La guerra sul fronte orientale prosegue in una maniera sempre più contraddittoria, con una moltiplicazione di mosse spregiudicate e paradossi. Washington ha addirittura esortato Kiev a cessare gli attacchi con i droni contro le infrastrutture energetiche russe, dato che rischiano di far salire i prezzi del petrolio a livello globale, come riportava la scorsa settimana il “Financial Times”. Nonostante le sanzioni, infatti, la Russia rimane uno dei più importanti esportatori di energia al mondo, e la Casa Bianca teme che gli attacchi alle reti russe possano provocare ritorsioni sulle infrastrutture energetiche occidentali.
Per converso, la rete energetica ucraina ha cominciato a ricevere assistenza urgente dall’estero, a partire da venerdì scorso, dopo che una serie di attacchi aerei russi ha danneggiato le infrastrutture, lasciando più di un milione di persone senza corrente, trecentomila delle quali solo a Odessa. La centrale nucleare di Zaporizhzhia è stata sull’orlo del blackout, dopo che Mosca ha colpito una vicina diga idroelettrica. In molte città ucraine si ricorre ormai pressoché stabilmente a generatori elettrici sostitutivi di un’erogazione di corrente spesso interrotta. Nel frattempo, giovedì scorso, i leader dell’Unione europea hanno concordato, in linea di principio, sull’utilizzo dei proventi dei beni russi congelati per sostenere l’Ucraina. L’inedita mossa dovrebbe consistere nell’uso degli interessi dei depositi russi bloccati nelle banche occidentali. La proposta potrebbe entrare in vigore entro pochi mesi, secondo i leader riuniti in un vertice a Bruxelles. Ursula von der Leyen ha detto che il primo miliardo di euro del programma potrebbe essere erogato già all’inizio di luglio; e si calcola che l’importo complessivo annuale potrebbe raggiungere i tre miliardi. Il paradosso, in questo caso, consiste nel fatto che si arma l’Ucraina con denaro a tutti gli effetti russo.
I quattrini per la guerra giungono comunque anche da altre fonti. Il Fondo monetario internazionale ha approvato una terza revisione del programma di prestiti all’Ucraina, pari a 15,6 miliardi di dollari, consentendo al Paese in difficoltà di attingere a un sostegno di bilancio di 880 milioni di dollari.
La partita si gioca su più piani, non solo su quello delle grandi istituzioni internazionali e della finanza: il mese scorso, hacker russi hanno preso di mira i partiti politici tedeschi con una campagna di phishing. Alle vittime, sono state inviate e-mail con il pretesto di un fittizio invito a cena il primo marzo, e la mail recava, perfettamente imitato, il logo dell’Unione cristiano-democratica (Cdu). Pare che il gruppo dietro all’attacco sia stato identificato come lo APT29, collegato ai servizi segreti esteri russi. “È la prima volta che vediamo questo cluster operativo APT29 prendere di mira i partiti politici, indicando una possibile area di focalizzazione operativa emergente che va oltre il tipico obiettivo delle missioni diplomatiche”, si legge nell’allerta emanata dai servizi tedeschi dopo il tentativo. Evidentemente, il phishing era abilmente costruito, e mirava all’acquisizione dai computer dei politici di dati personali e di informazioni riservate. Si tratta di un nuovo fronte che si apre, mostrando fino a che punto lo sviluppo del conflitto implichi aspetti che investono in maniera sempre più diretta l’attività dei partiti politici europei e occidentali di tutto lo spettro politico.
Nel frattempo, i leader europei hanno risposto alle dichiarazioni dei vertici russi, secondo i quali si aprono ormai scenari di scontro aperto con la Nato, a causa del sempre più massiccio intervento occidentale in Ucraina. Ursula von der Leyen ha parlato di banale disinformazione; intanto però si vocifera di una sempre più prossima presenza massiccia di truppe Nato in Polonia. Il presidente del Consiglio dell’Unione europea, Charles Michel, ha affermato che i commenti della Russia dimostrano l’importanza di espandere il settore della difesa europea. “Dobbiamo dire ai nostri cittadini in tutta l’Unione che se vogliamo la pace, se vogliamo la sicurezza e la stabilità, è estremamente importante migliorare le nostre capacità di difesa e costruire una vera Unione europea nella difesa”, ha detto Michel, affermando inoltre che l’Unione nelle sue recenti decisioni “non si è lasciata intimidire” dalla Russia, che aveva dichiarato che si sarebbe vendicata se fossero stati utilizzati i profitti derivanti dal congelamento dei beni russi per sostenere l’Ucraina.
Anche il terribile attentato avvenuto nella sala concerto di Mosca è oggetto di una contesa interpretativa di non poca portata: la Russia continua ad attribuire una parte delle colpe all’Ucraina piuttosto che all’Isis. Il segretario del Consiglio di sicurezza russo, stretto confidente del presidente Putin, Nikolai Patrushev, martedì si è espresso in questo senso, suscitando un’immediata reazione sul fronte ucraino, che ha reagito con un comunicato in cui si è parlato di “bugie che vengono ufficialmente diffuse”.
Per ora, certo, non sono emerse prove a favore della versione russa: qualcuno insinua che il Cremlino abbia bisogno di una spiegazione di quanto avvenuto, e in effetti, negli ultimi anni, Putin ha sempre guadagnato punti e consenso all’interno per avere garantito la sicurezza. L’attentato rivendicato dall’Isis rischia quindi di incrinarne l’immagine; di qui il ricorso a una retorica aggressiva e a probabili azioni di rappresaglia.
Prosegue, nel frattempo, in Germania la querelle intorno all’invio dei missili a lunga gittata Taurus, cui il cancelliere Olaf Scholz ha detto recisamente no (vedi qui). I toni del dibattito politico si sono raffreddati, e dagli stessi cristiano-democratici, da cui erano partiti gli attacchi più duri all’operato di Scholz, giungono ora inviti alla prudenza, anche se il gruppo parlamentare rimane favorevole all’invio, mentre l’Ucraina incalza sostenendo che i missili servono subito.
Zelensky, intanto, continua il “reset” nel governo ucraino: ci sono stati molti cambiamenti di personale nei vertici dell’esercito, ed è stato licenziato anche il segretario del Consiglio di sicurezza e difesa nazionale, Oleksiy Danilov. Zelensky si aspetta di ottenere così “un ulteriore rafforzamento delle capacità strategiche dello Stato nel valutare e influenzare i processi cruciali per la nostra sicurezza nazionale”; ma è chiaro che il susseguirsi delle sostituzioni, in settori delicatissimi, non è indicatore di buona salute della direzione del Paese.
Tra paradossi, propaganda bellica e disinformazione, il conflitto si fa, in ogni caso, sempre più drammatico e pare slittare pericolosamente verso un suo ampliamento: i toni si sono inaspriti, e cresce la tendenza alla riproposizione del vecchio rito della colpevolizzazione del nemico, che ha accompagnato tutti gli ultimi grandi conflitti, in cui le accuse reciproche non spiegano le motivazioni della guerra, ma ne rappresentano solo la sciovinistica giustificazione. Come ha ben mostrato la storiografia sulla Prima guerra mondiale, la “ricerca delle responsabilità” dirette dei contendenti è sovente un falso problema, a fronte di un complesso di fattori che concorrono verso un allargamento delle ostilità e la rinuncia ai progetti di pace, in un contesto in cui si disegna un quadro più generale e più profondo di crisi, che va ben oltre la mera descrizione degli attriti che ne sono all’origine.