Si chiama Roma moderna, due secoli di storia urbanistica il libro appena uscito da Einaudi (536 pagine, 33 euro, con un ricco apparato iconografico e fotografico), firmato da Paolo Berdini e Italo Insolera, il grande architetto e urbanista scomparso nel 2012. Dal 1962, il libro ha avuto molte edizioni nel corso degli anni (l’ultima, frutto della collaborazione di Berdini con Insolera, fu quella del 2011) ed è considerato un punto di riferimento per gli addetti ai lavori. Ma non si tratta solo di un testo specialistico, perché, al contrario, ha un grande interesse politico generale: vi si spiegano i meccanismi perversi alla radice dei tanti problemi atavici di una capitale cresciuta in modo abnorme, sull’onda della speculazione edilizia, dell’abusivismo e del ricatto della rendita, prima fondiaria e poi finanziaria. Il lavoro di aggiornamento e di “ristrutturazione” di Berdini non si ferma alla denuncia dei mali di Roma. Che conosciamo tutti. Nella nuova edizione, oltre alla diagnosi, troviamo infatti alcune indicazioni preziose per una possibile terapia e per un rilancio della grande arte della programmazione urbanistica, oggi relegata ai convegni universitari.
Come nell’edizione del 2011, Roma moderna prende avvio dai decreti di Camille de Tournon per conto di Napoleone I, che, all’inizio del Diciannovesimo secolo, nel periodo della fuga del papa e di asservimento di Roma alla Francia, voleva trasformare quella che era al tempo poco più di un borgo medioevale in una città imperiale bene organizzata. Mentre l’edizione del 2011 (l’ultima di Insolera) si sviluppava con il racconto di Roma capitale, da Napoleone fino agli albori del nuovo millennio, la nuova edizione affronta anche l’ultimo ventennio (la crisi del 2008, “mafia capitale”, lo scontro sul nuovo stadio della Roma As), e cerca soprattutto di guardare al futuro. Insomma, abbiamo a disposizione la ricostruzione di due secoli di storia dell’architettura, dell’urbanistica e della politica, insieme con l’analisi dettagliata sulle proposte di intervento pubblico per evitare il disastro di una città sempre più alle prese con il traffico soffocante, l’inquinamento, la gestione dei rifiuti e l’abbandono delle periferie a sé stesse.
Come ha detto Walter Tocci, durante la presentazione del libro al teatro Brancaccio, Paolo Berdini è stato molto coraggioso nel mettere mano all’opera di Insolera e ad aggiornala. Facendo un paragone con l’edilizia, è come se si fosse dovuto mettere mano alla ristrutturazione di un importante palazzo storico. Molto difficile intervenire, e soprattutto ampliare, senza fare guai. Leggendo il libro, in particolare gli ultimi cinque capitoli, dobbiamo però riconoscere l’abilità di Berdini, grande esperto di urbanistica e di amministrazione – dopo la burrascosa esperienza di assessore nella giunta Raggi, dalla quale dovette prendere le distanze a causa delle scelte che si stavano facendo a proposito dei progetti per il nuovo stadio della Roma a Tor di Valle.
Entrando nei dettagli dei vari passaggi, il testo – già molto utilizzato in passato per la formazione di generazioni di architetti, di storici dell’arte e urbanisti – ci fornisce il quadro esatto dello sviluppo distorto della capitale, mentre il curatore non si ferma alla denuncia generica dei meccanismi della corruzione, ma fa nomi e cognomi dei protagonisti della grande saga. Filo conduttore del racconto (organizzato in capitoli brevi che facilitano la lettura) è la ricerca disperata del “Piano”, inteso in senso tecnico come piano regolatore e, in senso lato, come progetto politico basato su un’idea generale di città e di vivibilità. Il tema si ripete, come in una giostra di corsi e ricorsi. Il quinto capitolo è dedicato al piano regolatore del 1873. Il sesto al piano regolatore del 1883. La città si sviluppava però “a prescindere”. I decenni passano da un piano a un altro: 1909, parabola fascista, piano del 1931, poi il “piano ombra” del 1942. Con il secondo dopoguerra, si apre un’altra storia, con il piano regolatore degli anni Cinquanta, l’ultimo prima della crisi dell’urbanistica e della programmazione politica degli anni Sessanta, che per Berdini, nel campo dell’urbanistica e delle scelte sulla città, appare come il “decennio del disimpegno” in netta contraddizione con gli anni dell’impegno e della “rivoluzione” del ’68.
“Le battaglie per il piano regolatore e per il centrosinistra sembrano concluse: prive di obiettivi immediati – scrive Berdini –, di slogan precisi, le forze che erano state protagoniste di quelle battaglie si sbandano”. Si allontanano progressivamente i tempi di Mani sulla città di Rosi, e delle inchieste di Aldo Natoli sul “sacco di Roma”. Sono anni che preludono al dilagare della città abusiva e della “metropoli condonata”. Secondo la ricostruzione di Berdini, la crisi attuale dell’amministrazione pubblica deve essere cercata, quindi, in quelle scelte di disimpegno e distacco dall’urbanistica e poi – a partire dagli anni Novanta del secolo scorso – dal trionfo della cultura neoliberista. Il punto è molto delicato, perché questa dismissione degli ideali illuministici e liberali ha travolto anche i partiti della sinistra italiana e romana. Paolo Berdini contesta il luogo comune che per essere “moderni”, anche a sinistra, bisogna essere aperti alle sfide del neoliberismo. “Dobbiamo sfatare la leggenda della sovrapposizione di liberismo e neoliberismo, che non è affatto liberale e democratico”, ha spiegato Berdini durante la presentazione del libro. I problemi dell’amministrazione di una città come Roma derivano, dunque, anche dalle scelte fatte dalla classe politica che ha governato negli anni della grande modernizzazione. Avere accettato “blairianamente” le logiche neoliberali (alla fine coincidenti con il neoliberismo economico), ha comportato la rinuncia all’uso di strumenti di governo potenti capaci di salvare l’interesse pubblico dalla voracità dei privati, siano essi palazzinari, rentier o – oggi – i grandi fondi di investimento e marchi del lusso. Berdini non cede ai facili moralismi o alle generalizzazioni ideologiche. Nel libro racconta i fatti, la cronaca vera che si trasforma in storia nei passaggi cruciali della gestione della capitale. Quindi un excursus, dall’espulsione dei ceti popolari dal centro alla costruzione delle borgate e delle grandi periferie ai margini della città, fino alle scelte spesso dissennate sui trasporti, e poi alla nascita dei grandi centri commerciali.
Roma moderna non è però un triste elenco di fallimenti e di fenomeni negativi. Risulta essere piuttosto una disamina (anche tecnica) delle scelte fatte e di quelle che si sarebbero potute fare in alternativa. Comunque, scelte sempre politiche con effetti politici e sociali. Il filo conduttore della ricerca disperata del “Piano” si affianca, infatti, alla timidezza di alcune delle amministrazioni che si sono alternate al Campidoglio (anche se con importanti eccezioni). Accanto al racconto delle scelte dei politici e degli amministratori, non mancano spunti interessanti su un altro dei grandi protagonisti della storia di Roma: il Vaticano e la Chiesa, nell’evoluzione dal potere delle grandi famiglie ecclesiastiche dell’Ottocento alle scelte più recenti sul Giubileo.
E, proprio in vista del nuovo Giubileo, Berdini ripropone la riflessione sul futuro di una città che, da una parte, rischia di essere soffocata da un turismo sempre più “scappa e fuggi” e, dall’altra, dagli interessi di chi affitta a breve e brevissimo tempo – e soprattutto dai marchi del lusso che si stanno comprando tutto il centro (vedi qui), divenuto già una grande unica vetrina del commercio per ricchi. Il libro contiene tuttavia una novità importante. “In conclusione del percorso storico di Roma moderna – scrive Berdini nell’ultimo capitolo –, è certo utile lanciare un segnale di speranza. Quello di una città in cui gli spazi vuoti assumono un ruolo identitario e ordinatore”. Si propone di ripartire dalla valorizzazione del grande patrimonio culturale e ambientale, a partire dai grandi parchi che, per fortuna (per i vincoli archeologici e paesaggistici), si sono salvati dalla devastazione del cemento. Il modello può essere quello della via Appia Antica e della valorizzazione effettiva delle periferie. “La creazione del sistema verde delle periferie romane è il primo passo della costruzione di un’idea nuova di città basata sull’ecologia integrale”. Un discorso che vale per le periferie, ma vale a maggior ragione per il centro, che secondo la concezione visionaria di Berdini, deve essere ripopolato a partire dal patrimonio pubblico. Sono stati fatti imperdonabili errori, “compiuti nell’errata convinzione che l’unico orizzonte possibile fosse quello di assecondare le dinamiche economiche e sociali”. “È invece soltanto la concezione della città pubblica e dell’economia solidale che può sconfiggere il degrado e restituire il centro storico a un uso consapevole e rispettoso della sua immensa bellezza”.
Il futuro di Roma non può essere affidato ai “grandi eventi” (come sembra voler fare la giunta Gualtieri), o alla costruzione di nuovi stadi (di grande interesse, anche autobiografico, il capitolo 32). Paradossalmente, la Roma moderna e contemporanea potrà avere un futuro solo se saprà riscoprire il valore della sua storia antica, magari tra le pietre della via Appia, e così riprendere un po’ del coraggio di quegli urbanisti e sindaci che si batterono per contrastare l’ingordigia degli interessi privati, difendendo il bene pubblico più grande: quello della convivenza sostenibile.