L’attuale comandante dei carabinieri forestali (Unità forestali, ambientali agroalimentari, da quando la gestione di un organismo civile dello Stato è passata nelle mani dell’Arma dei carabinieri: vedi qui) è un generale di corpo d’armata. Si chiama Andrea Rispoli e nella sua ultima audizione in Senato (il 26 marzo scorso) ha detto cose che devono interessarci – e anche preoccuparci. L’oggetto dell’indagine parlamentare era il monitoraggio per la resilienza delle foreste europee, e Rispoli ha spiegato che l’inventario delle foreste e del carbonio deve farlo l’Arma dei carabinieri, così come le altre forze armate fanno altri tipi di rilevazioni ambientali: all’Esercito toccano le cartografie, all’Aeronautica le carte meteo e alla Marina le misurazioni idrografiche.
Fin qui nulla di allarmante, ma poi si apprende, seguendo l’audizione (disponibile qui), che anche la Nato – struttura che ha storicamente un legame diretto, consolidato e forte con l’Arma, quale forza che garantisce la vigilanza in tutte le basi Nato e non Nato in Italia – considera strategico interessarsi alle foreste per mitigare e compensare le emissioni militari di CO2, indicando anche un elenco di misure da adottare per compensarle.
Quindi, nell’affermare che le azioni militari producono emissioni di CO2, gli stessi militari ci dicono di preoccuparsi e di portare avanti azioni di contrasto. Apparentemente, sembra un atteggiamento molto responsabile; in realtà proprio qui la faccenda si fa più pesante, perché non è chiaro a chi è in capo la responsabilità delle politiche forestali. Al governo? All’Arma dei carabinieri per scopi di bilanciamento delle proprie azioni militari?
Il dubbio è più che legittimo, e lo raccogliamo dagli esperti della Federazione della rinascita forestale ambientale, ex agenti del Corpo forestale dello Stato, che hanno ingaggiato una battaglia per ricondurre all’interno di organismi civili dello Stato un’organizzazione che si è occupata, fin dalla sua nascita, di tutelare e proteggere i nostri boschi. Il punto centrale è che le foreste sono un bene pubblico di interesse strategico: le politiche per la loro conservazione sono dettate dai militari, magari per appiccicarsi l’etichetta di organismi carbon free?
L’audizione di Rispoli è stata accolta con sorpresa, e anche da vero e proprio allarme nel mondo degli ex forestali, legati a una vocazione di conservazione e gestione ambientale dei nostri boschi incentrata sull’interesse di un equilibrio ecologico del sistema-Paese. Una visione inconciliabile con scelte che mettano in primo piano gli interessi militari. Questa sarebbe una deriva, tuttavia, ampiamente annunciata. L’azzeramento del Corpo forestale dello Stato, imposto dalla controriforma Renzi-Madia nel 2016 come gentile cadeau all’Arma dei carabinieri, portava in sé il seme di uno snaturamento dannosissimo per il Paese. Ma allora l’operazione di potere prevalse sul buon senso, con prepotenza assai simile a quella sfoggiata oggi dalla destra di governo. Inutile aggiungere che il partito dei Fratelli d’Italia, quando era all’opposizione, sosteneva la richiesta di smilitarizzazione. Oggi se ne frega.