Annunciato nello scorso dicembre all’Assemblea nazionale, il cosiddetto Piano di stabilizzazione macroeconomica di Cuba si è caratterizzato come uno dei più grandi piani di aggiustamento economico degli ultimi decenni, includendo aumenti dei prezzi dell’energia, del gas, dell’acqua, del carburante e la cessazione del sussidio alimentare universale.Le riforme del governo prevedono l’aumento di più del 500% del prezzo del carburante, quello delle tariffe dei servizi di base, dei biglietti per i trasporti a lunga percorrenza, e l’eliminazione della libreta, il paniere alimentare di base. Le riforme sono calate nella peggiore recessione economica che l’isola vive da molti anni a questa parte, con un 2023 che ha visto la contrazione del Pil del 2%, l’inflazione al 30% su base annua, e la svalutazione del peso. Il dollaro è passato alla cifra record di 314 pesos e l’euro a 320, mentre, nel mercato parallelo, unico accesso di valuta estera per i cubani, entrambe le divise sono salite di quattro e di cinque pesos. Gli ultimi interventi, nell’isola conosciuti come il paquetazo económico, testimoniano che le riforme attuate negli anni passati non sono riuscite a superare i limiti di un modello sempre più impraticabile.
All’origine della pesante situazione, sta il combinato disposto della pandemia e dell’inasprimento delle sanzioni statunitensi, oltre agli errori commessi nella politica economica e monetaria.A tale riguardo, con il cosiddetto tarea ordenamiento, il governo ha cercato di stabilire un nuovo accordo monetario-cambiario, unificando il peso convertibile con il peso cubano, nel momento peggiore immaginabile. Risultato: inflazione e deprezzamento inarrestabile della valuta nazionale.
Gli effetti della pandemia sono stati devastanti per un’economia che arrivava già molto indebolita a sostenere un colpo di quella portata. Il turismo internazionale è praticamente scomparso nel 2021, e la successiva ripresa è stata molto lenta, in ritardo rispetto ad altri concorrenti dei Caraibi. Il turismo russo è aumentato del 340% nel 2023, più di qualsiasi altra nazionalità, aiutato in parte dal lancio sull’isola della carta di pagamento Mir, emessa dalla banca centrale russa. Tuttavia, Cuba ha recuperato solo circa la metà del numero di visitatori che aveva prima della pandemia, perdendo così una fonte fondamentale di valuta estera. Mentre grandi risorse erano state destinate alla costruzione di hotel di alto livello, sottraendole agli investimenti sul sociale.
In questa situazione, il presidente cubano Miguel Díaz-Canel ha ordinato il licenziamento in tronco del ministro dell’Economia e della Pianificazione, Alejandro Gil, capro espiatorio dei ritardi nell’attuazione dei controversi aumenti annunciati alla fine dell’anno scorso. Per intanto, il risultato è che l’88% della popolazione vive in condizione di povertà, mentre alcune conquiste storiche della rivoluzione, come il diritto a un’alimentazione sufficiente per tutti, alla salute e all’istruzione, sembrano vacillare.
Nella sua storia lunga più di sessant’anni, Cuba ha vissuto in passato crisi che potenzialmente potevano mettere a rischio la sopravvivenza del socialismo caraibico. La più grande è stata quella vissuta negli anni Novanta, dopo la caduta del campo socialista, che diede luogo al cosiddetto periodo especial en tiempos de paz, quando in quattro anni il crollo economico fu pari al 40%. Fino ad allora l’isola aveva vissuto un’epoca di moderata prosperità, riuscendo a garantire i servizi sociali e una tendenziale uguaglianza di reddito. Una realtà che il cambiamento del contesto internazionale successivo alla caduta del Muro di Berlino mise in crisi. Se la consistenza economica dell’attuale difficile situazione non è per nulla rapportabile per gravità a quella del passato – il Pil dello scorso anno è “solo” del 9,2% al di sotto dei livelli del 2018 –, la lunga stagnazione economica e le scelte operate dal governo hanno generato una crescente differenziazione sociale a causa di un indebolimento della ridistribuzione di una ricchezza andata nel tempo contraendosi.
Il modello economico adottato dai dirigenti cubani si ispira all’esperienza sovietica: un esempio i cui limiti hanno evidenziato, nel tempo, una preoccupante bassa produttività e un alto tasso di inefficienza, presto tradotti in una stagnazione di reddito per i lavoratori, chiamati ad adoprarsi – in una totale assenza di incentivi, se si escludono gli appelli alla costruzione della patria socialista – per l’incremento della produzione. Ciò ha di fatto certificato il fallimento del modello adottato, che non ha consentito lo sviluppo delle forze produttive; mentre le scelte della dirigenza politica hanno evitato un crollo del sistema, operando in modo che tutto rimanesse uguale.
Pur introducendo in aree circoscritte l’economia di mercato, Cuba infatti non ha abbandonato l’ispirazione statalista, non ha saputo seguire fino in fondo gli esempi rappresentati da Paesi affini, come la Cina e il Vietnam. Probabilmente conscia del fatto che strade diverse da quella imboccata avrebbero rappresentato rischi politici difficilmente affrontabili. Nei confronti delle imprese private autorizzate nel 2021, il governo si è mosso tra accettazione e ostilità aperta. Con il risultato che le restrizioni messe in opera impediscono il loro pieno sviluppo, anche se ormai il settore non statale offre lavoro al 36% degli occupati formali. Secondo il governo, le imprese private sono responsabili di inflazione e disuguaglianza, mentre da loro ci si aspetta che diano un contributo sostanziale al miglioramento della situazione, che potrebbe venire, per quanto riguarda la carenza di cibo e medicine o i blackout, solo dal sostegno di alleati stranieri.
Al centro della crisi economica, ci sono i redditi estremamente bassi, in un Paese in cui il salario minimo è inferiore a 7,5 dollari, mentre lo stipendio medio mensile raggiunge solo i quindici dollari. Se i salari di chi lavora non consentono, da tempo, di poter far fronte alle spese quotidiane, ancora più grave è la situazione di chi vive della pensione, dato che la minima non supera i cinque dollari al mese. Queste entrate sono insufficienti ad affrontare i prezzi elevati causati da un’inflazione galoppante. I frequenti apagones dell’elettricità, i blackout di cui da tempo l’isola soffre, soprattutto a causa della mancanza di carburante per alimentare centrali in genere fatiscenti, sono stati uno dei fattori scatenanti delle proteste antigovernative degli scorsi anni, comprese quelle dell’11 luglio 2021, le più importanti degli ultimi decenni.
La Russia invia greggio a Cuba per lenire la crisi dei blackout e il disagio sociale. L’Avana si rivolge a Mosca, mentre altri alleati riducono la fornitura di petrolio. Circa 715.000 barili di greggio sono arrivati a fine marzo al porto di Matanzas: è la prima spedizione di petrolio dalla Russia a Cuba in un anno. I due Paesi hanno firmato un accordo, l’anno scorso, che avrebbe dovuto alleviare parte delle difficoltà dell’isola; ma esso ha avuto un inizio lento a causa della guerra in Ucraina. Cuba ha una carenza di petrolio, con un deficit totale di circa centomila barili al giorno, e l’arrivo di una petroliera russa al mese sarà al più sufficiente a mantenere in funzione la raffineria dell’Avana. Il Venezuela, suo ex sponsor, ha ridotto le consegne di carburante a circa 35.000 barili al giorno rispetto ai circa 80.000 del 2020. E se il Messico dona circa 25.000 barili al giorno, affronta tuttavia le pressioni interne per iniziare a far pagare l’isola, dato che la statale Petróleos mexicanos ha i suoi problemi finanziari. D’altra parte, il commercio tra Mosca e l’Avana è di nuovo in piena espansione: un centinaio di aziende russe hanno iniziato le operazioni a Cuba nello scorso anno.
Per quanto riguarda l’indice della produzione industriale, se diamo all’anno 1989 il valore 100, nel 2022 esso ha raggiunto il valore 46. Per la produzione alimentare non va meglio. Crolla la produzione dello zucchero, un tempo vanto dell’agricoltura cubana, mentre dal 2018 al 2022 le verdure calano del 42%, il riso del 69%, i fagioli del 57%, il latte del 36%, le uova del 15% e la carne di maiale del 90%. Le autorità hanno pianificato un deficit pubblico equivalente a quasi il 20% del Pil entro il 2024. Uno dei più gravi problemi di cui Cuba attualmente soffre è la scarsità di valuta estera. Un fattore che, in un Paese che importa l’80% del cibo di cui ha bisogno – fonte le Nazioni Unite, che stimano in duemila milioni di dollari l’anno la spesa per importare il cibo –, è una delle cause dell’aggravamento della crisi alimentare, vista l’impossibilità di pagare i fornitori.
Quando nel 1990 fu pubblicata la prima versione dell’Indice di sviluppo umano, l’isola era al 51° posto tra 141 paesi. Nel 2021, la sua posizione era scivolata all’83° posto. La spesa sociale, nel 2009, era equivalente al 37% del Pil, mentre si è ridotta al 27% nel 2022. Alla fine, di fronte alla stagnazione e alla conclamata incapacità delle riforme avviate di risolvere i problemi, si è erosa la fiducia della popolazione, che non vede vie di uscita verso una ripresa dell’economia. Mentre i giovani, che non hanno ricordo della situazione in cui Cuba viveva prima della rivoluzione, identificano la parola “socialismo” con fallimento e penuria. Per la prima volta nella storia, il governo è stato costretto a chiedere aiuto al Programma alimentare mondiale dell’Onu per l’impossibilità di garantire il latte ai bambini fino ai sette anni.
La situazione economica e l’incertezza sul futuro hanno causato, negli ultimi due anni, il più grande esodo dall’isola dai tempi della rivoluzione castrista, spingendo, tra il 2022 e il 2023, almeno 533.000 cubani (circa il 5% della popolazione) a lasciare il Paese per gli Stati Uniti. A questi si aggiungono i 37.000 che hanno chiesto rifugio in Messico e i 22.000 che hanno scelto l’Uruguay, oltre a quelli che si sono trasferiti illegalmente in molti Paesi dell’America latina e in Europa, soprattutto in Spagna. Il governo ha ammesso recentemente di avere anche grande preoccupazione per la crisi demografica, aggravatasi negli ultimi anni. Cuba ha registrato nel 2023 solo 90.300 nascite: la cifra più bassa degli ultimi sessant’anni. È assodato che la crisi demografica trovi una delle cause nel fenomeno migratorio, perché sono i giovani quelli che emigrano di più, e perché le donne tendono a rimandare le gravidanze se hanno in programma di emigrare.
Gli alti livelli di inflazione, la carenza di cibo, la mancanza di prodotti di base, la precarietà dei servizi sanitari e l’instabilità energetica, causata dall’assenza di carburante, sono alla base delle rivendicazioni di una parte della popolazione cubana. Anche se la richiesta di libertad e patria y vida – gli slogan sentiti nelle piazze cubane durante le manifestazioni dell’11 luglio 2021 – sono tornati a farsi sentire in alcune delle dimostrazioni dello scorso 17 marzo, stavolta gli slogan più sentiti, in particolare a Santiago e a Bayamo, sono stati corriente y comida, a testimonianza dei bisogni più urgenti della popolazione scesa in piazza. L’11 luglio si era caratterizzato per una maggiore presenza di slogan antigovernativi, provocando così la dura reazione delle forze di sicurezza, con arresti e successive condanne ad anni di carcere di numerosi manifestanti; lo scorso marzo, invece, il governo ha scelto il dialogo e ha mandato i suoi funzionari a spiegare la complessità della situazione, talvolta inviando i rifornimenti alimentari che i manifestanti reclamavano. Il diverso atteggiamento si è tradotto anche nei giudizi emessi dagli esponenti governativi nelle trasmissioni televisive, in cui, per la prima volta, è stata riconosciuta la legittimità delle manifestazioni e il loro carattere pacifico. La presenza delle forze dell’ordine, quindi, non è stata improntata a un atteggiamento aggressivo nei confronti dei manifestanti, sebbene fonti indipendenti denuncino arresti in circostanze non chiarite. Sembrerebbe un timido cambio di rotta da parte del governo, che però continua a dare la colpa dell’aggravamento della situazione economica alle sanzioni statunitensi. Il Brasile, la Comunità dei Caraibi e altri alleati regionali stanno attualmente esortando Washington ad alleviare le sanzioni; ma è difficile portare avanti questa richiesta in un anno elettorale in cui Trump sostiene un cambio di regime all’Avana, nel caso di una vittoria contro Biden.
“Cuba Siglo 2” ha pubblicato un rapporto dettagliato in cui ha reso noti i risultati di quindici focus groups, uno per provincia, realizzati lo scorso dicembre. Tra i problemi percepiti come “priorità urgenti” dalla società cubana, ci sono il cibo, la salute e l’elettricità. Seguono l’insicurezza, l’educazione e il trasporto pubblico. “L’alimentazione è percepita come il problema principale che affligge la popolazione. Il 79% lo ha definito come priorità numero uno da risolvere, mentre il 20% gli ha dato un secondo posto. Questo mostra che il 99% dei partecipanti dà la priorità a questo problema. Il problema dell’alimentazione riguarda la disponibilità stabile di alimenti di base a prezzi accessibili e la diversità dell’offerta in generale”, rivela il rapporto. Più della metà, il 58%, ha considerato la salute e la salubrità il secondo problema, mentre il 30% lo ha valutato come il problema numero uno. Il problema della salute e della salubrità include le cure mediche, la disponibilità di farmaci, l’accesso al servizio di acqua potabile, il funzionamento della rete fognaria, la raccolta dei rifiuti e la rimozione di focolai di infezione da ratti, zanzare e altri vettori. Ancora: più della metà, il 56%, considera la carenza di elettricità il terzo problema, mentre il 23% lo classifica come il quarto problema più importante. Il 92% dei partecipanti ha ritenuto che la libertà economica sia essenziale per affrontare le crisi di Cuba, e l’eliminazione del monopolio statale sulla produzione agricola è considerata una priorità per risolvere i problemi alimentari. L’81% considera la libertà di pensiero, di espressione e il diritto di manifestare tra le prime due priorità per affrontare la crisi nazionale. Infine, il rilascio immediato e incondizionato degli oltre mille prigionieri politici oggi detenuti – in buona parte a seguito delle manifestazioni dell’11 luglio 2021 – è visto come la precondizione di qualsiasi dialogo.