Domenica 24 marzo si vota in Senegal per le presidenziali. C’è voluto il Consiglio costituzionale per smontare quella sorta di colpo di Stato “costituzionale” che il presidente Macky Sall aveva messo in atto per restare altri dieci mesi al potere e manovrare la sua successione. Il Consiglio costituzionale, con una decisione del 6 marzo, ha ritenuto illegittimo il decreto del 3 febbraio con cui, prima il presidente e poi l’Assemblea nazionale, avevano rimandato le elezioni al 15 dicembre. La data prevista inizialmente era il 25 febbraio, in tempo per un eventuale secondo turno prima dell’inizio del Ramadan e dello scadere del mandato presidenziale il 2 aprile. Il rinvio ha provocato manifestazioni popolari, che hanno lasciato quattro morti sul terreno, e i candidati contrari si sono rivolti al Consiglio costituzionale (ne abbiamo parlato qui).
Per abbassare la tensione il presidente ha liberato alcuni prigionieri politici e aperto un dialogo nazionale, boicottato però dalla maggioranza dei candidati alle elezioni. Si è tentata una mediazione, proponendo di avvicinare il voto al 2 giugno, proposta anch’essa respinta dal Consiglio costituzionale. A questo punto, a Macky Sall non è restato altro che rassegnarsi e fissare il voto a domenica prossima.
Prima di vedere in quali condizioni si sta svolgendo la campagna elettorale, in pieno mese di Ramadan, è bene capire perché il presidente avesse voluto rimandare a fine anno la data delle elezioni presidenziali. Macky Sall aveva tentato di correre per un terzo mandato, non previsto però dalla Costituzione, lasciando nell’incertezza la coalizione di governo e le opposizioni, comunque contrarie. Ad aggravare la situazione era sopraggiunta la carcerazione del principale oppositore di Sall, Ousmane Sonko, leader del Pastef (Partito dei patrioti africani del Senegal per il lavoro, l’etica e la fraternità). In testa ai sondaggi – ma condannato per diffamazione, per violenza sessuale, e in vista di un nuovo processo per incitamento alla ribellione –, Sonko ha sempre respinto le accuse, costruite apposta, a suo dire, per tenerlo fuori dalla corsa presidenziale. Il suo partito era stato poi sciolto.
Nel frattempo, al termine di forti tensioni, era stata scelta la candidatura del primo ministro Amadou Ba, lasciando però la maggioranza di governo lacerata e con scarsa possibilità di vedere vincitore il proprio candidato. Questo è stato il motivo fondamentale del tentativo di rinvio delle elezioni: permettere al candidato della maggioranza di recuperare i consensi, o avere il tempo per trovare un’alternativa migliore.
È in un contesto particolare e molto teso che si è aperta, alla fine, la campagna elettorale, con due settimane di tempo anziché le tre normalmente previste. Lo stesso giorno in cui il Consiglio costituzionale ha respinto i rinvii del voto, è stata confermata la lista dei diciannove candidati (diciotto uomini e una sola donna), fissata a gennaio, che esclude comunque il principale oppositore Ousmane Sonko. Quanto al presidente Sall, ha sostituito il capo del governo Amadou Ba per dargli la piena libertà di gettarsi nella disperata (per lui) corsa all’elezione. E Bassirou Diomaye Faye, candidato del Pastef al posto di Ousmane Sonko, escluso e in prigione, si è trovato anche lui in carcere, fino a quando la provvidenziale amnistia non ha liberato entrambi, a soli dieci giorni dal voto.
È dunque con una corsa contro il tempo, e di tutti contro tutti, che si sta svolgendo la campagna elettorale, vivacizzata senza alcun dubbio dalla presenza dagli esponenti più forti delle opposizioni, ma anche dall’assenza degli esclusi. Perché, tra quelli che non hanno avuto modo di presentarsi, c’è anche Karim Wade, il figlio del precedente presidente Abdoulaye Wade, con una forte rappresentanza di deputati nell’Assemblea nazionale, e i cui sostenitori proseguono nelle proteste. Karim Wade – possibile candidato, in esilio, dello storico Partito democratico senegalese (Pds) – era già stato escluso dalla competizione perché con doppia nazionalità, senegalese e francese, avendo rinunciato in ritardo a quella francese. Per questo ha appoggiato la manovra di Macky Sall di rinviare il voto a fine anno; e per lo stesso motivo ha fatto un ultimo disperato tentativo, rivolgendosi alla Corte suprema perché invalidasse la data del 24 marzo, che riduce la durata della campagna elettorale fissata dalla Costituzione. Con la sentenza del 15 marzo, la Corte ha però respinto tutti i ricorsi, anche quelli avanzati da altri candidati.
Quello che si prospetta è dunque un possibile profondo riequilibrio del sistema di potere politico senegalese, fin qui caratterizzato da una straordinaria stabilità. Dall’indipendenza nel 1960, si sono avvicendati solo quattro presidenti, compreso quello in carica ancora per poco, mentre nessun colpo di Stato militare ha spezzato la legalità costituzionale. Ma questo eventuale riequilibrio si produrrà all’interno di uno scenario di tensioni economiche e sociali, che hanno segnato gli ultimi anni del Paese fino agli ultimi giorni di campagna elettorale. Il nuovo presidente, chiunque sia, dovrà tenerne conto.