della produzione di energia da fonti rinnovabili del +46%, dal 2019, non sono sufficienti ad abbassare le emissioni in modo radicale. E il Ppe si è già detto contrario, pronto a disdire l’accordo sul divieto di vendere auto a combustione interna dopo il 2035, un accordo invece indispensabile per la transizione verde.
Con l’intenzione di “stimolare la popolazione a recarsi alle urne ponendo al centro dell’agenda la lotta alla crisi climatica e la giustizia sociale”, prima delle elezioni, è nata in Italia la campagna #votaclima, che, con la partecipazione di scienziati, giornalisti, medici, esperti di rinnovabili e associazioni della società civile, mette l’accento sulle sfide climatiche dell’Unione. La campagna è stata lanciata dalla rete nazionale Transistor, composta da quindici hub per la transizione ecologica, e dalla coalizione Liberiamoci dal fossile, di cui fanno parte organizzazioni come la Cgil, Cittadini per l’Italia rinnovabile, Ecolobby, The Good Lobby, La Goccia resistenza civile antifascista, e Rinascimento Green. Tra queste, anche l’Isde (International Society of Doctors for Environment), l’Associazione italiana medici per l’ambiente, nata nel 1989, per promuovere la salute attraverso la tutela del contesto naturale. L’organizzazione pone il legame tra il benessere psicofisico della persona e la cura della terra che abitiamo, al centro delle scelte individuali e collettive, con l’obiettivo di produrre politiche pubbliche consapevoli. I rischi per la salute umana sono infatti legati inequivocabilmente al degrado ambientale e agli stili di vita contemporanei. Il concetto, detto one health, è un modello sanitario che integra discipline diverse e riconosce che la salute umana, la salute animale e la salute dell’ecosistema sono legate indissolubilmente. Dal contrasto ai combustibili fossili a favore della transizione verso le energie rinnovabili, passando per la revisione delle politiche agricole europee, la lotta alla siccità e la tutela degli ecosistemi, la campagna #votaclima sottolinea l’interdipendenza tra l’emergenza climatica e l’emergenza sociale, come un collegamento inevitabile tra sistemi complessi.
A fine maggio, l’Isde ha organizzato un incontro nei locali dell’ufficio del parlamento europeo in Italia, a Roma, in cui medici e ricercatori sono intervenuti approfondendo le ripercussioni sulla salute dell’inquinamento ambientale e il conseguente cambiamento climatico, davanti ad alcuni candidati. Le tematiche toccate sono state varie. Come ha spiegato, durante l’incontro, Giovanni Viegi, pneumologo ed epidemiologo del Cnr, 330mila persone sono morte a causa della scarsa qualità dell’aria nell’Unione solo nel 2021, e l’Italia è al quinto posto in Europa per numero di pazienti ospedalieri dovuti all’inquinamento da PM2,5 – le polveri sottili più nocive –, contando quarantasettemila decessi all’anno. L’inquinamento atmosferico determina un aumento delle malattie respiratorie e cardiovascolari, ma anche problemi di diabete e incidenza di nascite premature. Le norme europee esistono, come l’accordo che stabilisce i valori limite annuali per gli inquinanti con il maggiore impatto documentato sulla salute umana; ma le leggi non vengono applicate tempestivamente e, nel frattempo, dice Viegi, “il numero dei decessi sarà in prevedibile crescita”.
Anche la presenza pervasiva di rifiuti preoccupa i medici. In Italia sono oltre trentacinquemila i siti da bonificare, per un’estensione che arriva a due volte la provincia di Milano (circa trecentomila ettari). In Europa il numero è alto, si arriva a 340.000 siti in attesa di ripristino. Lo studio epidemiologico nazionale dei territori e insediamenti esposti a rischio di inquinamento, “Sentieri”, coordinato dall’Istituto superiore di sanità e attivo dal 2006, ha calcolato un aumento del 3% nella mortalità media per le persone che vivono in quarantasei luoghi ad alta presenza di rifiuti. Per oltre sei milioni di residenti, quindi, il terreno e l’atmosfera possono aggravare condizioni preesistenti o determinare l’insorgenza di serie problematiche di salute.
I nuovi impianti industriali e di smaltimento vengono inoltre localizzati in aree già precarie, sia dal punto di vista ambientale sia da quello sociosanitario: il che rende critica una verifica effettiva. Anche in questo caso le leggi esistono. Dal 20 maggio, è entrata in vigore una direttiva sul traffico di rifiuti, che prevede un maggiore controllo sia sulle esportazioni sia sul riciclo. I materiali plastici dispersi nell’ambiente finiscono per essere assorbiti dagli organismi, nostri e degli animali, tramite il cibo, i prodotti cosmetici e addirittura i vestiti che indossiamo. Un report, presentato dalla pediatra Laura Reali dell’Isde, mostra la presenza di fibre di polipropilene e polietilene nei tessuti organici umani e perfino nella placenta. In Europa ci sono già regolamenti (come il Reach) che misurano la quantità di sostanze chimiche nei prodotti. I tempi di attuazione e di controllo sono però molto lunghi, finendo per ottenere cambiamenti effettivi in decenni dall’approvazione. Durante la conferenza di fine maggio, i medici dell’Isde hanno chiesto ai candidati presenti di attuare velocemente un cambiamento, di fare applicare le leggi esistenti e difenderle dai possibili attacchi dei negazionisti climatici. Mediante una visione sistemica e olistica del corpo umano, gli esperti di questioni socio-sanitarie possono permeare il mondo politico di una sensibilità allo sviluppo di leggi fondamentali per il nostro futuro. L’intersezionalità delle questioni – ambientale, economica, climatica e di giustizia sociale – è ormai evidente. Sicuramente abbandonare i combustibili fossili determinerebbe una contrazione dei consumi e del reddito pro capite. Ma, nello stesso tempo, come sottolineano i medici, “occuparsi della questione climatica vuol dire anche evitare uno scenario che vede un miliardo di sfollati climatici e sei trilioni di euro calcolati per contenere gli effetti della crisi, come la siccità e gli eventi climatici estremi”. Nonostante la maggioranza relativa sia del Partito popolare europeo, la situazione rimane ancora bilanciata, e si spera che vengano ascoltate le istanze degli esperti che da tempo studiano l’impatto della crisi ambientale sulla salute umana. Inoltre, i giovani, almeno in Italia, votano (nella misura in cui votano) in larga parte a sinistra. Stando ai dati elaborati da YouTrend, gli under 30 hanno preferito i partiti storicamente legati alla difesa dell’ambiente, come l’Alleanza verdi-sinistra, che ha avuto il 17% dei voti giovanili.