Dopo un lungo tentennamento, il premier Rishi Sunak ha stabilito la data delle elezioni politiche nel Regno Unito: si terranno il 4 luglio prossimo. Il sistema elettorale permetteva teoricamente di rinviarle fino al gennaio 2025, e pareva che la tornata elettorale fosse ancora lontana, visto che i sondaggi accreditavano, e continuano ad accreditare, il Labour di oltre venti punti di vantaggio sui Tories. I risultati delle elezioni comunali in Inghilterra e nel Galles, nel maggio scorso, sono andati esattamente in questa direzione, con una sconfitta pesantissima dei conservatori, che hanno perso centinaia di seggi e un’importante carica di sindaco, nonché un collegio nel Nord-ovest dell’Inghilterra in un’elezione parlamentare suppletiva.
Perché allora Sunak ha scelto una data così vicina, considerata la batosta appena subita? Le ragioni sono sostanzialmente due: da una parte, il premier vuole passare all’incasso dei successi conseguiti sul fronte dell’inflazione, diminuita, nel giro di un anno, da oltre il 10% all’attuale 2,3%; dall’altra, spera di catturare quell’elettorato più nettamente schierato contro l’immigrazione, con la narrazione in larga misura fantastica della deportazione in Ruanda, di cui abbiamo scritto (vedi qui); e si ipotizza che i primi voli dei migranti respinti possano cominciare a breve. Si tratta di un’operazione più che altro mirata a uno scopo dimostrativo, dato che nel Paese c’è una fortissima opposizione allo stravagante progetto.
C’è di più: il premier sta cercando di vendere la “stabilità” raggiunta, dopo le burrascose vicende politiche che hanno visto, nella fase successiva alle elezioni del 2019, alternarsi più leader conservatori, da Boris Johnson a Liz Truss: una fase contraddistinta da scandali e dissesto economico, con la sterlina spesso in difficoltà sui mercati internazionali. “Stabilità” raggiunta sulla pelle dei meno abbienti, schiacciati e precipitati in un tunnel segnato da una riduzione dei livelli di vita senza precedenti, con una compressione dei redditi che ha provocato agitazioni e scioperi come non se ne vedevano da decenni.
Sunak insiste quindi sul tasto per cui solo un governo conservatore – da lui guidato – potrà garantire la stabilità economica così amaramente e faticosamente conquistata. “Questi tempi incerti richiedono un piano chiaro e un’azione coraggiosa per tracciare la rotta di un futuro sicuro”, ha dichiarato. Nelle sue ultime uscite pubbliche, il primo ministro ha fatto costante riferimento al miglioramento dei dati economici. Ma la nottata non è passata. Il crollo dei servizi pubblici, oggetto di tagli spietati, è il segnale evidente di una situazione critica: la sanità è al collasso, le ambulanze non arrivano, le famiglie sono gravate da tassi ipotecari sempre più alti, si moltiplicano i comportamenti antisociali e la piccola criminalità di strada. La homelessness ha toccato livelli mai raggiunti, e le tende dei senza fissa dimora sono diventate una componente abituale del paesaggio urbano, anche in piccoli centri un tempo floridi, come la residenziale Brighton.
Sunak, evidentemente, spera che “elezioni subito” significhi per lo meno contenere quelle perdite che il logorio dell’elettorato conservatore sta producendo. I commentatori hanno parlato di una mossa coraggiosa, visto il deficit con cui il partito parte nei sondaggi. “I primi ministri britannici sono soliti indire elezioni anticipate per aumentare le loro possibilità di vittoria”, ha dichiarato, forse con un filo d’ironia, il politologo Mark Garnett della Lancaster University all’agenzia di stampa tedesca Deutsche Presse-Agentur. In questo caso – verrebbe da dire – si tratta non certo di vincere, ma di non perdere troppo. Se si guarda alle intenzioni di voto, come le documenta il sito “Statista”, aggiornate al 5 giugno, il Labour è stimato addirittura intorno al 48%, mentre i Tories si fermano al 25%. A complicare le cose, per i Tories, c’è poi la decisione di Nigel Farage (mister Brexit) di candidarsi alla guida di Reform, il suo partito di destra, che potrà togliere ulteriori voti ai conservatori, dato che potrebbe raccogliere intorno al 4-5% dei consensi. Anche il leader del governo scozzese, John Swinney, del partito Snp favorevole all’indipendenza, ha dichiarato: “Questo è il momento per cacciare i conservatori”.
Dopo quattordici anni di governi conservatori, tutto lascia quindi pensare che ci sarà un governo laburista. Ma con quali contenuti? Sul piano internazionale, ha fatto molto discutere la posizione filoisraeliana del leader Keir Starmer, giunto persino a giustificare i bombardamenti su Gaza, mentre l’ala sinistra del partito era tutta alle manifestazioni pro-Palestina. C’è stata una vera e propria rivolta interna contro le posizioni di Starmer, a fine novembre, che ha prodotto una divisione e tensioni non da poco.
Per quanto riguarda la politica interna e l’economia, del “manifesto” elettorale laburista, che dovrebbe essere pubblicato il 13 giugno, sono noti per ora solo alcuni aspetti: anche qui però torna il tema della “stabilità”, sebbene Starmer abbia anticipato che non saranno introdotte nuove tasse e che si cercherà di mettere riparo al disastro nei servizi pubblici, con particolare attenzione alla scuola. Pare infatti che verranno abolite le facilitazioni fiscali per le scuole private, allo scopo di rifinanziare quella pubblica, e, inoltre, che ci sarà un intervento dello Stato per migliorare la situazione delle ferrovie. Da quanto trapelato finora, il documento riaffermerà l’impegno dei laburisti nel mettere ordine nel mercato del lavoro: si parla di un New Deal per l’occupazione, con il divieto dei meccanismi fittizi di “licenziamento e riassunzione” e dei “contratti di sfruttamento”, proteggendo al contempo gli accordi di contrattazione collettiva esistenti.
Si prevede che il documento includa anche un ambizioso “Piano di Green Prosperity”, in base al quale il governo laburista creerebbe una nuova società energetica di proprietà statale denominata Great British Energy per co-investire con gruppi privati in energie rinnovabili. Questo piano includerà anche spese per un programma nazionale di miglioramento termico degli edifici e per la creazione di un “fondo di ricchezza nazionale”, volto a facilitare la decarbonizzazione di industrie come quella dell’acciaio. Il documento conterrà anche una parte sul cessate il fuoco in Palestina e sulla creazione di uno Stato palestinese.
Rimane sullo sfondo una grande questione, che il Labour finora non ha mai voluto affrontare direttamente: quella del rapporto con l’Europa e delle conseguenze della Brexit. Se Sunak ha mosso timidi passi in direzione di un riavvicinamento all’Unione, l’esecutivo laburista dovrà sicuramente intraprendere un ulteriore percorso in questa direzione, dato che la tanto agognata “stabilità” potrebbe rivelarsi temporanea e fragile per un’economia messa in crisi dall’isolazionismo e dalle complessità burocratiche generatesi dopo la Brexit nelle relazioni con gli altri Stati europei. Ma questa è una partita di lungo periodo, da affrontare con cautela, visto il persistere nel Paese, nonostante tutto, delle posizioni pro-Brexit in una componente non trascurabile dell’elettorato.