Nella chiusura della campagna elettorale a Roma, la segretaria del Pd, Elly Schlein, ha lanciato un accorato appello a militanti e simpatizzanti, che la seguivano nel comizio al Testaccio, affinché battano i bar del quartiere invitando ad andare a votare e a sostenere i candidati del suo partito. È la proposta di un ritorno a una militanza materiale, diciamo così, apprezzata dai compagni più anziani, che hanno potuto così trovare un avallo a pratiche da tempo non più in auge.
Nel frattempo, è arrivato il nuovo report “Data room” di Milena Gabanelli (sul “Corriere della sera” del 5 giugno, vedi qui) che indica invece una diversa direzione a cui guardare per capire come si vadano combinando i mosaici del consenso elettorale. Tornando su un tema che abbiamo affrontato più volte su queste pagine, il report documenta come sia in azione un altro tipo di attivisti elettorali, dei silenziosi e frenetici bot, sistemi di dialogo digitale che, automaticamente, profilano i propri interlocutori in modo da poter dialogare con loro sapendo quali siano i punti sensibili e le debolezze della controparte. Una popolazione numerosissima, migliaia e migliaia, che abitano il cosiddetto deep web, lo spazio oscuro della rete, che sfugge ai controlli istituzionali. In questo scenario, si muovono vere e proprie schiere di bot, organizzati e diretti, prevalentemente, da bande di matrice russa e cinese, che interferiscono nel senso comune dei Paesi che vanno al voto. Infatti, le aree più frequentate sono l’Europa, alla vigilia della consultazione di giugno, e gli Stati Uniti, dove infuria la violenta contesa fra il presidente uscente Biden e lo sfidante Trump, già sostenuto in passato da forze filorusse.
Due sono i livelli su cui agiscono questi sistemi. Il primo, che viene intercettato dalla ricerca di “Data room”, vede in azione una serie di siti che si rimpallano delle clamorose fake news – come la foto dell’arresto della presidente della Commissione europea, von der Leyen – e si spargono nella rete raggiungendo le comunità di confine, quelle cioè dove i partecipanti sono incerti fra schieramenti convergenti, come una scelta astensionista o il voto ai 5 Stelle, oppure tra il dualismo fra Lega e Forza Italia. Un continuo bombardamento di notizie del tutto improbabili – ma assonanti con i temi della polemica – crea un clima radicalizzato, che spinge su posizioni sempre più estreme l’opinione. Un secondo livello, più insidioso, è quello appunto del dark web, dove si raccolgono i dati sugli elettori degli Stati contendibili (nelle elezioni americane), quelli in cui per pochi voti potrebbero cambiare le maggioranze, cominciando a inquadrare migliaia di elettori in queste aree per spingerli su posizioni sempre più divisive. Questi sistemi sono tipici di fasi in cui la polarizzazione fra gli schieramenti è esasperata, e in cui, soprattutto, domina un’atomizzazione completa, dove ogni elettore è isolato e non ha comunità di riferimento entro cui verificare informazioni e opinioni.
In questo quadro sociale, la destra può cavalcare coerentemente un’azione di sobillamento che sale dalla rete, e soprattutto può agganciarsi al disorientamento individuale rispetto all’incombere di potentati minacciosi – dai grandi gruppi tecnologici alle ricchezze smisurate dei vertici finanziari – per eccitare un clima sanfedista, da lazzaroni contro la Repubblica napoletana del 1799. Questa strategia, che produce frustrazione isolando gli individui e cancellando ogni strategia solidarista, si scaglia poi contro indeterminate élite, ma per lo più identificate con i ceti privilegiati intellettuali della sinistra, e difficilmente può essere contrastata con qualche giro nei bar di quartiere.
Stiamo parlando di una nuova idea delle casematte gramsciane, in cui la società è analizzata e si individuano le forme e gli interessi sociali in cui radicarsi. L’isolamento della sinistra non è figlio di una sua inefficienza organizzativa, semmai l’inverso: la vaghezza del partito è il risultato di una vaghezza di cultura politica. Quanto accade negli Stati Uniti lo conferma: Trump, per quanto screditato e compromesso, rimane un martello da usare contro l’insopportabilità di quel ceto liberal la cui compassionevole cultura assistenziale risulta insopportabile per chi vuole bruciare le tappe e sovvertire le gerarchie. La sedizione digitale, di cui Gabanelli si è fatta da ultimo testimone, è la versione aggiornata dei Fasci di combattimento mediante cui la destra reazionaria si impossessò di linguaggi e persino modelli organizzativi di una sinistra svilita dalla confusione politica.
La geografia del voto – che andremo a verificare lunedì prossimo – ci dirà quanto di questo ragionamento sia vero. Quale sia la mappa di un astensionismo ormai esplicitamente politico, in cui si annidano milioni di orfani di una progettualità ambiziosa e credibile. O ancora, quanto del voto alla destra coincida con le regioni della produzione, in cui un individualismo competitivo senza contrasto sociale diventa puro clientelismo fiscale o di sussistenza. Soprattutto, ci dirà come avrà scavato la talpa digitale nei cunicoli che ancora legano socialmente aree come le ex regioni rosse o i quartieri delle città, in cui i bar popolari diventano rari, mentre crescono le gelaterie rissose.