C’è ma non si vede. Dopo anni di distrazione e di strategia delle tre scimmiette, ovvero del non voler vedere, come nel caso clamoroso della crisi dei subprime americani che hanno scatenato la grande crisi finanziaria mondiale del 2007, ora la politica potrebbe (dovrebbe) riscoprire il problema della casa, una questione mai risolta, nonostante l’ideologia dominante dagli anni Ottanta della casa in proprietà. Esiste, invece, una “questione delle abitazioni”, che sta attraversando l’Europa, ma che forse non risulta ancora abbastanza evidente nella rappresentazione mediatica. Ci sono però dei segnali.
Il primo riguarda proprio la politica istituzionale. Nei giorni scorsi, il sindacato degli inquilini Sunia ha presentato in parlamento una petizione popolare, che ha già raccolto 45mila firme. Come ha spiegato il segretario generale Stefano Chiappelli, esiste una grave emergenza abitativa nel nostro Paese: sarebbe indispensabile un finanziamento di almeno un miliardo di euro annuo a copertura delle proposte avanzate nella petizione, e di ulteriori novecento milioni per il rifinanziamento del fondo sostegno affitti e morosità incolpevole, cancellato, con un colpo di spugna, dal governo Meloni. La petizione ha avuto già un discreto riscontro, visto che è stata sostenuta da un ampio consenso sia dei cittadini sia dei rappresentanti delle istituzioni centrali e locali. Ma a parte il riscontro popolare, la petizione lanciata dal sindacato degli inquilini, insieme alla Cgil e all’Udu, è la testimonianza del reale disagio di migliaia di famiglie e di migliaia di studenti fuori sede.
In Italia ci sono milioni di nuclei familiari in attesa di una casa da anni, mentre migliaia di alloggi pubblici sono ancora sfitti, perché hanno bisogno di una ristrutturazione. Per questo è necessario ritornare a parlare di problemi che sembravano relegati nelle teche degli anni Settanta. A parte le proposte specifiche, la petizione – sottoscritta da cittadini, sindaci e rappresentanti delle istituzioni locali – chiede in sostanza di avviare una discussione con il governo e il parlamento sulle scelte sbagliate: l’ultima legge di Bilancio ha soppresso i fondi per il sostegno all’affitto e per la morosità incolpevole, mentre prevede uno stanziamento molto modesto, cinquanta milioni di euro per gli anni 2027 e 2028, per un improbabile piano casa.
I numeri di questa emergenza sono impressionanti. L’attesa per l’assegnazione di un alloggio popolare in molti casi supera i dieci anni. Il fabbisogno in Italia è di almeno 600mila case di edilizia residenziale pubblica, partendo dalla riqualificazione e dal recupero del patrimonio non utilizzato, quindi a consumo di suolo zero. Gli appartamenti di edilizia pubblica sfitti, che attendono risorse per essere ristrutturati e riassegnati alle famiglie in graduatoria, sono oltre sessantamila e ogni anno questo numero aumenta. Il 70% degli alloggi pubblici, circa un milione, necessita di interventi strutturali o di efficientamento energetico.
Come ha spiegato Patrizia Pallara, sul sito di “Collettiva.it”, il quadro è aggravato dalla condizione nella quale si trovano le famiglie, alle prese con la crescita dell’inflazione e l’aumento del costo della vita, che hanno acuito il disagio sociale. Secondo l’Istat, circa due milioni e mezzo di nuclei non sono nella condizione di poter pagare l’affitto e le spese condominiali, che incidono per oltre il 40% sul reddito, mentre, per garantire il diritto allo studio, servirebbero almeno sessantamila alloggi pubblici per studenti a costi sostenibili. C’è poi lo spettro degli sfratti, che continua ad aleggiare sulle grandi metropoli. Si calcola che ci siano almeno 140mila famiglie a rischio.
Si tratta quindi di rimettere tutto in discussione, riprendendo temi che sono stati abbandonati anche dalla sinistra. Si riparla, infatti, dopo anni, di “programmazione” e finanziamento pluriennale delle ristrutturazioni degli alloggi pubblici sfitti per consentire la loro riassegnazione alle categorie che vivono il disagio abitativo. Si chiede la creazione di una banca dati degli immobili pubblici non residenziali dismessi, e la predisposizione di un piano di fondi specifici per la loro riqualificazione ai fini abitativi; il rifinanziamento dei programmi di riqualificazione urbanistica, edilizia e sociale, delle periferie. Necessario anche affrontare il tema degli affitti brevi: perché – sempre secondo il Sunia – diventa “fondamentale una nuova disciplina del mercato degli affitti brevi, che stanno togliendo di fatto molti alloggi dal mercato, contribuiscono a drogare il sistema dei canoni e a espellere gli abitanti dai centri storici”.
Se vogliamo consolarci con le statistiche e i confronti internazionali, potremmo dire che la questione della casa è ridiventato un tema di attualità anche nel resto dell’Europa, come ha scritto di recente su “terzogiornale” Agostino Petrillo (vedi qui). Parlando di Lisbona, Petrillo ci ha raccontato che il costo delle case, nel novembre scorso, è aumentato del 5,8% in un solo mese, raggiungendo la cifra record di 5.500 euro al metro quadro. Si tratta del secondo aumento più alto in Europa dopo Atene, attualmente il mercato immobiliare più caldo tra le principali città europee. Atene ha registrato, nel 2023, un aumento su base annua di quasi il 12%, mentre i prezzi di Madrid e Milano sono in costante aumento a un tasso superiore al 3%. Nel giro di un decennio, i prezzi delle abitazioni, a Lisbona, hanno fatto un salto enorme, con un aumento del 120% tra il 2012 e il 2022, principalmente a causa dei bassi livelli di investimento nel settore e dell’assenza di politiche pubbliche di contenimento della speculazione. Anche i costi degli affitti sono aumentati in modo significativo, con un incremento del 30% negli ultimi cinque anni. Allo stesso tempo, i salari sono rimasti pressoché fermi, riducendo il potere di acquisto della popolazione. Gli immobili residenziali della capitale portoghese sono così arrivati a essere più costosi di quelli di Milano, Madrid e Berlino. La casa è diventata inaccessibile per la maggior parte degli abitanti.
A Milano, dal 2015 a oggi, sono cresciuti i prezzi di locazione e vendita di circa il 40%, e i salari invece di circa il 5%. Per quanto riguarda gli studenti, la domanda di stanze singole è aumentata del 27%, con una punta del 55% a Roma, e i prezzi medi vanno da 626 euro al mese per una stanza a Milano (+1% rispetto al 2022), a 482 a Bologna (+8%), città che supera Roma, dove il prezzo medio è di 463 euro.
E a Roma, che si prepara freneticamente al Giubileo del prossimo anno, è stata la Comunità di Sant’Egidio a rilanciare la questione casa. Si propone, infatti, di investire parte dei fondi del Giubileo proprio per l’emergenza abitativa. La proposta è stata lanciata alla fine dell’anno scorso, in occasione di una conferenza stampa natalizia sulla povertà. Per combattere l’emarginazione e dare una risposta a migliaia di famiglie in difficoltà, per Sant’Egidio si tratterebbe di utilizzare parte dei tre miliardi di euro dei fondi del Pnrr, destinati per il Giubileo a Roma Capitale, per migliorare le infrastrutture, la viabilità, l’arredo urbano, per la creazione di un fondo di sostegno alle locazioni, dato che non è stato più finanziato il fondo per il contributo agli affitti e alla morosità incolpevole.
Per chiudere questo quadro non certo esaltante, vogliamo proporre altri due temi che svilupperemo ulteriormente con nuovi approfondimenti. Il primo riguarda la domanda sul “perché” siamo in questa situazione; il secondo è quello del conflitto spontaneo che parte direttamente dai cittadini. In un libro pubblicato da Carocci, alla fine dello scorso anno, si parla delle “nuove recinzioni”. I tre autori (Stefano Portelli, Luca Rossomando e Lucia Tozzi) descrivono i fenomeni strutturali che stanno alla base dei problemi della casa e determinano l’accanimento contro i soggetti sociali più fragili, che sempre più spesso la casa la perdono, perché non più in grado di pagare affitti e mutui, e di conseguenza vengono sfrattati (con sgomberi e pignoramenti) ed espulsi dal territorio che abitano verso sempre più lontane e squallide periferie ai margini delle aree metropolitane.
L’altro segnale che vorremmo cogliere riguarda la reazione popolare e spontanea a drammi come gli incidenti mortali sul lavoro. A Firenze – dopo l’annuncio da parte di Esselunga di voler ricostruire un parco privato del supermercato, nella zona del cantiere crollato che ha ucciso cinque operai – una neonata “Assemblea 16 febbraio” ha lanciato, con altre iniziative, una raccolta firme, affinché venga realizzato, al posto del centro commerciale di Esselunga, un parco pubblico intitolato ai lavoratori che hanno perso la vita: Luigi Coclite, Mohamed el Ferhane, Bouzekri Rahimi, Mohamed Toukabri e Taufik Haidar. “Per i lavoratori caduti sotto il peso del profitto”.