A differenza di quanto sosteneva Totò, in Sardegna stavolta il totale non fa la somma. La vittoria della coalizione trainata da Todde non è la conseguenza di un’affermazione dei partiti che la compongono. La vincitrice prende molti più voti dell’insieme delle forze che l’hanno sostenuta: le singole formazioni rimangono al palo, nonostante l’imprevisto sorpasso sulla coalizione di destra. Il Pd prende all’incirca i voti della volta precedente, in cui aveva perso poco meno del 14%, e i 5 Stelle, che pure hanno indicato la candidata, rimangono schiacciati sotto l’8%.
Insomma, i due partiti nazionali, che pure si sono impegnati fortemente nel dare all’elezione un timbro antigovernativo, non raccolgono la spinta al rinnovamento, e neppure la reazione antiautoritaria (il cosiddetto “effetto manganelli”) che pure si è registrata. Nella stessa direzione i risultati delle altre organizzazioni della nuova maggioranza, a partire dall’Alleanza verdi-sinistra, inchiodata a un fatidico 4%, che, quando si perde, segnala la conquista di un utile diritto di tribuna, ma quando si vince denuncia un’insensibilità dell’elettorato nei riguardi della sinistra radicale.
Anche la geografia dei voti pone domande sul modo di coagulare e irrobustire i consensi: l’alleanza giallo-rossa sfonda nelle città e paga pegno nelle province. Un dato che indica come una forte reazione alle minacce autoritarie e alle bolse velleità reazionarie si verifica nel tessuto metropolitano, dove la granularità delle relazioni è sempre più mediata dai servizi digitali, mentre rimane frenata nei piccoli comuni, dove ancora resiste un familismo clientelare. Il tema, a questo punto, sbollita la sbornia dei pur giusti festeggiamenti, è come rispondere a questi segnali.
Ovviamente, il vertice del Pd – che è esattamente il prodotto di questa evanescenza teorica e organizzativa – non pare né interessato né predisposto ad affrontare il tema. Si leggono entusiastici commenti per la vittoria dell’alleanza con i grillini, mentre dovrebbe far riflettere il fatto che questa vittoria avviene all’insegna dello sbiadire delle identità di partito, con un traino tutto esterno al Pd, com’è infatti Alessandra Todde, sia politicamente, quadro collaudato dei 5 Stelle, sia socialmente, manager della nuova economia digitale e circolare. E nella sinistra radicale si brancola dentro la rendita di posizione del 4 %, che Bonelli e Fratoianni difendono con le fumisterie di immaginifici movimenti peronisti (che Santoro, a sua volta, sta evocando da apprendista stregone).
Sarebbe invece utile usare proprio il prossimo percorso elettorale, con le sfide regionali che ci accompagneranno alle europee, per ragionare seriamente sulla questione delle questioni, ossia la forma partito. Si tratta di usare i numeri – anche quelli di questa elezione – per focalizzare e declinare un dibattito: quale partito e con quale base sociale?
Il punto di partenza è evidenziato dall’occasionalità che hanno i consensi. Dalla moltitudine del corpo elettorale, sempre più differenziato sia negli interessi sia nei valori, emergono, di volta in volta, opzioni occasionali, che si raccolgono intorno a un simbolo o a una personalità, intorno a questo o a quel candidato, oppure anche su un contenuto, su questa o quella norma da approvare o da eliminare. Ma sicuramente non si è più in condizione di solidificare convergenze ideali e materiali di ampio respiro, nelle quali grandi masse si trovino a condividere una pluralità di temi e posizioni. Il fine vita appare alternativo alla pace, la regolamentazione digitale è diversa dalla riforma fiscale. Si pone quindi il tema di un partito a geometrie variabili, costruito sugli scopi del momento e non per strategie lunghe.
Il secondo aspetto riguarda la condivisione delle decisioni: ormai la rete ha imposto un modello di comportamento in cui si scambia la partecipazione con la rilevanza. Io ci sono e ti do la mia attenzione – se tu mi fai decidere. Questo è lo scambio sociale su cui può fondarsi oggi un progetto che miri a mobilitare quelle figure professionali delle aree urbane, che mettono in campo le proprie competenze e il proprio ruolo attivo. Un patto con i nuovi produttori su singoli temi e con una reciprocità nelle deliberazioni. Una formula certo non indolore, che mette in crisi il primato di élite e apparati, ma che potrebbe aprire una strada a una sinistra del Ventunesimo secolo, che individui – nella trasformazione dei saperi e della stessa evoluzione umana – il terreno di un conflitto da perseguire, nodo per nodo, passo dopo passo, proprio come in una navigazione virale.