André Breton, padre del movimento surrealista, nel suo viaggio in Messico del 1937, annotò “al Messico il surrealismo non serve”: in questo Paese sarebbe infatti già presente nella sua realtà quotidiana. L’impressione suscitata dal primo dibattito presidenziale (domenica 7 aprile, alle otto della sera, in vista delle prossime elezioni del 2 giugno) sembra confermare l’intuizione di Breton. Difficilmente si potrebbe descrivere altrimenti il clima comunicativo in cui si sono affrontati Claudia Sheinbaum – stretta collaboratrice del presidente uscente Andrés Manuel López Obrador (detto Amlo) ed ex sindaca di Città del Messico –, la sua principale antagonista Xóchitl Gálvez – imprenditrice di sedicenti radici indigene –, e l’improbabile tertium gaudens, Jorge Álvarez Máynez. Dopo sei anni di governo, il Movimiento de regeneración nacional (Morena), trasformatosi nel frattempo in partito, tenta il difficile compito della trasformazione del “carisma” del suo fondatore in “pratica quotidiana”, affidandosi a una donna: appunto Claudia Sheinbaum.
Claudio Madricardo ha già fatto (vedi qui) un esauriente bilancio in chiaroscuro dell’operato del presidente uscente, che ha caratterizzato i sei anni di governo passati. Si è trattato di un misto di riforme sociali importanti (significativo aumento del reddito minimo, investimenti in infrastrutture pubbliche, soprattutto negli Stati più poveri del Sud-est, nel sistema pensionistico e per l’istruzione di base per i minorenni a basso reddito) e di un certo disprezzo dello Stato di diritto (militarizzazione del Paese, una discutibile riforma elettorale che non ha raggiunto la maggioranza di due terzi in parlamento). Tuttavia, per comprendere il fenomeno Amlo, fondatore di Morena (che è anche il soprannome della Madonna di Guadalupe) e dell’umanesimo messicano “obradorista” che sostiene primero los pobres, non sarebbero sufficienti le categorie di una sociologia politica di ascendenza weberiana. Il filosofo della liberazione Enrique Dussel, in un editoriale di “La Jornada”del 18 agosto del 2018, ricorse a Walter Benjamin e al meshiakh (in ebraico, “l’unto dal popolo”): una persona che incarna il popolo, con la sua fedeltà, l’impegno, l’onestà, il coraggio, la prudenza pratico-sapienziale, tutti quei valori che non si trovano nei leader corrotti della politica dominante. Secondo Dussel, l’elezione del 2018, che portò Morena al potere, sarebbe stato un evento messianico capace di attivare tutto il popolo con una rivolta verso il vecchio sistema corrotto. Dietro l’evento comunicativo-elettorale andato in scena, ci sono dunque aspettative molto diverse dal trantran della cinica e disincantata politica europea.
Si sarebbe tentati di affermare che Claudia Sheinbaum sia uscita vincente dal dibattito, se non fosse che, più che di dibattito, si è trattato di uno scambio di accuse pesanti. Dal punto di vista formale, i candidati facevano precedere i loro argomenti da ridicoli cartelli con foto e meme satirici, che possono avere un’efficacia nei social media, ma risultano illeggibili da un pubblico televisivo. Inoltre è accaduto che il computo del tempo fosse incomprensibile per gli stessi partecipanti, tanto che la Sheinbaum ha fatto notare più volte il cattivo funzionamento dei cronometri. Le domande formalmente arrivavano dalla rete e venivano lette dai due giornalisti che moderavano il dibattito secondo un ordine rigorosamente geografico (Nord, Centro, Sud). Tuttavia, a un certo punto, i moderatori hanno iniziato essi stessi a rivolgere domande estremamente complesse ai candidati, che, non avendo tempo per rispondere nel merito, hanno iniziato a divagare.
Dal punto di vista dei contenuti, i temi in discussione erano educazione, salute, corruzione, trasparenza. Ma, più che le proposte, ciò che è rimasto in mente sono le accuse personali incrociate di disonestà, negligenza e opacità che le due candidate si sono rivolte. Xóchitl Gálvez ha imputato a Claudia Sheinbaum di avere responsabilità nel crollo della scuola Rébsamendel 2017 (ventisei vittime, di cui diciannove bambini), nel collasso della linea 12 della metro (ventisette morti e ottanta feriti), rinfacciandole anche la sua politica di fronte alla pandemia (“negligenza criminale”), e di coprire la corruzione di diversi personaggi di Morena, tra cui i figli del presidente, e infine (quasi sussurrando) il fatto che i suoi familiari nasconderebbero fortune nei paradisi fiscali panamensi.
Di fronte all’impassibilità della rivale, Xóchitl ha sbottato: “Sei una donna fredda, senza cuore, una dama di ghiaccio!”. A sua volta, Claudia ha ribattuto dicendo a Xóchitl di essere una “bugiarda” che “lucra sul dolore delle vittime”. Per sostenere le sue affermazioni, ha esibito un cartello (leggibile solo nella sua riproduzione sui giornali) in cui si affermava che la candidata del Prian (ovvero Pri+Pan, l’alleanza dei partiti tradizionali) aveva promesso di donare il suo lussuoso appartamento al Collegio salesiano, e invece lo avrebbe venduto per una cifra milionaria. Infine, ha sostenuto che Xóchitl ometterebbe le dichiarazioni patrimoniali di una delle sue imprese, e vivrebbe in una casa acquistata dal Cartello immobiliare (un gruppo noto per ottenere permessi e costruire in maniera fraudolenta a Città del Messico). Accuse sanguinose, impossibili da smentire in uno spazio televisivo, che minano la credibilità del concetto stesso di dibattito (se tutti accusano tutti di mentire su cosa si dibatte?), piuttosto che la/il candidata/o a cui vengono rivolte.
Il finale involontariamente satirico ha dato il colpo decisivo alla credibilità generale: Xóchitl Gálvez, nell’appello conclusivo alla nazione, ha estratto da sotto il tavolo, invece che il solito cartello illeggibile, la bandiera del Messico mostrandola, con una mano sul cuore, di fronte alle telecamere. Lo spettatore si è quindi sentito trasferito in una sorta di twilight zone, in cui l’assurdo diventava reale e il reale assurdo. Così il classico elefante nella stanza non veniva neppure notato, cioè la violenza politica. Due giorni prima del dibattito, il sindaco di Churumuco, Guillermo Torres Rojas, e Gisela Gaytan, candidata sindaca a Celaya, entrambi esponenti di Morena, erano stati ammazzati. Il progetto Votar entre balas (“votare tra le pallottole”) dell’organizzazione Data Cívica ha contabilizzato che – dal percorso elettorale del 2018 a oggi – ci sono stati centotredici familiari di politici colpiti, di cui ottantotto assassinati. Il Laboratorio Electoral ha documentato cinquanta omicidi legati alle elezioni in corso. La commistione molto ramificata, complessa e spesso difficile da comprendere, tra economie legali, illegali e istituzioni, fa sì che lo scontro politico sia attraversato da quello criminale. Verrebbe dunque da dire, parafrasando il noto detto di Ennio Flaiano, che la situazione in Messico è tragica, ma il dibattito politico non è serio.