Un terrore sordo e muto regna in Russia. Qualcosa di peggio dello stalinismo (come abbiamo già avuto modo di dire: vedi qui) che, con le sue campagne propagandistiche, le sue purghe, il suo gulag, era stato il livido punto di approdo di un processo rivoluzionario andato a male. Quello aveva ancora una qualche grandezza, mentre oggi siamo di fronte a un suo miserabile sottoprodotto che palesa, in controluce, i tratti del piccolo sgherro del Kgb che uno scherzo della storia ha posto alla testa di un grande Paese. Tutto, in questa vicenda – dall’avvelenamento di alcuni anni fa, fino al recente trasferimento del detenuto in una colonia penale nel gelo artico, a duemila chilometri da Mosca, probabilmente per prepararne l’assassinio –, parla dei metodi di un potere che si serve della segretezza in una maniera che sia però completamente riconoscibile, così da non lasciare dubbi sulla punizione che tocca a dissidenti e oppositori. È proprio con la strategia di una “segretezza a tutti nota” che si può spargere un terrore sordo e muto. Non v’è dubbio, così, che ci stiamo addentrando sempre più nel “secolo ombra” (come lo ha definito Mario Pezzella: vedi qui). Un secolo che sa unire il simulacro di una democrazia svuotata, ridotta a una larva, con alcune delle pratiche dei totalitarismi del Novecento (poco importa di quale colore, o meglio, di ambedue i colori), ma anch’esse in un certo senso parodiate, messe nella condizione di non esprimersi nella loro dispiegata potenza. Nulla più del regime putiniano è paradigmatico di questa infame miscela.
In questo caso non c’era la possibilità di far saltare un aereo con una bomba, per liquidare il capo di un’organizzazione paramilitare ribelle, che stava diventando una sorta di Stato nello Stato; e tuttavia si doveva agire con rapidità contro la vittima sacrificale per togliere il suo nome, a quanto pare, dal tavolo di una trattativa con l’Occidente per uno scambio di prigionieri. Solo che in questo modo si è arrivati al compiersi di una sfida che lo stesso oppositore aveva lanciato nel momento in cui, con studiata postura eroica, si era volontariamente consegnato nelle mani dei suoi carcerieri: vediamo se avete il coraggio di colpirmi anche qui, in detenzione, mostrando dinanzi al mondo intero quale considerazione avete dello Stato di diritto. Bene, questo coraggio dell’oltraggio insensato il regime lo ha avuto, rendendo definitivamente il suo oppositore un martire.
Non si tratta però soltanto di questo. Con la morte di Navalny una profonda ferita è inferta a un’opinione pacifista in Occidente disponibile a cercare un compromesso in grado di mettere da parte, o almeno di sospendere, le controversie territoriali tra i contrapposti nazionalismi, al fine di giungere a un cessate il fuoco in Ucraina o a un “congelamento” sine die della guerra. Ma il regime, che pure da una prospettiva del genere avrebbe tutto da guadagnare (per esempio il riconoscimento internazionale dell’annessione della Crimea nel 2014), ha mostrato di non tenerla in alcuna considerazione, così chiudendo la porta alla pace in qualsivoglia forma e disponendosi al proseguimento del conflitto. Da oggi sarà più difficile sostenere l’interruzione dell’invio di armi a Kiev da parte di coloro che temono il precipitare della crisi verso una guerra mondiale.
Evidentemente, poiché non si può pensare che al Cremlino ci siano degli stupidi, il calcolo del potere è consistito nell’anteporre la questione di politica e di ordine interni a quella di politica estera. Un regime che non può tollerare neanche la sfida di un suo isolato oppositore rinchiuso in carcere è un regime che ha deciso di non potersi permettere – in particolare, dall’inizio della guerra nel 2022 – la minima distrazione nel controllo sui suoi sudditi. Del resto la vicenda dello scorso giugno, con quella specie di golpe annunciato dal gruppo Wagner nella forma di una marcia su Mosca, mostra che la costruzione non è priva di crepe.
Triste destino. Sappiamo a questo punto che una rivolta democratica, con mezzi pacifici, non potrà avere la meglio sull’attuale potere russo. Si profilano unicamente due ipotesi: quella di una congiura di palazzo (più probabile) e quella di un movimento di lotta armata (meno probabile). Per il resto c’è da ricordare, con Brecht, che è infelice quel Paese che ha bisogno di eroi.