Un ignaro cittadino guida tranquillamente per la sua strada, a un certo punto commette una qualche infrazione, non si ferma allo stop o ha un fanalino di coda guasto, ed ecco che dal nulla compare la macchina della polizia con i lampeggianti e la sirena. Il poliziotto scende e si avvicina con la mano sulla fondina della pistola pronto a sparare al minimo sospetto, e in men che non si dica ti ritrovi sbattuto a faccia in giù sul cofano e ammanettato. Quante volte l’abbiamo vista al cinema e nei telefilm, questa scena. Poliziotti severi e implacabili, che non guardano in faccia a nessuno nell’applicare la legge.
Ma le cose non stanno affatto così, almeno non sempre e non per tutti. Ci sono molti altri casi in cui il poliziotto, magari inizialmente sospettoso, subito dopo ti saluta cortesemente, ti invita a non farlo più e ti lascia andare senza altre conseguenze, soprattutto senza farti la multa. La differenza tra un caso e l’altro la fa una piccola tessera plastificata, che è bene tenere sempre nel portafogli con la patente e la carta di credito. Se ce l’hai, tutto bene, nove volte su dieci la fai franca; in caso contrario, pagherai il fio della tua infrazione.
Di cosa si tratta? Della courtesy card, la tessera di cortesia, chiamata anche comunemente “la tessera per uscire di galera”, che i sindacati di tutti i dipartimenti di polizia degli Stati Uniti distribuiscono ai propri iscritti, in servizio o in pensione, perché la consegnino a familiari e amici. Parliamo non di una ma di una dozzina di tessere a poliziotto in ciascuno dei 18.000 (circa) dipartimenti di polizia locale degli Stati Uniti, tra Stati, contee e città. Nella sola New York il principale sindacato, che non casualmente si chiama “Police Benevolent Association”, ne distribuisce decine di migliaia, e la stessa cosa fanno gli altri sindacati o associazioni di categoria.
Teoricamente, le tessere dovrebbero essere nominative e riportare il nome dell’agente. Teoricamente, dovrebbero essere consegnate ai membri della famiglia ristretta. Ma in pratica finiscono nelle mani di amici e amici degli amici. Dovrebbero essere gratuite, ma si ritrovano anche su eBay al prezzo di una cinquantina di dollari. Piccola somma, ma che vale una fortuna in denaro e seccature risparmiate per chi guida molto, va di fretta e si trova a commettere infrazioni al codice della strada.
Naturalmente le courtesy cards non hanno alcun valore legale, e non sta scritto da nessuna parte che il poliziotto che, avendo fermato un automobilista se ne vede presentare una, debba tenerne conto e non fare la multa. Ma oltre al codice della strada esiste un codice non scritto per cui, che gli piaccia o no, è indotto a rispettarle. Se non lo fa, viene mal visto dai colleghi, in particolare dal collega il cui nome è riportato sulla card. Nei casi peggiori, se il collega in questione è un dirigente o l’amico di qualche politico importante, può ritrovarsi trasferito da un giorno all’altro.
È quello che è successo qualche mese fa a un agente di New York, un certo Matthew Bianchi, che aveva insistito per fare una multa a un amico di un suo superiore, e tre giorni dopo si è ritrovato senza macchina a battere i marciapiedi della città, che è il servizio di primo livello per un poliziotto appena entrato. Qualche tempo dopo, ha fatto domanda per rientrare nel servizio di pattuglia in macchina, ma gli è stato detto che non c’erano più posti. Caso raro, Bianchi non ha accettato la punizione e ha presentato una denuncia alla procura federale, che ora dovrà decidere se ridargli il posto. E intanto è scoppiato il caso sui media che si sono improvvisamente accorti di una diffusissima pratica “familistica”, che per la verità esiste da tempo.
Tirati in ballo, i sindacati di polizia hanno detto che lo scopo delle courtesy cards è semplicemente di rassicurare il poliziotto sul fatto che il titolare della card non è un criminale, è una brava persona e “un amico della polizia”. Ma oltre a ciò ci sono anche altri vantaggi. Spesso grazie alle cards che consegna ad amici e parenti il poliziotto riceve sconti nei negozi e nei ristoranti, e si fa anche fare qualche lavoretto di manutenzione a casa. Corruzione? Sì, tecnicamente, ma che volete? Quando si fa l’ingrato mestiere di tutore dell’ordine, è piacevole sapere che si ha di fronte un amico, o un amico di un amico. Come ci si sente importanti e gratificati quando, con un cenno del capo e una pacca sulla spalla, si può, con totale discrezionalità, graziare un automobilista colpevole che ti guarda speranzoso con in mano la sua carta di cortesia.
Perché la vita del poliziotto americano oggigiorno è dura. Da qualche tempo, a differenza di quello che raccontano film e telefilm, deve stare molto attento a quello che fa. Non può più avere la certezza dell’impunità. Ha addosso gli occhi di tutti, della stampa, della politica, degli organismi di controllo. Se ferma un nero senza motivo, ecco che subito la gente grida al razzismo, e se lo picchia o gli spara potrebbe addirittura finire sotto inchiesta, anche se la probabilità di finire in prigione è minima. Com’è bello, invece, ritrovarsi tra amici che ti rispettano, fare parte di una benevolent association e graziare chi vuoi tu! Intanto, se non fai la multa a questo qui (quasi sempre un bianco) che ti mostra la sua card e lo lasci andare, la puoi sempre fare al prossimo malcapitato (quasi sempre un nero o un ispanico) che non ce l’ha. E che non si azzardi a reagire, sennò peggio per lui.
Post scriptum – Siamo fortunosamente entrati in possesso della registrazione della telefonata tra un poliziotto (Bill) che ha appena fermato un automobilista e il poliziotto (John) titolare di una courtesy card. La riportiamo così come l’abbiamo ricevuta.
(Squilla il telefono…)
John – Sì?
Bill – Ciao John, sono Bill.
John – Dimmi.
Bill – Ho fermato uno che aveva una tua card, un certo John Smith. Lo conosci?
John – No… Aspetta, sì, mi sembra che sia un cugino di mia moglie.
Bill – Che tipo è?
John – E che ne so. Dovresti chiedere a mia moglie. Che ha fatto?
Bill – Mah, niente, è passato col rosso; mi sembra anche un po’ alticcio.
John – È bianco?
Bill – Sì, sì, bianco.
John –Allora dev’essere uno a posto.
Bill – Che faccio John?
John – Fai tu. Io lo farei andare. Siamo tra amici.
Bill – Ok, John. Salutami tua moglie.
John – E chi la vede mai? Abbiamo divorziato sei mesi fa.
Bill – Ma…
John – Ma niente. Ogni tanto le passo qualche tessera, così non mi rompe i coglioni quando sono in ritardo con gli alimenti. Grazie. A buon rendere, eh!
Bill – A buon rendere, John.