“Quello che viene fuori dalle indagini è un verminaio”. È terribile la conclusione a cui arrivano a palazzo San Macuto, prima il procuratore nazionale antimafia, Gianni Melillo, poi quello di Perugia, Raffaele Cantone. Tra mercoledì pomeriggio e giovedì mattina, la Commissione parlamentare antimafia ha dovuto prendere atto di uno scandalo che scuote le istituzioni e mette in discussione il diritto alla privacy dei cittadini. E negli archivi di San Macuto ci sono i faldoni di un altro “verminaio”, al centro, nel secolo scorso, di polemiche e inchieste giudiziarie: il caso Messina. Il palcoscenico della città dello Stretto era animato dalla massoneria, da Cosa nostra, da notabilati politici ed economici. Furono indagati, processati e condannati anche alcuni magistrati. Perciò fa impressione che la parola “verminaio” sia tornata a riecheggiare tra le mura di palazzo San Macuto. Siamo di fronte a un mercato delle “Segnalazioni di operazioni sospette”, di informazioni tutelate dalla privacy, dal segreto. Attenzione, dicono i magistrati, questo mercato continua ancora oggi, e non è gestito dal luogotenente Pasquale Striano.
Dell’inchiesta sappiamo però ancora poco. Dei quindici indagati conosciamo i nomi dei quattro giornalisti del quotidiano “Domani”, del luogotenente della Finanza Pasquale Striano, naturalmente, del magistrato della procura nazionale antimafia, Antonio Laudati. Dunque, non solo Striano a quanto pare. La procura di Perugia ha finora collegato una “Segnalazione di operazione sospetta” all’utilizzo che ne avrebbe fatto il quotidiano “La verità”, diretto da Belpietro. E ci sarebbe poi un dossier sulle attività finanziarie della Lega Nord.
Ma lascia inquieti il fatto che sia Melillo sia Cantone non siano stati in grado di chiarire le dimensioni dello scandalo (“i numeri sono mostruosi e inquietanti”, ha commentato Cantone). Non sono ottocento, siamo ben oltre i diecimila accessi alle banche dati. Il luogotenente della Finanza, Pasquale Striano, dal primo gennaio del 2019 al 24 novembre del 2022 – riassume il procuratore di Perugia alla commissione antimafia – “ha consultato 4.124 ‘Segnalazioni di operazioni sospette’, digitato 171 schede di analisi e sei schede di approfondimento. Inoltre, ha digitato i nominativi di 1.531 persone fisiche e 74 giuridiche. Ma poi ha cercato altre informazioni su 1.123 persone nella banca dati Serpico e in quella Sdi ha chiesto informazioni su altre 1.947 persone”. E Raffaele Cantone aggiunge: “Siamo di fronte a diecimila accessi complessivi. Questo però è un numero destinato a salire significativamente. Il luogotenente Striano ha clonato, ha fatto il download, di 33.528 file dalla banca dati degli uffici della procura nazionale antimafia di via Giulia a Roma”.
Nei primi giorni, l’inchiesta di Perugia “rischiava” di spaccare la politica e l’opinione pubblica in due schieramenti contrapposti. Due i temi sostanzialmente sollevati: siamo di fronte a un attacco alla libertà di informazione, perché i giornalisti indagati hanno fatto solo il loro mestiere, e cioè quello di pubblicare le notizie? Oppure: a poche ore dal voto regionale abruzzese, si tratta di un’operazione di dossieraggio contro la maggioranza di governo, visti i nomi dei personaggi coinvolti in questa attività di raccolta di informazioni?
Le due audizioni a palazzo San Macuto hanno dato le prime risposte ai dubbi e agli scenari delineati in questi giorni. Purtroppo la dimensione dello scandalo non travolge solo quattro giornalisti, un magistrato e un finanziere. “Non siamo di fronte a un’associazione a delinquere”, hanno spiegato i due magistrati. Però “Striano non agiva da solo”. “Che fine hanno fatto i 33.528 file clonati dal luogotenente della Finanza?”.
Numeri per nulla rassicuranti, e i chiarimenti dei due magistrati sollecitano altre domande che meritano risposte. Il procuratore nazionale Melillo, nella sua audizione, ha fatto riferimento a un dossier su di lui trovato, nell’estate del 2006, nell’archivio “parallelo” dei servizi segreti gestito da Pio Pompa, in via Nazionale. Dell’inchiesta di Perugia i due magistrati hanno informato anche il Copasir, il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica. Potrebbero emergere dei profili di coinvolgimento di servizi segreti internazionali interessati alla raccolta di informazioni? Di certo, la procura di Perugia ha stilato una lista di 165 Vip al centro dell’attività di dossieraggio. Sono coinvolti politici, imprenditori, personaggi del mondo dello sport e dello spettacolo. Naturalmente, nei limiti del segreto investigativo, i magistrati sentiti dall’Antimafia hanno spiegato il coinvolgimento dei giornalisti nell’inchiesta.
Cantone si è augurato che le indagini possano smentire l’ipotesi accusatoria nei confronti dei giornalisti, cioè il concorso nell’accesso abusivo a sistema informatico e la violazione del segreto. In sostanza, i giornalisti potrebbero avere commissionato al luogotenente Striano la raccolta di informazioni. Queste accuse sono ipotizzate sulla base di un lavoro di confronto tra il giorno in cui è stata interrogata la banca dati su tali personaggi e quello della pubblicazione degli articoli, da parte dei giornalisti, riguardanti i suddetti personaggi.
C’è di più. La raccolta di notizie sul ministro della Difesa, Guido Crosetto, non fu sollecitata dal magistrato coordinatore dell’ufficio “Segnalazione operazioni sospette”, Antonio Laudati, ma fu un’iniziativa di Striano. Le indagini hanno accertato che l’informativa mandata da Striano a Laudati era stata scritta da uno dei giornalisti indagati.