L’opera più costosa del Pnrr, la nuova Diga Foranea di Genova, il cui importo di spesa dovrebbe aggirarsi sul miliardo e trecento milioni, è nuovamente bloccata per sospetti illeciti nell’appalto, oggetto di un’indagine penale e contabile. La questione si era già affacciata, come segnalammo a suo tempo (vedi qui), ma era sembrata poi ridimensionata, se non addirittura rientrata, anche per l’incalzare dei tempi della prevista realizzazione, che dovrebbe concludersi nel 2026.
È però notizia recentissima che l’Autorità nazionale anticorruzione (Anac) ha trasmesso alla procura della Repubblica di Genova, e al procuratore regionale della Corte dei conti della Liguria, una delibera che individua irregolarità e anomalie nella procedura della gara d’appalto, in cui sarebbe stato favorito il consorzio Breakwater, con capofila Webuild. La bugna è molto grossa, si ipotizzano reati penali ed erariali da parte dei due organismi centrali di questa vicenda: cioè da parte del commissario straordinario per la ricostruzione post-crollo del ponte Morandi – il sindaco Marco Bucci –, e del commissario straordinario per la nuova Diga di Genova, all’epoca Paolo Signorini.
Nel mirino dell’Anac, oltre ai rilievi di tipo formale, c’è innanzitutto la modalità “emergenziale” utilizzata per tutta l’operazione, sulla scia del cosiddetto “decreto Genova”, legato al crollo del ponte Morandi: modalità che avrebbe condotto, senza una chiara motivazione, all’utilizzo di una “procedura negoziata senza bando”. E in effetti il progetto della Diga difficilmente poteva rientrare a pieno titolo nelle indicazioni del decreto Genova e, in particolare, del Programma straordinario per la ricostruzione. Certo, l’idea guida del progetto era quella di potenziare i traffici portuali; ma la scelta di inserirlo tra le opere della “ricostruzione” appariva fin dall’inizio decisamente sul filo di una normativa che faceva riferimento a opere da realizzare in emergenza a causa del crollo del ponte, sostanzialmente opere di ripristino della viabilità ordinaria, non certo riguardanti un nuovo mega-bacino.
Il secondo aspetto anomalo dell’operazione è, per l’Anticorruzione, avere concesso una deroga a Webuild, una modifica contrattuale per la quale – se si dovessero apportare modifiche al progetto a valle dell’esecuzione di nuovi sondaggi e verifiche del fondale – le modifiche in corso d’opera verrebbero considerate semplici varianti. Il problema, in questo caso, è che le probabilità che le caratteristiche geotecniche e geologiche si rivelino difformi dalle previsioni del Progetto di fattibilità tecnica ed economica sono elevatissime, praticamente certe, anche se non si sa di quale entità.
Abbiamo già più volte ricordato i problemi tecnici legati alla profondità delle acque nella zona in cui dovrebbe essere realizzata la nuova diga: quella di Genova dovrebbe essere la prima al mondo a poggiare su fondali di oltre cinquanta metri, il che, fin dall’avviarsi della fase progettuale, aveva fatto rizzare i capelli in testa agli esperti, le cui voci erano state ignorate con sufficienza. In particolare, uno specialista del settore, il professor Pietro Silva, che si era addirittura dimesso dall’incarico ricevuto dalla Rina Check, coinvolta in quanto verificatrice del progetto preliminare. Silva, in una lettera aperta alla cittadinanza, uscita nei giorni dell’aggiudicazione dell’appalto, aveva insistito sulla pericolosità della scelta che si stava compiendo, visti i fondali melmosi e instabili del porto.
Anac, ricordando anche gli indirizzi a suo tempo espressi dal Consiglio superiore dei lavori pubblici, spiega che, in un caso come questo, si sarebbe dovuto applicare il “metodo osservazionale”. Si tratta di una procedura che prevede una costante analisi delle condizioni, e soprattutto che “in sede di progetto venga altresì definita, con relativa valutazione degli oneri economici, una soluzione alternativa a quella prevista qualora le prove tecniche effettuate nel corso del monitoraggio conducessero a valori esterni al campo di ammissibilità definito dal progettista”. Come dire che, se i costi crescono eccessivamente, occorre avere un altro piano, mentre, con la deroga, il colosso delle costruzioni si sarebbe trovato ad avere praticamente già assicurati i fondi per le eventuali varianti, quasi certamente non di piccola entità.
Non a caso, in città, erano circolate voci di un arretramento del perimetro dell’opera, con una riduzione della profondità a trenta metri. Fa riflettere come, ancora pochi giorni fa, l’Autorità di sistema portuale abbia rivelato che “non sono ancora stati acquisiti formalmente i risultati definitivi” del campo prova n.2, quello cioè chiamato a testare la riuscita del metodo costruttivo delle colonne di ghiaia sui fondali più profondi.
Tuttavia, nell’ambito della procedura di variante al progetto, che poche settimane fa ha iniziato il proprio iter al ministero dell’Ambiente, l’ente ha spiegato come su una piccola porzione dell’opera (il cosiddetto pennello) le “indagini integrative” abbiano già evidenziato la necessità di cambiare tecnica. Il commissario-sindaco-plenipotenziario, Bucci, e il presidente della Regione, Toti, dopo avere cercato di difendersi e di disconoscere la titolarità di Anac a valutare il loro operato, ora fanno spallucce. Toti ha dichiarato che “un’opera fondamentale per Genova, la Liguria, ma anche per lo stesso Paese, viene contestata per un vizio di forma, non di sostanza. Se qualche funzionario ha scelto la via più breve rispetto ai cavilli burocratici che avrebbero rallentato se non impedito la Diga, allora va premiato e dovrebbe avere la gratitudine di tutti (…); la mia Liguria combatterà sempre l’ipocrita forma a discapito della sostanza”.
Intanto, mentre le indagini procedono, viene da chiedersi quanto durerà il sistema di potere costruito intorno al “modello Genova”, e all’ideologia della “giunta del fare”; le elezioni comunali saranno a giugno, e sarà interessante valutarne la tenuta in termini elettorali. Certo, le ombre che l’Anac ha sollevato non investono unicamente la questione della Diga; rimandano a tutto un sistema di gestione del potere spesso spregiudicato, che non ha mai fornito giustificazioni del suo operare per lo più sommario e verticistico. Un sistema che si è affidato finora alla propaganda, al marketing e all’utilizzo strumentale del sistema dei media, e che ha finito per accentrare le decisioni politiche trascurando le voci critiche provenienti dalla cittadinanza, come nel caso dei progetti per la funivia Stazione marittima-Forte Begato, e per la metropolitana leggera Skymetro (vedi qui), operando nel complesso consapevolmente in direzione di una depoliticizzazione di massa.