Sono passati più di cinque mesi di governo, ma un chiaro sostegno da parte dell’amministrazione Biden alla politica economica di Javier Milei tarda a venire, nonostante il presidente argentino abbia più volte sostenuto che il rapporto con Washington, come con Israele, rimane il perno della sua politica estera. Di certo, la situazione potrà cambiare con un eventuale ritorno di Donald Trump nel 2025; ma per il momento Milei muove i suoi passi in una diplomazia che postula come prioritario il consolidamento di rapporti politici con partiti, leader e attori economici che non occupano cariche di governo. Si tratta, in gran parte, di figure dell’estrema destra e di uomini d’affari come Elon Musk, che, non a caso, si è detto entusiasta delle nuove possibilità che l’Argentina, grande produttore di litio, sembra offrire in ambito minerario. Milei finora ha seguito, in politica estera, un approccio estremamente ideologico e superficiale, che gli ha procurato più di qualche grattacapo con la Cina e il Brasile, e qualche scambio al vetriolo con López Obrador, con Gustavo Petro e, da ultimo, con Pedro Sánchez.
Seguendo la sua stella, per la quarta volta da quando ha assunto la carica di presidente lo scorso dicembre, Milei è tornato, lunedì 6 maggio, negli Stati Uniti con l’obiettivo di pubblicizzare la sua rivoluzione libertaria e di attirare investimenti in Argentina. Lo scopo era quello di partecipare alla conferenza globale dell’Istituto Milken, ai cui convenuti ha detto che il suo Paese “ha tutte le condizioni per essere la nuova mecca dell’Occidente”, potendo, a seguito delle sue cure, trasformarsi nella “nuova Roma del Ventunesimo secolo”. Per l’occasione, Milei ha approfondito il suo legame personale con Musk, prima di tornare a Buenos Aires, condividendo una tabella di marcia che prevede un flusso di investimenti verso le comunicazioni e l’estrazione mineraria, due aree di business che il governo argentino intende aprire alla concorrenza di mercato.
Al di là del citato entusiasmo dell’uomo della Tesla, le parole di Milei hanno suscitato il prudente interesse dei potenziali investitori ai quali erano rivolte, non scordando costoro che la “nuova Roma” è anche il Paese con la più alta inflazione mondiale, e con al suo attivo una lunga pratica di inadempienza nei contratti stipulati. Milei ha riscontrato interesse quando ha spiegato i contenuti della sua grande riforma, che potrebbe essere ora a un passo dall’approvazione, e da cui potranno derivare leggi, benefici fiscali e libertà di movimento dei capitali tali da fornire finalmente quelle garanzie che gli investitori chiedono sul lungo periodo. Mettendoli, per quanto possibile, al riparo dal rischio, tante volte concretizzatosi in passato in Argentina, che un nuovo governo possa cancellare tutto con un colpo di spugna, sterzando verso un diverso orientamento economico.
Milei è intervenuto a Los Angeles poco dopo che la settimana scorsa la Camera dei deputati aveva approvato la bozza di legge base, che in questi giorni sta andando in discussione al Senato. Se anche questo la approverà, l’uomo della motosega avrà poteri straordinari per un anno, grazie ai quali potrà privatizzare un certo numero di imprese pubbliche, liquidare le agenzie statali, rendere più flessibili le leggi sul lavoro, e dare trent’anni di benefici fiscali alle grandi imprese. Quella che la Camera dei deputati ha approvato, con 142 voti a favore, 106 contrari e cinque astenuti, è una prima vittoria per Milei, che non ha dismesso la sua polemica anticasta, ma ha dovuto accettare che i suoi negoziassero molti articoli con governatori provinciali e referenti dell’opposizione aperti al dialogo, pur di assicurarsi il loro voto. Quella che è stata approvata è una versione ridotta del testo che ha fallito a febbraio, a causa dei voti contrari, anche da parte dei deputati alleati.
La battaglia si sposta ora al Senato, dove il peronismo rappresenta una forte opposizione che può contare sul sostegno, dalle piazze, delle organizzazioni sociali e dei sindacati. Più di un milione di persone si sono mobilitate in tutto il Paese per difendere una delle principali conquiste: l’università pubblica, gratuita e laica. Un settore di peso, visto che in Argentina ci sono settantadue università pubbliche, frequentate da più di due milioni e mezzo di studenti, e che secondo il Consiglio interuniversitario nazionale (Cin), la politica portata avanti dal governo nazionale significa una diminuzione del 72% del bilancio per il 2024, rispetto a quello dell’anno precedente. Il giorno successivo alle grandi manifestazioni, il presidente si è impegnato a “garantire i fondi per il funzionamento delle università”, per quanto sia notorio che Milei non sostiene l’istruzione pubblica, accusata di “indottrinare” e “lavare il cervello”, preferendo il modello privato, con un sistema di voucher, come quello introdotto in Cile durante la dittatura di Pinochet.
Se la legge base passerà anche al Senato, Milei potrà governare per decreto in materia amministrativa, economica, finanziaria ed energetica, puntando sulla crescita economica attraverso l’aumento delle esportazioni energetiche, minerarie e agricole. Per quanto riguarda i minerali, Milei punta sul litio estratto nelle saline del Nord-ovest, e sulla vasta produzione di petrolio e gas di Vaca Muerta in Patagonia. Per attrarre gli investimenti, il progetto prevede un generoso Big Investment Incentive Regime, che offre numerosi benefici doganali e fiscali, per trent’anni, alle aziende con progetti di oltre duecento milioni di dollari.
La legge base contiene anche una riforma del lavoro, ridotta rispetto al progetto iniziale, che include l’estensione del periodo di prova fino a sei mesi, e apre la porta a una riduzione delle indennità di licenziamento in piena crisi economica. Il punto più contestato della proposta è la creazione di una nuova categoria di lavoratore “indipendente”, che può, a sua volta, subappaltare fino ad altri cinque lavoratori indipendenti, con i quali non avrà alcun tipo di legame.
Perché sia approvata, Milei dovrà avere il voto favorevole di 37 membri. Ora ne avrebbe 36, e avrà bisogno dell’appoggio di altri settori perché sia votata possibilmente prima del 25 maggio, giorno in cui a Córdoba sarà sottoscritto il “Patto di maggio”, il “nuovo contratto sociale” con governatori, ex presidenti e leader dei principali partiti politici, che l’anarcocapitalista ha annunciato il 1° marzo, all’apertura delle sessioni ordinarie del Congresso. Secondo i critici, Milei favorisce gli imprenditori e danneggia il popolo, mentre è accusato di “vendere la patria”.
Intanto, i tagli continuano, e recentemente un altro duro colpo è stato inferto al sistema pensionistico dalla Camera dei deputati, con la decisione che potranno avere una pensione solo coloro che hanno versato contributi alla sicurezza sociale per almeno trent’anni. Un provvedimento che colpirà la parte più debole di un Paese in cui il 44% della popolazione lavora nel settore informale.
Secondo dati recenti dell’Ocse, il Pil dell’Argentina scenderà del 3,3% quest’anno, approfondendo il calo del 2023, e sarà il Paese con la più grande contrazione al mondo dietro l’Arabia saudita, prima di crescere del 2,7% nel 2025. Secondo l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, “l’inflazione sta rallentando visibilmente, anche se solo gradualmente finora, ma alla fine si prevede che diminuirà in modo più pronunciato”. Stando a dati non ancora ufficiali, in aprile sarebbe del 9%, mentre a maggio si prevede che sarà del 7,5% e del 161,3% per tutto il 2024, quando a marzo era del 288%. Se questa previsione fosse confermata, sarebbe il risultato più basso dall’ottobre dello scorso anno, che aveva registrato una percentuale dell’8,3%.
Se sul piano macroeconomico la politica di Milei comincia a suscitare l’ammirata sorpresa di molti osservatori economici, che iniziano a prenderlo sul serio, i rischi di una recessione prolungata non sono stati fugati, per la lentezza delle riforme proposte dal governo che potrebbe azzoppare la ripresa, per la scarsità delle riserve di moneta estera, e per le restrizioni del cambio, oltre che per l’inflazione. E i critici fanno notare che i progressi registrati sul fronte dell’inflazione sono dovuti alla macelleria sociale operata dal governo e alla recessione che ha generato. In questi mesi, più di tre milioni di argentini sono caduti in povertà, e la maggior parte degli analisti concorda sul fatto che uno dei modi in cui il surplus fiscale è stato raggiunto è stato attraverso il taglio delle pensioni, che rappresenta circa il 35% dei tagli che sono stati operati.
Ciononostante, Milei continua nella sua narrazione. In una recente intervista alla Bbc, ha detto: “La cosa più facile, cos’era? Continuare come il governo precedente, stampando banconote. Beh, avresti generato inflazione e quindi colpito i più vulnerabili. Quindi, non è questa la ricetta. La ricetta era di mettere in ordine l’economia. Se non avessimo fatto quello che abbiamo fatto, avremmo affrontato una crisi che combina il peggio del ‘Rodrigazo’, che è stata la crisi che abbiamo avuto nel 1975, il peggio dell’iperinflazione del 1989 e il peggio del piano sociale del 2001, ovvero la madre di tutti i mali. In altre parole, se avessimo mantenuto le politiche populiste, oggi avremmo un’inflazione intorno al 15.000% e avremmo circa il 95% di poveri e il 60% di indigenti. (…) Non si può fare la magia. Abbiamo dovuto affrontare un contesto di un Paese che aveva già violato l’accordo con il Fondo monetario internazionale. In altre parole, un Paese che è un defaulter seriale, che ha avuto due iperinflazioni senza guerra. E in quel contesto non si può generare fiducia istantaneamente, e questo fa sì che gli investimenti non arrivino subito. Allora, nel breve periodo, avremo le conseguenze di una recessione. Ed è quello che è successo nell’ultima parte dell’anno precedente finora. Quello che i numeri sembrano indicare è che l’Argentina ha toccato il fondo tra marzo e aprile. Infatti, abbiamo già settori che stanno chiaramente crescendo, come l’estrazione mineraria, il petrolio, il gas e il settore agricolo. Molti sostengono che l’Argentina ne starebbe uscendo a forma di una V corta. Ma tu non puoi fare miracoli”.
E per quanto riguarda i tagli, che avrebbero falcidiato le rendite dei pensionati: “Di questo aggiustamento c’è un punto che è fornito dalle tasse più alte, e ci sono quattro punti che hanno a che fare con la riduzione della spesa pubblica. Solo lo 0,4% del Pil ha un impatto sui pensionati e sulle pensioni. In altre parole, il 90% dell’aggiustamento ricade sulla casta e solo il 10% dell’aggiustamento è caduto sulle pensioni”. Quanto alle critiche: “A volte, dai media si mente intenzionalmente, e la gente dà credito a quelle bugie che nascono dai media. Probabilmente il posto del mondo dove il giornalismo è più marcio è l’Argentina, dove gran parte dei giornalisti sono, diciamo, bugiardi e calunniatori seriali”. Così parlò Javier Milei.
Quando è entrato in carica come presidente, a dicembre, lo Stato aveva alle sue dipendenze 341.477 persone. Due mesi dopo, il governo aveva già eliminato novemila posti di lavoro, e qualche settimana fa ha ordinato altri quindicimila licenziamenti. Nuove cessazioni del personale sono in arrivo a metà anno, ma non si sa quanti o chi saranno. In questo clima di incertezza, vivono circa cinquantamila lavoratori: sono quelli che non hanno un posto fisso, ma contratti temporanei. L’Argentina è nel mezzo di una crisi economica e di un crollo dei consumi, e la maggior parte delle aziende non assume, ma riduce il personale.
L’insieme dei salari è aumentato, nominalmente, del 180,99%, tra gennaio 2023 e gennaio 2024. Nello stesso periodo, l’inflazione è stata del 254,2%. Ciò comporta che i salari abbiano perso il 20,68% su base annua, fino a gennaio. Nel bimestre che comprende dicembre 2023 e gennaio 2024, i salari totali sono aumentati del 26,8%, contro un’inflazione bimestrale del 51,33%. Questo equivale a dire che, nel bimestre dicembre-gennaio, i salari, nel loro insieme, hanno perso il 16,24% reale. Da quando Milei è arrivato al governo, il settore più danneggiato sembra comunque essere quello dei lavoratori formali del settore pubblico.
Dopo un primo sciopero generale, lo scorso 24 gennaio, la Cgt e altre sigle sindacali hanno indetto per il 9 maggio un paro general di ventiquattr’ore contro la politica di tagli selvaggi dei redditi dei lavoratori, dei pensionati e della classe media, che coinvolge tutti i settori, compreso quello dei trasporti terrestri e aerei, anche se una low-cost privata ha volato quasi regolarmente dall’aeroporto di Ezeiza. Lo scopo è quello di impedire la svendita del patrimonio nazionale, difendere i diritti dei lavoratori e l’educazione pubblica, combattere il piano di Milei, che sta causando una “recessione”, “aumenti incessanti” e una “caduta dei livelli di attività economica e degli indici di consumo di base, che, in pratica, rappresentano un consistente trasferimento di risorse verso i settori più concentrati e privilegiati dell’economia”.
All’inizio della giornata del 9 maggio, Buenos Aires sembrava quella del periodo della pandemia, tanto più che la convocazione delle centrali sindacali non includeva né marce né manifestazioni pubbliche. Ma lo sciopero si è sentito solo nei settori colpiti dalla paralisi dei trasporti, che non è stata totale; mentre supermercati, grandi catene e negozi di quartiere sono rimasti aperti. Chiusi gli uffici statali, le banche, e la maggior parte delle stazioni di servizio. Secondo stime del governo, che coincidono con quelle del settore privato, lo sciopero della Cgt costerà all’attività economica più di cinquecento milioni di dollari. Rappresenterebbe l’1,1% del Pil di maggio, o un quarto di quello che si produce in un giorno normale.
“Che facciano quello che vogliono, non ci fermeranno”, è stata la reazione pubblica degli ambienti governativi. Ma, in privato, non manca la preoccupazione per quello che potrà produrre sui senatori che si accingono alla discussione della legge base, vera chiave di volta che deciderà il destino dell’esperimento Milei.