Incredibile come un voto come quello sardo – solo ottocentomila elettori ed elettrici su un milione e seicentomila, cioè il 52,4% degli aventi diritto – possa far tanto discutere giornalisti e opinionisti. Ma l’Italia politica è anche questo. Un Paese in eterna campagna elettorale, dove ogni accadimento può spostare gli equilibri a destra e a sinistra. Dunque la vittoria della pentastellata Alessandra Todde, che ha battuto per un soffio (con il 45,4% contro il 45%, pari a circa tremila voti di differenza) il rappresentante della destra meloniana, già pessimo sindaco di Cagliari, Paolo Truzzu, diventi la prima fra le tante occasioni – ci saranno nei prossimi mesi altri appuntamenti amministrativi, più le europee – di riflessione sugli scenari politici che via via potranno aprirsi sui due fronti a livello nazionale.
Il successo dell’imprenditrice sarda dei 5 Stelle, sostenuta dal Partito democratico e dall’Alleanza verdi-sinistra, ha come effetto un’ennesima puntata della telenovela prodotta al Nazareno, nell’ambito di una realtà politica (e umana) che riesce clamorosamente a sopravvivere, malgrado tutto. Da quando, il 12 marzo dello scorso anno, è diventata segretaria della creatura fondata nel 2007 da Walter Veltroni, Elly Schlein, oltre a essere sottoposta a una comprensibile quanto sguaiata sequela di critiche e insulti da parte della destra, ha dovuto fronteggiare anche i tentativi di imboscata da parte di quegli “amici”, che non le hanno mai perdonato di avere vinto nelle primarie aperte contro Stefano Bonaccini, che l’aveva battuta nella consultazione riservata ai soli iscritti (vedi qui).
Da allora, i timidi quanto a volte confusi sforzi dell’ex europarlamentare per spostare a sinistra il partito – soprattutto sui temi del lavoro, meno su quelli di politica estera – avevano comportato la fuga di personaggi facenti riferimento o all’area cattolica, come Giuseppe Fioroni (vedi qui), o a una liberista, come Carlo Cottarelli. E soprattutto cominciava la guerra degli ex renziani della corrente di “Base riformista” e di quella dei bonacciniani di “Energia popolare”. Tutti poco entusiasti, per usare un eufemismo, non solo della svolta a sinistra, ma anche – e le due cose sono legate tra loro – dell’intenzione di guardare al Movimento 5 Stelle, oltre che all’Alleanza verdi-sinistra, visti come il fumo negli occhi dai settori citati (come da Carlo Calenda di Azione e da Matteo Renzi di Italia viva) che non vedono l’ora che Schlein faccia qualche passo falso. In altre parole, essi puntano sulle sue sconfitte nei vari appuntamenti elettorali, così da spingerla a togliersi di mezzo dando di nuovo spazio ai vari “riformisti”, che, dall’alto delle loro risibili percentuali, vorrebbero sostituirsi al partito di Conte, che da mesi viaggia nei sondaggi tra il 15 e 16% dei consensi.
L’ultima puntata di questo scontro in famiglia ha riguardato, pochi giorni fa, e dunque alla vigilia del voto sardo, la questione del terzo mandato. Il partito ha votato “no”, malgrado l’impegno – secondo Bonaccini – da parte di Schlein di non chiudere alla proposta di Matteo Salvini, salvo poi avere cancellato ogni spazio di discussione. Forse sarebbe stato meglio per la segretaria essere più chiara fin dall’inizio, chiudendo così ogni scellerata ipotesi di far convergere i propri voti su una proposta tutta interna alle logiche di potere nel Carroccio: uno scenario che si stava riproducendo anche nel Nazareno, per volontà di amministratori locali poco disposti a lasciare le loro posizioni di potere.
Così la vittoria del “campo largo” in Sardegna – anche contro il tentativo di impedire il successo di Todde da parte dell’ex presidente della Regione, Renato Soru, sostenuto da Azione, Italia viva, +Europa e, incredibilmente, Rifondazione comunista, oltre che dal partito indipendentista Liberu – cade nel momento giusto, ed è un primo “uno a zero” contro i diversi avversari della prima donna leader di un partito di sinistra in Italia.
Se il successo della sinistra – che porta a casa anche la vittoria del Pd, diventato primo partito dell’isola a scapito di Fratelli d’Italia – le fa trovare un momento di serenità, non si può ovviamente dire lo stesso per la destra. La prima a uscirne con le ossa rotte, per la prima volta da quando è a Palazzo Chigi, è Giorgia Meloni, che aveva voluto a tutti i costi la candidatura di Truzzu (il quale gira con un imbarazzante tatuaggio con la scritta “Trux”), battendo il tentativo leghista di riproporre l’impresentabile Christian Solinas. Il duce in salsa sarda ha preso meno voti della sua coalizione, che si è attestata intorno al 49% contro il 42% di Pd, 5 Stelle e Alleanza verdi-sinistra, e l’8% circa di Soru. Vedremo ora come dentro l’alleanza governativa verranno regolati i conti, anche se, come dicevamo, bisognerà aspettare gli altri appuntamenti per tirare le conclusioni. Di sicuro per la presidente del Consiglio si ripropone il problema che non riesce a risolvere e che, con tutta evidenza, non può risolvere, l’assenza di un personale politico degno del nome, a cui dovrebbe sopperire con improbabili tecnici “di area”. A Cagliari il “ducetto” locale era riuscito ad affermarsi – ma poi non sono bastate le nostalgie a tenerlo a galla. Insomma, malgrado le mille criticità, il primo frutto di un’alleanza ancora tutta da costruire è stato raccolto e, grazie a un’altra donna, Todde, la puntata della sfida tra Meloni e Schlein in Sardegna ha visto vincente la segretaria Pd.