Solo questione di tempo. Il premierato della repubblicana Michelle O’Neill non fa che avvicinare sempre più la riunificazione delle due Irlande, che dovrà mettere fine all’ignobile quanto sanguinosa occupazione coloniale dei britannici. A cominciare dall’arrivo degli scozzesi nel Diciassettesimo secolo fino all’Accordo del venerdì santo del 10 aprile 1998, che mise fine al lunghissimo conflitto tra cattolici repubblicani e unionisti protestanti legati a Londra, la storia di questo piccolo pezzo d’Europa è stata caratterizzata da una lunga discriminazione nei confronti della popolazione autoctona, per esempio sul fronte del diritto alla casa, alla sanità, al lavoro.
L’unionista David Trumble, che nel 1998, in virtù dell’intesa prima citata, vinse il Nobel per la pace insieme al repubblicano John Hume, definì quel pezzo d’isola conteso un “luogo freddo per i cattolici”. Una terra dove, dal 1968 fino alla fine del conflitto, morirono 3500 persone, in maggioranza cattolici. A dare fuoco alle polveri, in un contesto già particolarmente infiammabile, ci fu il 5 ottobre di quell’anno la brutale repressione della polizia britannica contro un pacifico corteo a Derry, unica città del Paese a maggioranza cattolica.
Da allora, decenni di scontri armati tra la Provicional Ira (Irish Republican Army) – nata dalle ceneri del gruppo armato Ira, già attivo all’inizio del secolo scorso – e le organizzazioni paramilitari protestanti dell’Ulster, Volunteer Force (Uvf) e dell’Ulster Freedom Fighters (Uff), che avevano come sponda politica il reverendo protestante Ian Pasley del Partito unionista democratico (Dup), premier nordirlandese dal 2007 al 2008, noto per le sue posizioni anticattoliche estremiste. A dar seguito alla lunga stagione di sangue, una nuova strage perpetrata dai parà britannici, il 30 gennaio del 1972, che provocò la morte di quindici persone, tra cui molti minatori, anche in questo caso in occasione di una manifestazione pacifica, con la conseguente reazione militare dell’Ira, che spostò il proprio raggio d’azione in Gran Bretagna, con attentati nei pub che provocarono trenta morti, un altro contro la famiglia reale (il 27 agosto 1979), che causò la morte di Lord Mountbatten, cugino della regina e ultimo viceré dell’India, e di altre tre persone; e ancora, nello stesso giorno, a Warrenpoint nell’Ulster (come viene chiamata dai britannici l’Irlanda del Nord), dove diciotto soldati inglesi furono vittime di un attentato.
Nel 1984, toccò al governo: Thatcher uscì illesa dall’esplosione di una bomba che uccise cinque persone al Grand Hotel di Brighton, dove si stava svolgendo il congresso dei Tories. Tra queste due fasi del conflitto, va collocata, nel 1981, la drammatica vicenda dell’esponente repubblicano Bobby Sands, rinchiuso con nove compagni nella prigione di Maze, vicino a Belfast. Il gruppo iniziò un digiuno a oltranza, reclamando lo status di prigioniero politico, ma la premier fu irremovibile, con la conseguente morte dei dieci militanti. L’evento non fece che aumentare i consensi intorno alla causa nordirlandese: il che condusse, nel 1982, il Sinn Fein, l’ala politica dell’Ira, a ottenere i suoi primi seggi nel parlamento di Belfast, mentre l’anno successivo Gerry Adams divenne leader del partito.
Dopo alcuni tentativi falliti di ripresa del dialogo, nel 1992 e nel 1993, l’Ira mise a segno altri due attentati nella City di Londra, che provocarono quattro morti e centinaia di milioni di danni. Dopo la fine del thachterismo, i negoziati ripresero: John Major invitò tutti i partiti, compreso il Sinn Fein, al tavolo dei negoziati; l’Ira accettò un cessate il fuoco nel 1994; ma i colloqui si arenarono sulla questione del disarmo dei gruppi paramilitari. Dopo tregue e riprese della lotta armata, si arrivò, come abbiamo detto, all’Accordo dell’aprile 1998, firmato da Londra, Dublino e dai leader nordirlandesi sia lealisti sia separatisti, condiviso dall’Ira, mentre il Partito unionista votò contro.
L’intesa prevedeva una condivisione del potere tra cattolici e protestanti eletti in istituzioni semi-autonome. L’accordo fu sottoposto a due referendum, uno in Irlanda del Nord e un altro in Irlanda, con una netta vittoria dei sì. Questo non impedì a un’ala dissidente dell’Ira di mettere a segno, nell’estate di quello stesso anno, uno spaventoso attentato che provocò a Omagh, nell’Irlanda del Nord, la morte di ventinove persone. Un evento che però, lungi dal mettere in discussione l’intesa, la rafforzò. Da allora, esattamente dal 2 dicembre del 1999, alla guida del Paese si erano susseguiti sempre esponenti unionisti. Fino al 2002 toccò infatti a uomini del Partito unionista dell’Ulster (Uup), una formazione di centro vicina ai Tories, ma, da quell’anno a oggi, è stato il turno degli estremisti del Dup, incluso lo stesso Pasley, che guidò il Paese dal 2007 al 2008. Il dominio degli unionisti, come previsto dall’Accordo, veniva tuttavia bilanciato nel ruolo di vicepremier da un esponente dell’opposizione, rappresentata prima dal Partito socialdemocratico e laburista (Sdlp), repubblicano, e soppiantato poi dal più radicale Sinn Fein. L’evento che ha posto le premesse per l’odierna vittoria di O’Neill è stato il successo del partito di Adams nelle elezioni del 2022, a scapito dei partiti unionisti.
La nomina della premier doveva essere accompagnata, come da prassi, da quella del vice. Ma il Dup ha boicottato l’iter istituzionale, prendendo a pretesto un dissenso sul Protocollo sull’Irlanda del Nord riguardante gli accordi commerciali post-Brexit, i quali – nel corso della complicatissima trattativa tra l’Unione europea, da un lato, e il Dup dall’altro – sono riusciti, con dei distinguo, a mantenere la continuità territoriale tra le due parti dell’isola nel passaggio di merci e persone. Sciolto questo nodo, è stata nominata la vice, Emma Little-Pengello, dando così vita a una presidenza tutta al femminile. Lo stallo ha impedito per due anni decisioni su temi come i servizi sanitari post-pandemia e le misure economiche. Il nuovo governo di unità nazionale è stato approvato dal governo centrale britannico, quello del conservatore Rishi Sunak.
Come dicevamo, l’arrivo dei repubblicani al governo nordirlandese è un evento storico, inimmaginabile fino a poco tempo fa, e potrebbe dare origine a eventi al momento imprevedibili. L’autorevole settimanale inglese “Sunday Times”, nel 2022, titolò La vittoria dello Sinn Fein risveglia le tensioni sulla Brexit. L’unità britannica è già messa a rischio dalle mai sopite smanie indipendentiste della Scozia, e dall’allontanamento del Galles da Londra, con la scomparsa dei conservatori da quella regione. L’arrivo dei repubblicani al governo di Belfast non fa che aumentare le preoccupazioni di Londra. Che, all’apprensione per un eventuale referendum indetto da Edimburgo, dovrà aggiungere un’ulteriore preoccupazione qualora si faccia strada l’idea di indire a Belfast una consultazione che abbia l’obiettivo di riunificare l’Irlanda. In tal caso, per il Regno Unito – già avvilito dal penoso spettacolo messo in scena dai conservatori in questi ultimi anni, oltre che dalle conseguenze causate dell’uscita dall’Unione europea –, sarebbe notte fonda.