L’America latina fa paura. È stata già terribile la seconda parte del Novecento, tra rivoluzioni più o meno fallite, golpe militari, e poi con l’affermarsi dei mercanti della morte, dei trafficanti di droga. Ancora più terribili sono il presente e il futuro di quel continente, diviso fisicamente da un piccolo corridoio di mare dall’America del Nord. Gianni Melillo, procuratore nazionale antimafia, ha organizzato a Palermo, in occasione dell’anniversario della strage di Capaci – in cui furono uccisi Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e la loro scorta –, un incontro di studio e di coordinamento tra magistrature e forze di polizia sul “narcotraffico internazionale”.
C’è una novità che impone una sfida apparentemente impari contro lo “Stato del narcotraffico”. “La criminalità organizzata latinoamericana integra oggi una minaccia globale”. Dagli inizi del nuovo millennio la comunità internazionale ha considerato il fenomeno delle migrazioni come una “minaccia globale”, giacché si presentava come un fenomeno di massa, non più di singoli che migravano per motivi economici, di discriminazioni di genere, etnia o credo religioso, o per sfuggire alle guerre; e oggi migrano pezzi di mondi anche per motivi climatici e ambientali. Ma una “minaccia globale” è diventata soprattutto la criminalità organizzata latinoamericana. “Il narcotraffico – è lo spunto di riflessione del meeting in programma nei prossimi giorni – si afferma in modo sempre più consistente come minaccia anche nel Nord Europa, in Paesi ritenuti tradizionalmente immuni dalle azioni dei cartelli e delle mafie, che registrano livelli di violenza quotidiana senza precedenti”.
La procura nazionale antimafia suggerisce dunque una strategia di cooperazione giudiziaria internazionale, ispirandosi in questo all’eredità lasciata da Falcone: “Le strettissime interconnessioni e relazioni tra le associazioni mafiose italiane e le reti di narcotrafficanti internazionali costituiscono una realtà storica e processuale più che riscontrata. È necessaria quindi una revisione degli schemi tradizionali di ricostruzione geopolitica del fenomeno del narcotraffico, con specifico riguardo all’America latina, in considerazione dei mutamenti di scenario occorsi negli ultimi anni, e che richiedono una nuova strategia globale e universalmente condivisa di prevenzione e contrasto”.
Pensiamo a Pablo Escobar o al cartello di Medellín (Colombia), quando riflettiamo sul narcotraffico. Erano gli anni Ottanta. Ma poi tutto è cambiato. Oggi i cartelli sono presenti in tutti gli Stati sudamericani e dell’America centrale. E le inchieste giudiziarie e investigative recenti fanno intravedere uno scenario più inquietante: “Ai gruppi criminali tradizionali si affiancano infatti organizzazioni ancora più pericolose, in alcuni casi in grado di attaccare le istituzioni come in un conflitto armato, ed in condizioni di sfruttare le falle delle misure di sicurezza e il cattivo funzionamento dei sistemi penitenziari”.
Per esempio, in Messico – dove è in corso la campagna elettorale che il 2 giugno eleggerà il presidente, oltre a centinaia di nuove amministrazioni locali (vedi qui e qui) –, da marzo a oggi sono quotidiani gli assassini di candidati, magistrati, uomini delle forze dell’ordine. Oppure pensiamo a quanto accaduto di recente a Haiti (vedi qui) o in Ecuador, dove nel 2023 è stato eliminato il candidato alle elezioni presidenziali, Fernando Villavicenzio. Il suo omicidio è stato eseguito da due killer colombiani, a loro volta eliminati in carcere dopo l’arresto. Ancora in Ecuador è stato ucciso, nel gennaio scorso, il magistrato César Suárez. In Paraguay, nel 2022, fu assassinato il procuratore antidroga, Marcelo Pecci Albertini. Tutti gli Stati latinoamericani rischiano insomma di diventare dei “narco-Stati”. “Pur avendo gli stessi narco-cartelli latinoamericani progressivamente affinato le modalità di approccio all’amministrazione pubblica, mediante l’instaurazione di vere e proprie trattative ai massimi livelli, la violenza endemica in Messico e quella sviluppatasi negli ultimi mesi in Ecuador, oltre ai recenti gravi accadimenti in Argentina e Paraguay, hanno attirato l’attenzione dell’opinione pubblica a livello globale”.