Mentre Totopoli (vedi qui) sta travolgendo una serie di figure minori – e, tra dimissioni e inquisiti, si sfalda buona parte dell’entourage di Toti –, il presidente della Regione continua a opporre una pervicace resistenza alla richiesta di dimissioni presentata dalle opposizioni. Ha tuonato in una lettera aperta: “Si vuole distruggere il modello Liguria!”. Ma in questi giorni a Genova tiene banco un’altra vicenda, che riguarda un luogo importante, sotto il profilo storico e simbolico, Portofino, e che in fondo ci parla di un uso degli spazi pubblici non lontano da quello auspicato dal presidente ai domiciliari; basterebbe pensare a quel che si voleva fare dell’isola Palmaria: “La Liguria come la Florida e l’isola Palmaria come Capri”, vagheggiava Toti, sognando mega-progetti, investimenti immobiliari e resort di lusso; e di Portovenere, di fronte all’isola, era sindaco il suo braccio destro dimissionario, Matteo Cozzani.
“I found my love in Portofino”, cantavano Fred Buscaglione, Dalida, Dean Martin e altri interpreti famosi, che hanno contribuito non poco alla diffusione planetaria di una mitologia del piccolo borgo rivierasco. Ma Portofino non è più quella di un tempo: negli ultimi anni, ha subito un’evoluzione su cui vale la pena di spendere qualche riflessione. L’occasione è quella del “matrimonio miliardario” dei figli di due magnati indiani, su cui ha indugiato nei giorni scorsi il gossip. In realtà, neppure di vero matrimonio si tratta, ma di una delle tappe di una sfarzosa festa di pre-matrimonio, una festa che prosegue da mesi, in più tappe, e che si concluderà a Mumbai con la cerimonia finale. Non interessa qui fare considerazioni moralistiche su una celebrazione matrimoniale tra le più dispendiose della storia (si parla di circa centotrenta milioni di euro). Quello che è interessante è quanto accaduto durante la festa a Portofino, che ha visto oltre 1200 ospiti radunati nella piazzetta del comune ligure, praticamente blindata. Il paese è stato preso in affitto nella sua totalità, solo pochissimi esercenti si sono rifiutati di accettare le stratosferiche offerte fatte dagli indiani (anche diecimila euro per tenere chiuso per un giorno), che volevano il centro completamente a loro disposizione.
Curiosamente, buona parte dei commenti sulla stampa locale, per lo più accondiscendenti e servili (con l’eccezione di Marco Preve su “Repubblica”), celebrano entusiasticamente il “matrimonio da mille e una notte”; si soffermano eccitati sul Big Fat Wedding dell’anno, insistendo sui dettagli del lusso e sul folclore degli ospiti vip, spargendo qualche lacrimuccia sulle povere modelline convocate come decorazione e poi mollate a terra, non imbarcate sulla nave degli invitati veri. Non si sono viste particolari proteste a fronte di una privatizzazione senza precedenti di un intero borgo storico, che è stato a partire dalle cinque del pomeriggio accessibile soltanto a chi aveva l’invito al matrimonio, con una sorveglianza arcigna, che controllava che tutti avessero i braccialetti identificativi, spinta fin quasi a escludere dall’accesso in centro alcuni “vip minori”, appartenenti a una casta inferiore, come il musicista Bob Geldof e la modella Afef Jnifen, pure presenti in paese lo stesso giorno. Triste vedere i carabinieri che aiutano a chiudere la celebre piazzetta. Certo, qualcuno si è lamentato sui social quando quella che, per analogia, potremmo chiamare la Narrenschiff, la chiassosa nave carnevalesca dei pazzi, con a bordo ottocento persone festanti, a tarda notte è ripartita, fermandosi a Genova, e tenendo svegli fino al mattino con musica a tutto volume gli abitanti del quartiere di San Teodoro, che abitano proprio di fronte alla stazione marittima.
Il punto però è un altro – e lo ha ben rilevato Massimo Maugeri, esponente di spicco di Legambiente Liguria, soprattutto a lungo componente della Comunità del parco di Portofino, tra i pochissimi ad avere attaccato la scelta del sindaco, Matteo Viacava: “Quanto è successo in questi giorni, con la privatizzazione della piazza per il ‘matrimonio indiano’, è inaccettabile (…). La privatizzazione seppur temporanea è un pessimo precedente per il paese. Nel momento in cui l’amministrazione vende temporaneamente lo spazio pubblico privandone dell’accesso il cittadino, che ne è il vero proprietario, abbiamo ridotto la democrazia”.
L’evento, certo pacchiano e volgare nella sua esibizione sfrontata di potere economico e di ricchezza, è però solo l’ultimo e il più clamoroso di una serie di eventi analoghi a matrimoni di lusso e di celebrazioni, che si ripetono ormai sempre più frequentemente, e hanno tutti come sfondo il bel décor del comune rivierasco. Che, alla faccia del bene comune, ormai da tempo è stato in buona parte privatizzato, secondo un’implacabile e progressiva geometria dello spossessamento, che ha visto diventare esclusive le parti più appetibili del patrimonio paesaggistico. Portofino è anche il comune italiano più ricco. Lo testimoniano i dati sui redditi dichiarati nel 2023, che vedono il borgo ligure svettare in testa alla classifica, con un reddito medio di 90.610 euro annui. La tendenza all’arricchimento contrasta bruscamente con il declino demografico. Il borgo continua a perdere abitanti, oggi sono 361, contro i cinquecento del decennio scorso. Le 1200 persone presenti per la festa di pre-matrimonio indiana rappresentavano quattro volte il numero dei residenti.
Il trend non lascia dubbi, il comune si sta progressivamente spopolando. Il suo destino potrebbe quindi essere quello di diventare progressivamente una sorta di albergo diffuso, di borgo abbandonato, riciclato in chiave di scenario turistico. Qui non si tratta più nemmeno di gentrification o di turistificazione, come si dice oggi; siamo di fronte a un fenomeno nuovo e per certi versi estremo: la trasformazione di un luogo, per secoli abitato da esseri umani, in un parco a tema, in uno scenario vuoto buono per tutti i tipi di cerimonia e di rappresentazione. Una enclave sul cui sfondo potrebbero un giorno muoversi solo dei figuranti, magari vestiti con l’abbigliamento tipico dei pescatori di un tempo, o, per fare un po’ di folclore, imitazioni di macchiette di liguri d’antan, travestite da Gilberto Govi. E questo nonostante nei documenti ufficiali si sprechino le retoriche della sostenibilità.
La riflessione sul turismo oggi deve innanzitutto considerare che è sostenibile solo il turismo che permette agli abitanti di continuare a vivere dove hanno sempre vissuto. Per anni, da Portofino sono stati respinti come appestati artisti di strada e turismo povero, come se fossero loro a rappresentare un problema. Il risultato è quello di trovarsi precipitati nella distopia veneziana – ritrovarsi sull’orlo dell’estinzione, in parte proprio per un eccesso di fascinazione. Portofino era un posto paradisiaco. Ancora qualche decina di anni fa era possibile, con modica spesa, andarci a fare il bagno, ed era una risorsa apprezzata anche dai genovesi, che facevano la classica passeggiata sul monte e poi scendevano a rinfrescarsi nel borgo. Ora si appresta a diventare un’appendice di via Montenapoleone, sede di un arrogante turismo di lusso, asservita agli interessi privati e ai capricci del jet set internazionale. E questo potrebbe essere il destino anche di altri luoghi analoghi del Paese, da Firenze a Roma: a quando la privatizzazione di Piazza Navona?