Non abbiamo dubbi su come si sarebbe comportato Iosif Stalin, georgiano doc, di fronte al conflitto in atto nella sua patria tra chi vuole ritornare nell’orbita russa – in particolare il governo –, e chi, la cittadinanza, è attratta all’80% dall’Europa. Per fortuna, quei tempi barbarici non ci sono più, e restano solo nella testa di chi ha vissuto quel periodo oltre che nei libri di storia. Negli ultimi decenni la Georgia – luogo di nascita anche dell’ultimo ministro degli Esteri sovietico, Eduard Shevardnadze, nonché presidente del Paese dal 1995 al 2003 –, dopo essere stata coinvolta, durante la presidenza di Mikheil Saak’ashvili, nel conflitto separatista dell’Abcasia e dell’Ossezia del Sud, ha vissuto una fase di apparente democratizzazione, finalizzata a rafforzare i poteri del parlamento e del premier, ridimensionando quelli del capo dello Stato, che in futuro sarà eletto non più dal popolo ma dalla massima assemblea del Paese.
In questa fase, esattamente nel 2012, è diventato protagonista della scena politica georgiana il partito Sogno georgiano che, insieme ad altre sei formazioni minori, si affermava esprimendo come leader il miliardario Bidzina Ivanishvili, l’uomo più ricco del Paese, il cui patrimonio è stato in gran parte creato in Russia con i metalli e le banche durante gli anni Novanta. Il successo del partito si replicava nel 2018, con il 48% dei consensi, più o meno la stessa percentuale del precedente appuntamento elettorale.
Lo scenario è inevitabilmente cambiato dopo l’invasione russa dell’Ucraina nel febbraio 2022. Da allora, cominciarono ad arrivare a Tbilisi molti russi per sfuggire alla leva. Evento inaspettato, che mise in difficoltà il governo georgiano, che continuava a guardare all’Unione europea come aveva fatto fino a quel momento; salvo poi orientarsi verso il modello russo, come dimostra l’attuale iter di approvazione di una legge che prevede un’attenzione particolare nei confronti delle Ong straniere, considerate alla stregua di organismi al servizio dei nemici. Una politica, questa, che ha scatenato, la scorsa settimana, le proteste dei georgiani e delle georgiane, con una conseguente pesante repressione, ripetendo né più né meno lo scenario moldavo (vedi qui) e divenendo, a tutti gli effetti, un Paese “bifronte”, incerto se guardare all’Europa o alla Russia – anche se le popolazioni di questi Stati, che avrebbero potuto fungere da cerniera, non sembrano avere dubbi.
L’ex Repubblica sovietica ha già lo status di candidato all’ingresso nell’Unione europea, che chiede come condizione di riformare i sistemi giudiziari ed elettorali, ridurre la polarizzazione politica, migliorare la libertà di stampa e limitare il potere degli oligarchi: un’ipotesi che però, con il tempo, potrebbe tramontare, perché l’esecutivo – con tutta evidenza timoroso di diventare un’Ucraina due – sembra andare ormai in un’altra direzione.
La reazione violenta messa in atto dal regime è stata condannata dalla presidente Salomé Zourabichvili, che ha però poteri ridimensionati rispetto a quelli del governo e del parlamento, a dimostrazione che le modifiche sono tornate utili ai poteri forti del Paese. Capo dello Stato dal 2018, quando aveva sconfitto come indipendente Grigol Vashadze, esponente del Movimento nazionale unito, Zourabichvili fu sostenuta, durante la campagna elettorale, da Sogno georgiano; ma, dopo la crisi politica del 2020-21, e soprattutto del 2023 in piena guerra russo-ucraina, la distanza tra la presidente e il partito è via via aumentata, fino ad avviare nel settembre 2023 una procedura di impeachment per presunta violazione della Costituzione, un tentativo che però non ha avuto alcun esito.
Nel merito, la legge contestata prevede per le Ong, che ricevano più del 20% dei loro fondi da Paesi stranieri, la registrazione come“organizzazioni portatrici degli interessi di una potenza straniera”. Uno status che costringerebbe le associazioni a condividere con il governo eventuali informazioni riservate, pena una multa fino a diecimila dollari. Alla fine dell’iter finalizzato all’approvazione – dopo la seconda lettura ci sarà la terza, tra il 13 e il 17 maggio –, la legge dovrà essere approvata anche dalla presidente, che cercherà di bloccarla con il previsto veto, e tuttavia con scarse possibilità di successo visti i rapporti di forza in campo. Questo scenario si riproporrà alle elezioni legislative, previste in autunno, con il partito di governo intenzionato a restare in sella.
“Non è la prima volta che Sogno georgiano tenta di far approvare il disegno di legge sugli agenti stranieri – dice Eleonora Tafuro Ambrosetti, dell’Osservatorio Russia, Caucaso e Asia Centrale dell’Ispi (Istituto studi politiche internazionali) –, un primo tentativo messo a segno lo scorso anno fallì, e la proposta fu ritirata dopo il moltiplicarsi delle proteste di piazza Numerosi leader europei, allora come oggi, avvertirono che la proposta di legge è incompatibile con le norme e i valori europei, ma il governo del primo ministro Irakli Kobakhidze insiste, accusando le Ong di aver tentato di organizzare rivolte, di promuovere la ‘propaganda gay’ e di attaccare la Chiesa ortodossa georgiana”. Insomma, la solita narrazione di una cultura politica reazionaria, che fa rimpiangere quella dell’era sovietica.
Ma come ha reagito la Russia di fronte agli avvenimenti georgiani? Il ministro degli Esteri, Lavrov, ha difeso pubblicamente il progetto di legge sulle influenze straniere, e i media russi vicini al governo hanno dato poco spazio alle proteste. Per la ricercatrice “questo atteggiamento risponde a un duplice obiettivo: da un lato, delegittimare ed evitare di dare troppo spazio alle proteste che stanno scuotendo il Paese vicino, dove risiedono ormai centinaia di migliaia di russi scappati dal loro Paese; dall’altro, sottolineare il presunto legame dei manifestanti con l’Occidente, attore che, secondo il Cremlino, è alla base di tutte le biasimate ‘rivoluzioni colorate’ nella regione”.
La verità è probabilmente nel mezzo: le rivolte, come quella “arancione” in Ucraina, sono certamente spontanee, non progettate a tavolino, come invece denuncia la Russia. E tuttavia utilizzate, soprattutto dagli Stati Uniti, in chiave anti-russa, con aiuti sul campo come accaduto appunto in Ucraina. Come si diceva, queste nazioni avrebbero potuto fungere da interlocutrici tra i due blocchi, ma questo non è successo – e appare ormai complicata un’inversione di tendenza. Insomma, si è smarrita l’ennesima occasione per provare a realizzare un mondo pacificato. Al riguardo servirebbe una nuova Yalta, possibilmente senza una guerra che non avrebbe né vincitori né vinti.