Papa Bergoglio l’ha detto nel modo più chiaro possibile: “alzare bandiera bianca” – che non significa arrendersi, ma chiedere una tregua e iniziare a trattare. Sappiamo che, allo stato delle cose, la controversia territoriale tra l’Ucraina e la Russia non potrà concludersi a breve, che il conflitto potrà essere tutt’al più congelato, non condurre rapidamente alla pace. Ma l’Ucraina ha ottenuto, già nei primissimi mesi di guerra, un risultato molto significativo: ha difeso la propria indipendenza nazionale che la Russia, con l’invasione, voleva sic et simpliciter sopprimere. Fin dall’ormai lontano 2014, al tempo della rivolta di piazza Maidan (che non fu propriamente una rivoluzione ma neppure un semplice colpo di Stato, come vorrebbe Putin), un’Ucraina in maggioranza filoccidentale ha dovuto fare i conti con la volontà della Russia di sottometterla e rosicchiarne il territorio.
La prima violazione del diritto internazionale fu l’occupazione della Crimea, con il successivo referendum illegale e l’annessione. Si è passati poi a una guerra a bassa intensità nel Donbass, fino all’invasione vera e propria. Con la scusa che in quella regione una parte consistente della popolazione parla il russo, anziché sostenerne l’autonomia, la Russia appoggiò la prospettiva separatista, e in seguito, con l’invasione del 2022, c’è stata anche qui l’annessione. Questo non significa, però, che l’Ucraina – all’interno di un negoziato che metta nel conto di perdere una parte di territorio, riconoscendo per esempio lo stato di fatto in Crimea – non possa puntare a riottenere le altre zone occupate, magari dopo che per un certo periodo siano state poste sotto controllo internazionale (qualcosa di simile a ciò che avvenne con Trieste negli anni immediatamente successivi alla Seconda guerra mondiale).
L’alternativa quale sarebbe? La prosecuzione della guerra a oltranza, con il suo insensato batti e ribatti? O – peggio ancora – un coinvolgimento della Nato, con alcuni dei suoi Paesi, se non tutti, che accorrono a dare man forte? Già consiglieri e tecnici occidentali sono presenti in Ucraina, e la Germania di Scholz (vedi qui) si è trovata dinanzi al dilemma se concedere i micidiali missili Taurus – il che implicherebbe l’invio di personale militare tedesco per gestirli – o continuare a negarli.
Il tempo, del resto, non gioca a favore dell’Ucraina. Non sembra affatto che Putin, nei due anni di guerra, si sia indebolito, al contrario: una delle ragioni dello scatenamento del conflitto fu data probabilmente proprio dalla necessità di un rafforzamento all’interno. La maniera in cui in Russia viene soffocata l’opposizione – l’eliminazione di Navalny o la ripresa del controllo sul gruppo Wagner attraverso un attentato che ne decapitasse una dirigenza troppo intraprendente – dimostra che Putin ha da guadagnare dalla guerra, dal suo richiamo nazionalistico e dalla sua esigenza centralizzatrice. Avrebbe forse anche da guadagnare da una pace che sancisse quella che potrebbe presentare come una vittoria – ma questo è ancora da vedere; e soprattutto è una considerazione che non può essere anteposta a una constatazione ormai evidente: la popolazione ucraina non ne può più dei bombardamenti, delle distruzioni, delle morti. Se non si arrivasse all’apertura di una trattativa, il rischio per il Paese invaso sarebbe poi di dovere negoziare in condizioni di maggiore difficoltà.
Con il trascorrere del tempo, inoltre, si fa più incombente l’ombra della guerra mondiale. Si potrebbe credere che questa sia ostacolata proprio dalla dissuasione nucleare reciproca, ma sarebbe un residuo di mentalità da guerra fredda. Oggi non c’è più alcun freno alla follia. E sarebbe perfino immaginabile uno scontro diretto tra la Nato e la Russia con il tacito accordo di restare nel campo delle armi convenzionali – fino a che punto, però? La possibilità dell’uso di armi nucleari tattiche, con lo scatenamento di una potenza distruttiva relativamente limitata, non risparmierebbe di certo l’Ucraina e le regioni limitrofe. Scherzare con il fuoco non è consigliabile, ma lo si sta già facendo da due anni.
Un’altra riflessione, che la dirigenza ucraina non dovrebbe evitare di fare, riguarda gli Stati Uniti e la possibile, se non probabile, rielezione di Trump. Essere abbandonati, o pressoché abbandonati, dalla maggiore potenza occidentale guidata da un amico o un non-nemico di Putin, sarebbe esiziale per qualsiasi trattativa, dal punto di vista ucraino. Meglio perciò nei prossimi mesi che nel 2025. Avviare un negoziato non significa condurlo in porto, è chiaro. Ma mostrare una volontà trattativista, e mostrarla prima delle elezioni americane, sarebbe politicamente saggio per l’Ucraina.