Si avvicinano le più inquietanti elezioni europee della storia e i segnali di un significativo spostamento a destra, nel prossimo parlamento europeo, appaiono inequivocabili. In Francia, il Rassemblement national di Marine Le Pen farebbe la parte del leone, ottenendo, sulla carta, il 31%, quasi il doppio dei voti dei suoi più diretti rivali: i socialisti, attestati intorno al 15, e il partito di Macron accreditato più o meno sulla stessa cifra. Il Rassemblement sembra dunque destinato a registrare una vittoria molto preoccupante, per le sue dimensioni e per le sue implicazioni. In Germania, come abbiamo segnalato più volte su queste pagine, il partito di estrema destra (Alternative für Deutschland) è cresciuto nel corso dell’anno, ha ottenuto buoni risultati nelle ultime amministrative pressoché ovunque, non solo nei suoi feudi a Est, ed è dato, negli ultimi sondaggi dell’affidabile istituto Ipsos, circa al 16,5%, secondo partito del Paese dopo i cristiano-democratici che raggiungerebbero il 30. Restano poco sotto il 15% i socialdemocratici e i verdi, mentre si riducono a un trascurabile 3% i liberali e una Linke in via di dismissione. I tre partiti della coalizione “semaforo” oggi al governo, insieme, farebbero poco più di un misero 30%.
Come si vede, non tira una bell’aria in Germania, nonostante la AfD abbia perso, negli ultimi mesi, qualche punto nelle intenzioni di voto, sia per il logorio a sinistra operato dal partitino populista di Sahra Wageknecht, che pare le abbia limato almeno due punti percentuali di potenziali suffragi, sia a causa di un paio di scandali in cui è stata coinvolta, tra cui ha avuto un’eco internazionale il tentativo operato da uno dei suoi candidati (ormai ex) di “riabilitazione” di alcuni membri delle SS. In Italia la musica non è granché diversa, con il previsto prevalere delle destre. Difficile dire, però, se dopo la tornata elettorale, a giochi fermi, tutti questi partiti saranno in grado di formare una forza unitaria nel parlamento. Certo crescono, e non solo sotto il profilo della importanza politica. Come ha rivelato un’inchiesta del “Guardian” sui loro finanziamenti, godono di un sostegno finanziario tutt’altro che trascurabile, che non consiste solo in donazioni ufficiali. L’unica magra consolazione è rappresentata dal fatto che la destra radicale paneuropea è divisa in blocchi conflittuali e rivali, e internamente è in disaccordo su questioni cruciali, come la guerra in Ucraina. La AfD, decisamente ingombrante per la destra più moderata, è stata recentemente espulsa dal gruppo “Identità e democrazia”, come a dire che c’è già chi pensa a un’Europa di destra-centro, con una sorta di europeizzazione del modello meloniano, su cui ha scommesso la presidente del Consiglio. Tuttavia, l’ascesa dei partiti nazionalisti, populisti ed euroscettici, in tutto il continente, è un fenomeno caratteristico dei tempi. Né è possibile rubricare il fenomeno a mera contingenza dovuta alla guerra e all’impoverimento di massa.
Così la visita di Macron questa settimana in Germania assume il sapore di un estremo tentativo di arginare la marea che sale. È la prima visita di un presidente francese da ventiquattro anni a questa parte. Macron è andato a parlare nella tana dell’estrema destra, a Dresda, e ha chiesto più Europa per respingere l’estremismo illiberale. In particolare, ha chiesto di raddoppiare la spesa dell’Unione per le sfide che vanno dalla transizione verde al potenziamento della difesa. Con Scholz ha discusso di varie misure per incrementare la crescita: l’unione dei mercati dei capitali e un ripensamento delle norme sugli aiuti di Stato, per consentire all’industria di competere con i rivali cinesi e americani.
L’ultimo giorno della visita di Stato di Macron è stato dominato dalla questione della guerra. Il presidente francese vuole autorizzare l’Ucraina a usare le armi occidentali sul territorio russo, ampliando l’area di intervento. Scholz, come ha sempre fatto fin dall’inizio del conflitto, frena. In ogni caso, durante l’incontro, i due si sono sforzati di minimizzare le differenze tra i loro governi. Esse però sono emerse su alcuni punti. Per esempio, il capo di Stato francese si è espresso a favore della possibilità per l’Ucraina di attaccare le posizioni russe nell’entroterra con armi occidentali: “Dobbiamo permettere loro di neutralizzare le basi militari da cui vengono lanciati i missili”, ha detto. Gli ucraini vengono attaccati da basi in Russia, ha sottolineato Macron, “tuttavia, non dobbiamo permettere loro di attaccare altri obiettivi in Russia, soprattutto strutture civili”, ha aggiunto. È la prima volta che un capo di Stato di un Paese della Nato sostiene così chiaramente l’uso di armi occidentali contro postazioni in Russia.
Scholz, per parte sua, è stato meno chiaro di Macron sulla questione, e si è limitato a lasciare intendere di non avere obiezioni di tipo tecnico e giuridico a una simile mossa. “L’Ucraina ha tutte le possibilità, in base al diritto internazionale, di fare ciò che sta facendo”, ha dichiarato Scholz, che ha smentito le notizie diffuse dai media secondo cui la Germania starebbe impedendo la fornitura di sistemi d’arma più avanzati. Non ci sono mai state dichiarazioni in tal senso “e non ce ne saranno mai”, ha detto, facendo però rilevare che l’uso delle armi fornite da Stati Uniti, Francia e Germania è soggetto al rispetto del diritto internazionale, che il precedente accordo con l’Ucraina aveva “funzionato bene nella pratica”, e quindi bisognerebbe riflettere prima di cambiarlo.
Entrambi hanno concordato sul progetto di utilizzare i proventi degli interessi dei beni russi congelati in Europa per l’Ucraina. “Vogliamo dare all’Ucraina l’accesso a miliardi di finanziamenti aggiuntivi, in modo che possa provvedere in modo affidabile alla sua difesa e quindi aumentare ulteriormente la sicurezza dell’intera Europa”, ha dichiarato il cancelliere. La Germania e la Francia vogliono anche espandere ulteriormente la loro cooperazione nello sviluppo di armi di precisione, ha detto il cancelliere, e Macron ha sottolineato: “Siamo pronti a una cooperazione a lungo termine in questo settore”. Così, un po’ mestamente, si sta scivolando verso un ulteriore e più ampio coinvolgimento europeo nel conflitto. E l’accordo lo si trova più facilmente sulle armi che su una maggiore chiarezza della politica internazionale dell’Unione.
Anni di stagnazione economica hanno reso le democrazie liberali vulnerabili ai movimenti euroscettici, che stanno guadagnando terreno giocando sulla guerra, sulle insicurezze, prendendo di mira i migranti e facendo campagne terroristiche sui costi del green deal. All’insegna delle varie declinazioni nazionali, del “più Italia meno Europa”. Invece, nell’incontro tra i due leader, è emersa la necessità drammatica di una più forte sovranità europea. Di un cambiamento progressivo che consenta alle istituzioni dell’Unione di rafforzare i settori chiave, di proteggere le industrie, arginando il diffondersi della povertà e le ansie economiche.
A fronte di una minaccia nazionalista, che cerca di disfare quella che è stata la lentissima costruzione della integrazione e cooperazione europea, occorrerebbe reagire energicamente. Forse è tardi, il vento soffia in direzione contraria; Scholz e Macron appaiono indeboliti nei rispettivi Paesi, e le possibilità di avviare almeno un simile cambiamento prima delle elezioni sono ormai scarse. Nella confusa situazione attuale del vecchio continente, tutto sembra accelerare verso una direzione diversa, che non promette niente di buono.