Noi non consideriamo particolarmente grave il reato contestato a Ilaria Salis – quello di avere preso a martellate un paio di neonazisti –, e tuttavia il caso della militante antifascista, detenuta a Budapest in condizioni disumane, ci mette in qualche imbarazzo. Ciò che non ci persuade, nella pur giusta campagna intrapresa per concederle i domiciliari (in Ungheria o in Italia che siano), è la richiesta rivolta al governo italiano di intercedere presso quello ungherese perché la situazione sia risolta. Non che si debba credere alle dichiarazioni ufficiali – e cioè che la magistratura in Ungheria sia indipendente (ma guarda, proprio sotto il più che decennale dominio di Orbán, famoso per avere attentato allo Stato di diritto!) e che il caso non dipenda in alcun modo dal governo, perché, se non altro, le condizioni della detenzione e della organizzazione delle carceri non sono a carico dei giudici, quanto dei ministeri della Giustizia –, ma resta il fatto che quello che si può vedere, dalle reazioni provenienti dal governo Meloni, è un orbanismo dal volto umano. Che si trincera dietro una specie di non possumus: non possiamo interferire più di tanto, rischiamo di peggiorare la situazione processuale di Ilaria, e così via.
Resta però ancora non chiarito, all’interno delle forze progressiste, quale sia la postura più adatta da assumere nei confronti dell’estrema destra sovranista: la si deve incalzare, quando è al governo, perché sia meno dura di quello che vorrebbe essere; o al contrario la si deve fare esprimere al suo “meglio”, come in effetti sta accadendo in Ungheria, oggi anche mostrando come si viene trattati quando si finisce nelle loro carceri? I nazional-populismi contemporanei, pur non essendo la stessa cosa dei totalitarismi del Novecento, ne riprendono alcuni elementi rimasti come “in sospensione” nell’Europa contemporanea, a Est come a Ovest.
È vero che, fin qui, a parte qualche briciola di idiozia intorno a un Tolkien, Meloni e i suoi non stanno facendo altro che riprendere le politiche di tutti i governi berlusconiani precedenti: fisco a favore degli evasori, mance corporative di qua e di là, nessuna particolare voce in Europa (a parte lo sgarbo sul Mes), atlantismo (mentre Orbán vorrebbe fare il filo-putiniano, pur non riuscendogli del tutto, stando all’ultima marcia indietro sulla questione dei fondi all’Ucraina). Insomma, la tradizionale palude italiana, si potrebbe dire: nei confronti della quale neppure come gesto individuale sembrerebbe avere senso il richiamo che fu di Piero Gobetti a trasformarsi in una “compagnia della morte” contro un regime oppressivo in formazione.
Però un caso come quello di Ilaria Salis si presta sì a una denuncia presso tutte le istituzioni dell’Unione europea di un Paese come l’Ungheria, per il quale dovrebbero scattare sanzioni ancora più gravi di quelle in atto, ma anche a indicare con chiarezza davanti alle opinioni pubbliche europee quale sarebbe l’approdo di un continente interamente governato dagli amici di Orbán e Meloni. Catene reali o simbolicamente virtuali ovunque, i neonazisti vi verrebbero protetti, se non altro come comodi serbatoi elettorali, le “nazioni” diventerebbero ciascuna un caso a parte nel contesto europeo, i migranti non avrebbero altra chance che il suicidio: insomma tutto quello che avevamo intravisto solo come un incubo distopico si concretizzerebbe.
Riguardo a un militantismo aggressivo, come quello presumibilmente sostenuto da Salis, c’è da dire che non coglie la complessità della situazione in cui ci troviamo. Gli scampoli di guerra civile che vorrebbe mettere in campo al momento non sono attuali. E anzi fanno più male che bene. Inducono infatti poi alle preghiere nei confronti di un governo amico di Orbán, come quello italiano, e a una mobilitazione in cui prevale l’aspetto del “vedete se potete metterci una buona parola”. Il che è pressoché il contrario di quanto andrebbe invece apertamente denunciato come il contenuto di fondo della cosiddetta internazionale sovranista.