
Possiamo dire che l’Italia sia l’unico Paese dell’Europa occidentale a non avere mai avuto un governo di sinistra, arrivando forse a qualcosa che gli assomigliava (vedi Prodi e il Conte 2), ma comunque ben lontano da quanto successo altrove. Le ragioni si possono individuare nella vecchia conventio ad excludendum nei riguardi dei comunisti, e poi nell’incapacità degli stessi di creare, dopo la caduta del Muro di Berlino, un grande partito socialdemocratico (come avrebbe voluto Sergio Cofferati). Ora, questa maledizione potrà protrarsi fino alle “calende greche” se l’attuale opposizione al governo delle destre non troverà un’unità, individuando con chiarezza chi possano essere gli attori impegnati nella costruzione di un campo, “largo” o “stretto” che sia, in occasione del voto nazionale che dovrebbe tenersi, tranne sorprese, nel 2027.
Le ultime due elezioni regionali, in Sardegna e in Abruzzo, e l’individuazione di un candidato per la Basilicata e il Piemonte, evidenziano tutti i nodi ancora da sciogliere per trovare la necessaria unità. Che sono sostanzialmente due. Dando per scontata la disponibilità dell’Alleanza verdi-sinistra a intrecciare un dialogo sia con Elly Schlein sia con Giuseppe Conte, resta il problema tra i due leader smaniosi, soprattutto l’ex premier, di guadagnarsi la guida del fronte progressista. La vittoria in Sardegna di Alessandra Todde, in quota 5 Stelle, donna apprezzata dalla segretaria del Nazareno e sostenuta anche da Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni, aveva rappresentato un momento di unità tra i due amici-nemici. Al contrario, è fallita l’ampia coalizione – dall’Alleanza verdi-sinistra a Italia viva – realizzata per sostenere in Abruzzo Luciano d’Amico, pur avendo l’ex rettore dell’Università di Teramo ridotto di molto il divario previsto dai sondaggi di qualche settimana prima. Ma a Potenza e a Torino – dove le regionali si terranno, rispettivamente, il 21 e 22 aprile e l’8 e 9 giugno – lo spettacolo offerto agli elettori e alle elettrici è a dir poco deprimente.
In Basilicata, sarebbe stata trovata una soluzione nelle ultime ore, ma il condizionale è d’obbligo. In un primo momento, messa da parte l’ipotesi di candidare l’ex ministro Roberto Speranza, si era fatto il nome dell’imprenditore Angelo Chiorazzo, che aveva però ritirato la candidatura perché poco gradita ai 5 Stelle. E così era venuto avanti il medico oculista Domenico Lacerenza – a suo stesso dire, però, senza alcuna esperienza politica alle spalle – sostenuto da Giuseppe Conte, in primo luogo, e dal Pd, verdi-sinistra e +Europa. Ma il fallimento era dietro l’angolo. Oltre al leader di Azione, Carlo Calenda, che aveva denunciato la sua esclusione nella scelta del candidato, contro il professionista sono scesi in campo pezzi del Pd locale: va ritirata “la candidatura da presidente della Regione Basilicata di Domenico Lacerenza o promuoviamo il polo dell’orgoglio lucano”, avevano chiesto attivisti, sindaci, amministratori, sindacalisti e dirigenti del partito e del centrosinistra locale, formalizzando la richiesta in un documento diffuso da Giovanni Petruzzi, all’epoca coordinatore della mozione Cuperlo. Secondo loro, la candidatura di Lacerenza non era mai stata discussa.
In un primo momento, il medico aveva sottolineato la sua ferma intenzione di restare in campo, ma poi i dissensi nei riguardi del suo nome lo hanno spinto a ritirarsi. “Non posso non registrare le reazioni che ci sono state in seguito alla mia candidatura”, ha detto Lacerenza. Ad approfittare della situazione è di nuovo Chiorazzo, con il disappunto dell’ex presidente del Consiglio: “Lacerenza era la persona giusta, lo hanno impallinato”, ha attaccato Conte, che minacciava di presentare un proprio candidato a un mese dal voto. Sullo sfondo, un’altra comica offerta dal cosiddetto “terzo polo” (che, visti i dissidi tra i due leaderini, di fatto non esiste). Così Renzi sosterrà il presidente uscente della destra Vito Bardi, e anche Calenda sembrava volere fare lo stesso. Ma in queste ultime ore è arrivata un’altra sorpresa: la coalizione – formata da Pd, 5 Stelle, verdi-sinistra, socialisti e +Europa – avrebbe trovato l’intesa sulla figura di Piero Marrese, presidente della provincia di Matera. Speriamo che si tratti dell’ultimo atto di questo indecoroso percorso, perché il conto alla rovescia della presentazione delle liste (venerdì prossimo, 22 marzo, fino alle ore 12 di sabato 23 marzo) si fa sempre più incalzante.
Le cose non vanno meglio in Piemonte, dove però il tempo gioca a favore di una soluzione del problema. I democratici hanno scelto Gianna Pentenero, attuale assessora comunale al Lavoro e Sicurezza nella giunta Lo Russo: un nome che mette d’accordo le anime interne al partito, spaccato in due tra il vicepresidente di minoranza dell’attuale Consiglio regionale, Daniele Valle, area Bonaccini, e la vicepresidente del partito, Chiara Gribaudo, area Schlein – non senza qualche mal di pancia nel Pd locale, che si sente scavalcato dalle decisioni di Roma. Il tutto contro i pentastellati che, anche in questo caso, minacciano di correre da soli. Un’opzione che metterebbe fine al “campo largo”, rendendo inutili mesi di trattative. E tuttavia i margini per una soluzione del problema ci sarebbero ancora. “C’è una disponibilità da parte nostra e anche da parte del Pd – ha affermato Conte – a creare un tavolo di confronto, a misurare su progetti concreti la possibilità di costruire una coalizione”. Anche la stessa Pentenero è possibilista: “Io non ho partecipato ai tavoli di confronto con loro avvenuti fino a oggi. Parliamoci, almeno, prima di decidere”.
Il caos che caratterizza la preparazione di questi due appuntamenti elettorali rischia di vanificare l’importanza della vittoria sarda, già ridimensionata dalla sconfitta abruzzese. Una débâcle in Basilicata – a causa del conflitto tra Pd e 5 Stelle, delle rivendicazioni dei democratici lucani e dell’imbarazzante atteggiamento dei due esponenti centristi, sempre più vicini alla destra – offrirebbe all’elettorato nazionale l’immagine di un’opposizione rissosa, tesa a far prevalere l’interesse personale e di partito su quello comune, perciò incapace di creare un’alternativa credibile alla destra, allontanando così, ancora una volta, l’arrivo di un governo di sinistra in Italia.