Fiumicino era, nel corso di tutti gli anni Cinquanta e Sessanta, quando ancora le auto private non erano molto diffuse, il mare dei romani, dove si arrivava col treno. Dalla stazione si attraversavano il piccolo paese e un canale, passando per un ponte levatoio che tuttora esiste, per arrivare a una strada (che terminava molto prima del faro militare, costruito nel 1946), alla cui destra sorgevano pochi stabilimenti molto popolari. Di quegli anni ricordo, nell’attraversare il paese, un’insegna con un pesce rosso che campeggiava su un negozio: era il segnale che aspettavo, quello di arrivare al mare. Ci andavo con i miei genitori, e poi anche solo con i miei amici. Facevamo il bagno in mutande per non farci scoprire dai genitori e lì ho imparato a nuotare. Presso gli stabilimenti, se ci andavi di sabato o di domenica, non era insolito incontrare Pasolini che, su quelle piattaforme di cemento appoggiate sulla sabbia, ballava insieme ad altri il mitico chachacha.
Spesso, con gli amici, ci spingevamo oltre su una piccola strada di campagna fino al faro, scavalcavamo la recinzione militare e ci trovavamo in una solitudine dove le onde del mare erano l’unico suono avvertito. Accanto al faro, c’erano i “bilancioni”, piccole palafitte conficcate per metà sugli scogli e per metà in mare, adibite alla pesca e oggi in disuso a causa dell’insabbiamento costiero. Oltre la rete per la pesca, i bilancioni erano caratterizzati da piccole e modeste abitazioni in legno per la sosta e il riposo dei pescatori. All’ingresso del faro oggi c’è un porticciolo dove ormeggiano poco più di duecento piccole imbarcazioni, la cui concessione è passata alla società Royal Caribbean (della quale parlerò in seguito). Già oggi la costruzione del porticciolo ha portato i suoi danni: “Esso ha praticamente favorito l’azione delle correnti marine che hanno fatto opera di ‘ripascimento’ della costa. In alcuni punti è tornata una spiaggia profonda circa ottanta metri e a ridosso della scogliera che protegge il porticciolo dove sorgono i bilancioni, il fondale si è ridotto a meno di un metro” (U. Serenelli, Fiumicino, i vecchi bilancioni del faro pescano nella sabbia, in “Il Messaggero. Ostia” del 16 marzo 2023).
Prima di arrivare al faro, una piccola svolta a sinistra portava a un modesto villaggio di lamiere, legno e altri incredibili materiali, con tanto di giardinetti e statue di nanetti che li adornavano. Le strade tra le case, tutte abusive, erano in terra battuta, spesso allagate dalle piogge recenti, cinte da muretti a secco che delimitavano le proprietà. Se avevi la pazienza di percorrerle a piedi, ti conducevano alla scogliera che si ergeva fino a due metri di altezza, oltre la quale appariva imponente il Tevere che sfociava in mare. Una vista fantastica.
Al di là del Tevere c’era un altro villaggio fatto di casupole abusive, l’Idroscalo, con le stesse caratteristiche, abitato da poveri senza casa, sbandati e da famiglie meno abbienti. Questo villaggio è stato sgomberato qualche anno fa, e i “residenti” sono stati trasferiti in case popolari lontane. Dal villaggio partiva una strada, e a ridosso di essa un pratone, dove Pasolini trovò la morte tra il primo e il due novembre del 1975. Lì è stato eretto da Mario Rosai un piccolo monumento, e parte del pratone è stata trasformata in giardino con pietre d’inciampo che ricordano alcuni versi dello scrittore. Più avanti, su questa stessa strada, appare in solitudine la michelangiolesca Torre di San Michele; poi, proseguendo oltre, si arriva agli ultimi caseggiati di Ostia fattasi sempre più grande.
In questo posto – la foce del Tevere – incantato, magico, zeppo di presenze archeologiche e di bellezze naturali, sta per abbattersi una mostruosa colata di cemento per la costruzione di ben due porti: uno riservato agli yacht e l’altro alle grandi navi crocieristiche, quelle alte oltre settanta metri e lunghe oltre trecento, che producono una quantità di CO2 pari all’insieme di quattordicimila auto col motore sempre acceso. Uno scempio, un intervento violento, devastatore, in nome della sempre tanto invocata “modernità”, dietro la quale si nasconde l’arroganza di alcuni amministratori complici della più vasta brutalità della società privata americana Royal Caribbean che gestirebbe l’attracco delle navi. Il progetto, inserito nelle opere del Giubileo 2025 (chiamato il “Giubileo della speranza”), è sponsorizzato dal sindaco, Mario Baccini, a capo di una giunta di centrodestra con l’incredibile dichiarazione: “Dobbiamo essere pragmatici e non vincolati alla cultura dei no. La realizzazione del nuovo terminal crocieristico è importante per la nostra città” (F. Paoli, A chi fa gola il megaporto crocieristico di Fiumicino, in “Tpi” del 15 maggio 2024). Da non credere!
Ma sarebbe ingiusto attribuire tutti “i meriti” di questo progetto al sindaco Baccini. Prima di lui, il suo predecessore Esterino Montino, di sinistra, ha dichiarato: “È una occasione di sviluppo per il territorio; porterà posti di lavoro e altri servizi. Ho chiesto io a Gualtieri di inserire l’opera tra quelle previste per il Giubileo” (trascrizione di una telefonata tra il giornalista Paoli ed Esterino Montino). In precedenza, il sindaco Montino aveva scritto una lettera al primo cittadino di Roma e commissario governativo al Giubileo del 2025, Roberto Gualtieri, nella quale si legge: “L’inserimento del progetto (di Royal Caribbean, ndr) nel programma giubilare rappresenterebbe un indiscutibile arricchimento del programma e potrebbe altresì consentire una notevole accelerazione delle procedure realizzative del progetto. (…) Ritengo che il progetto di realizzazione del porto turistico rappresenterebbe un elemento di potenziamento dell’intero programma giubilare”. Dopo un sollecito nel novembre successivo, la richiesta è stata accettata: l’opera è stata inserita nel Dpcm Giubileo dell’8 giugno 2023, firmato dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano. Il porto della società statunitense rientra nell’ambito dell’“accoglienza per i pellegrini e i visitatori” ed è definito “intervento essenziale”. Attualmente, la procedura di valutazione d’impatto ambientale risulta “in attesa di integrazione atti” (F. Paoli, ibidem). Ben dotti del fatto che l’opera sarebbe realizzata ben oltre la scadenza del Giubileo, i loro fautori hanno proposto che le grandi navi ormeggiate al largo potrebbero fungere da hotel galleggianti, i croceristi (oltre cinquemila) trasportati con lance sulla terraferma, e da qui a Roma ad assistere al Giubileo.
Moltissime le criticità dell’opera: mancanza di collegamenti tra il porto e la città di Roma per i crocieristi, fondali troppo bassi che richiederebbero drenaggi di milioni di metri cubi, concorrenza con il vicino porto, anch’esso turistico, di Civitavecchia, violenza ambientale nei riguardi del contesto, ecc. (vedi qui). Così i cittadini di Fiumicino (e non solo) sono insorti: il progetto è fortemente criticato dal coordinamento “Tavoli del Porto”, sigla che riunisce circa quaranta associazioni (tra cui Legambiente, Cittadinanza attiva, Italia nostra, Carte in regola) e cittadini che hanno sottoscritto il manifesto per la tutela del territorio del vecchio faro.
Anche i due ministeri, quello dell’Ambiente e quello della Cultura, in occasione della “valutazione di impatto ambientale” (Via), hanno presentato quasi trenta pagine fitte di osservazioni e richieste di integrazione documentale, in cui si può leggere che il progetto di terminal crocieristico proposto dalla società Royal Caribbean “risulta poco integrato con il contesto urbano in cui si colloca”. Alcune opere previste sono inoltre all’interno di aree vincolate.
Per il momento, il progetto è stato sospeso in attesa dei rilievi formulati, ma molti ritengono che ben presto la società Royal Caribbean ritornerà all’attacco. Inutile dire che questo progetto è l’antitesi della sostenibilità tanto invocata dal sindaco Gualtieri. Ma la riflessione più generale è come mai in tutta Italia prevale questa bruttezza progettuale, in sfregio alla bellissima tradizione dei tanti comuni italiani caratterizzati, almeno fino a cinquant’anni fa, da ricchezze di architettura, bellezze paesaggistiche, tradizioni millenarie. Chiediamoci se uno degli effetti nefasti del nuovo capitalismo estrattivo, e della sua perniciosa ideologia liberista, non sia anche quello di produrre, oltre a tanta miseria, la bruttezza.
Il problema è l’urgenza: bisogna spendere al più presto i fondi del Pnrr per dimostrare l’efficienza del governo. E allora ecco l’incuria dei progetti, alcune volte appena abbozzati, la smania di rinnovare, ammodernare, trasformare, rendere quindi le nostre città sempre più omologate a brutte copie internazionali, pur di attirare flussi di merci e di turisti, e così gareggiare con altri centri internazionali, al fine di contendere loro la posizione nelle classifiche delle città più moderne.