La battaglia antifascista, scatenata in Rai dall’ormai celeberrimo testo sul 25 aprile di Antonio Scurati, mette in evidenza, com’è già accaduto in passato, l’asimmetria dello scontro politico oggi in Italia. Da una parte, una maggioranza parlamentare che fa le prove di regime; dall’altra, una compagnia di intellettuali alla ricerca di un’aura. In mezzo, una sinistra che si indigna ma non decide nulla di concreto.
Gli smacchi dei primi non si tramutano mai in sconfitte politiche, perché non c’è una controparte in grado di fargliela pagare sul fronte istituzionale, ma solo qualche voce ispirata che arriva a denunciare l’arroganza ottusa di un neofascismo strisciante. Senza che si riesca a intaccare la pretesa di dominio della maggioranza. Il nodo attorno a cui si balla, a Viale Mazzini, riguarda inevitabilmente la catena di comando del servizio pubblico. Una catena ormai talmente corta da escludere perfino l’amministratore delegato, che, con fare stupito, ha fatto sapere di non essere stato nemmeno informato. Su questo bisognerebbe concentrare il fuoco. Siamo alla viglia del rinnovo del vertice aziendale, non lontani neanche dalla nuova convenzione che identifica le ragioni del servizio pubblico da affidare alla Rai. Due scadenze su cui far pesare quanto ribolle nel Paese.
Intanto, sarebbe subito da costruire una candidatura al nuovo Consiglio di amministrazione: proprio quella di Antonio Scurati, l’uomo di M, come i fogli della destra governativa lo hanno appellato per manganellarne identità e opera. Allora perché il Pd non si impegna a giocare le sue carte su questa candidatura, rinunciando allo strapuntino che la dinamica fra maggioranza e opposizione potrebbe garantirgli? Si potrebbero così anche incastrare gli imbarazzi dei 5 Stelle, che non hanno ritenuto di associarsi alle denunce per la brutale censura subita dallo scrittore, dato che da tempo brigano con la maggioranza le nomine di seconda fascia. Allora, per canalizzare la protesta che sta salendo dal Paese, e per renderla organica e più strutturata, integrando alle molte voci intellettuali e istituzionali pezzi della società civile e del mondo del lavoro, si avanzi questa candidatura: Scurati in Consiglio di amministrazione come barriera e limite per non trasformare la Rai in un “bivacco di manipoli”.
Poi però c’è da lavorare sul profilo di azienda. La Rai, nelle condizioni in cui si trova oggi, con il carico pregresso dei suoi mille compromessi, non è in sé difendibile agli occhi del Paese. Si tratta di darle una nuova funzione e una nuova missione per coinvolgere nel suo destino più estesi interessi e supporti sociali. Non basta rivendicare una generica autonomia e libertà. Troppe volte abbiamo visto chi oggi si indigna calpestare le autonomie professionali. Ma il declino della tv generalista è soprattutto il risultato di un’inadeguatezza dell’azienda nel rispondere alle nuove necessità del mercato multimediale. La comunicazione è oggi il teatro di una guerra ibrida permanente.
Abbiamo visto – anche in questi giorni – che si fa la guerra per comunicare, che si combatte attraverso quella che il capo di stato maggiore russo, Gerasimov, definisce “l’interferenza nel senso comune del Paese avversario”. Dunque avere imprese di comunicazioni, tanto più se pubbliche, efficienti e capaci di agire sui codici narrativi, è una necessità per la sicurezza nazionale, per la capacità del tessuto economico e culturale del Paese di poter reggere all’impatto di chi mira a manometterne gli equilibri istituzionali ed elettorali. Una nuova Rai dovrebbe agire da protagonista in questo scenario, lavorando con i nuovi linguaggi digitali, sviluppando soluzioni e applicazioni sulla base dei nuovi automatismi intelligenti, senza appaltare a fornitori esterni memorie e algoritmi. Su questa strada, si potrebbe strappare alla destra la carta dell’autonomia nazionale, facendo coincidere trasparenza e democrazia con efficienza e utilità sociale. Un fronte in cui la protesta antifascista potrebbe diventare mobilitazione di culture e competenze contro il più gretto appiattimento di regime.