Servirebbe probabilmente una rubrica quotidiana per riuscire a seguire le bizzarrie, le contorsioni, le miserie della politica barese e pugliese, sotto i riflettori della cronaca nazionale a seguito di una catena di inchieste giudiziarie e delle ricadute che queste hanno avuto soprattutto nel campo del cosiddetto “campo largo” del centrosinistra (“terzogiornale” se n’è già occupato qui). Di un qualche rilievo, tra gli sviluppi più recenti, un mini-rimpasto alla Regione, che ha portato a nuove tensioni fra Sinistra italiana e il presidente della Puglia Michele Emiliano, e lo scontro fra quest’ultimo e le destre locali e nazionali, dopo il rifiuto opposto dal “governatore” alla convocazione in commissione parlamentare antimafia: ufficialmente solo un rinvio dovuto ad altri impegni istituzionali.
“Nessuno si può sottrarre alla convocazione della Commissione. Suggeriamo dunque al presidente di non farsi guidare dal suo ego e dalla sua arroganza, perché neanche lui è sopra le regole”, è stato il rabbioso commento dei parlamentari di maggioranza alle decisioni di Emiliano. Messa da parte per un po’ la tradizionale fedeltà al “garantismo”, l’area di destra-centro, in vista delle elezioni comunali di giugno nel capoluogo pugliese (con un occhio anche alle regionali del 2025), sembra puntare con decisione sugli scandali giudiziari che hanno investito l’amministrazione comunale di Bari e quella regionale.
Le diverse indagini in corso (per corruzione, voto di scambio, mafia) – peraltro promosse da una procura, come quella barese, diretta da un ex consigliere Csm “di sinistra”, non sospettabile di connivenza con i partiti del governo nazionale – sono costate il posto a qualche assessore, hanno portato all’uscita dei 5 Stelle dalla giunta regionale, e hanno terremotato l’area delle liste civiche “emilianiste” che, in questi lunghi anni di governo di centrosinistra, ha avuto un ruolo di primo piano nella costruzione del consenso intorno alle amministrazioni a guida Pd. Dopo la rottura tra i progressisti sulle elezioni primarie per la candidatura a sindaco di Bari e il fallimento dell’ipotesi di un “terzo uomo” per ricucire una tela unitaria, è stata siglata una fragile tregua fra i due contendenti, il civico di sinistra Michele Laforgia (sostenuto da Sinistra italiana, 5 Stelle, socialisti e qualche dissidente del Pd) e Vito Leccese, candidato del Pd, dei verdi, e anche di buona parte della citata area “emilianista” pesantemente toccata dalle inchieste. Laforgia e Leccese si sfideranno nelle urne al primo turno, ma hanno promesso di sostenere poi il candidato che dovesse riuscire ad andare al ballottaggio contro l’avversario. L’uomo delle destre è il leghista Fabio Romito, avvocato e consigliere regionale considerato in città una scelta in tono minore ma che ha dalla sua il fattore età e la naturale propensione degli elettori a orientarsi verso le opposizioni quando un “regime” è durato un po’ troppo a lungo, come nel caso della ormai ventennale “primavera pugliese”.
Dopo qualche settimana di confusione totale, comunque, l’ex “campo largo” barese sta cercando quindi di rimettere insieme i cocci e di ritrovare la compattezza nei ranghi delle due coalizioni separate. Laforgia ha fatto pace pubblicamente con Nichi Vendola, e l’ex presidente della Regione ha rilanciato l’appoggio al penalista pugliese; un appoggio in realtà piuttosto sofferto: Sinistra italiana, che non aveva gradito l’annullamento in extremis delle primarie, ha al suo interno una quota di militanti che avrebbe preferito optare per una ricucitura con il Pd già al primo turno. Vito Leccese, in teoria, a sinistra dovrebbe godere dei favori del pronostico, essendo stato per dieci anni capo di gabinetto del sindaco uscente Antonio Decaro. I suoi sponsor fra i democratici lo considerano “largamente favorito”, già al primo turno delle comunali, grazie alla forza delle liste che lo sostengono; ma è impegnato in un lavoro certosino di “pulizia” proprio delle liste civiche consorelle, per evitare di essere danneggiato, in termini di immagine, dalle conseguenze delle indagini penali in corso.
Due gli interrogativi che rimangono per ora senza risposta, a poche settimane dal voto barese. Il primo: in uno scenario nel quale altre recenti consultazioni elettorali hanno dimostrato quanto sia difficile strappare all’astensionismo l’elettorato progressista, quale potrebbe essere, dopo settimane di scandali giudiziari e di polemiche fra potenziali alleati, l’arma vincente per rimotivare al voto gli elettori di Pd, 5 Stelle e sinistre varie? Il secondo: cosa farà la commissione di accesso insediata dal ministro dell’Interno Matteo Piantedosi (appositamente “sensibilizzato” dalle forze di maggioranza) e che potrebbe proporre lo scioglimento del Consiglio comunale per mafia? In teoria, il Comune di Bari potrebbe essere commissariato anche dopo le elezioni. Romito, Laforgia e Leccese, quindi, potrebbero tornare in panchina in attesa di un “risanamento amministrativo” che colpirebbe ulteriormente l’immagine già ammaccata del centrosinistra locale. Grande la confusione sotto il limpido cielo di Bari, ma la situazione appare tutt’altro che eccellente.