C’è molta preoccupazione a Palazzo Chigi. Evidentemente l’esecutivo di destra non aveva messo in conto una mobilitazione così vasta, e tenta di correre ai ripari con promesse dell’ultima ora, cercando di scaricare tutte le responsabilità dello scontro sulla sinistra “radical chic”, con battute da avanspettacolo, come quella del ministro Lollobrigida sulla puzza di letame e lo champagne. Ma l’ondata di proteste degli imprenditori agricoli continua a crescere anche in Italia: già da oggi la capitale potrebbe essere assediata.
A polizia e carabinieri sono stati impartiti ordini precisi per presidiare gli ingressi dalla via Aurelia, dalla Casilina, dalla Cassia, dalla Tiburtina. Le forze dell’ordine non si sono fatte trovare impreparate, perché l’annuncio della nuova mobilitazione era stato dato più volte dai manifestanti durante il presidio di Orte nei giorni scorsi. “Marceremo su Roma, il governo dovrà riceverci”, avevano detto i capi di questo nuovo movimento eterogeneo, che non esibisce bandiere e anzi rifiuta l’appoggio delle grandi sigle storiche “rappresentative” del mondo agricolo. Uno dei capi più in vista – l’ex leader del “movimento dei forconi” di dieci anni fa, Danilo Calvani (fondatore della Lega nel Lazio) –, non ha mai risparmiato attacchi durissimi alla Coldiretti, la più importante organizzazione del settore guidata da Ettore Prandini, uomo molto vicino al ministro Lollobrigida e ai suoi fratelli italiani, protagonista di recente di uno scontro davanti a Montecitorio con i parlamentari di +Europa, che manifestavano a favore della carne sintetica.
Siamo di fronte a una protesta giocata su vari fronti (il taglio delle tasse, gli incentivi, il “no” alla transizione ecosostenibile), che rimescola le carte e gli equilibri consolidati. La presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, in evidente imbarazzo per i suoi legami di parentela con il ministro dell’Agricoltura e in continua competizione con il ministro Salvini, che cerca di cavalcare tutto quello che è possibile cavalcare, ha scelto di rimanere in silenzio per giorni; poi uno dei suoi colpi di teatro a cui ci ha ormai abituati: “Le risorse del Pnrr dedicate al mondo degli agricoltori, che per noi è molto importante, passano da 5 a 8 miliardi”, ha detto alla vigilia delle manifestazioni di oggi.
Nel frattempo, i tecnici del ministero stanno studiando la possibilità di correggere gli interventi in campo fiscale, decisi per racimolare risorse per la manovra economica, ripristinando gli sgravi Irpef per le aziende agricole. Nelle stesse ore, il governo francese ha deciso di sospendere il piano che prevedeva di ridurre del 50% i pesticidi da qui al 2030. D’altra parte, era stata la stessa presidente del Consiglio italiana a dire nei giorni scorsi a Bruxelles che la “la politica agricola dell’Unione deve essere cambiata”. Con evidente riferimento alle direttive sull’uso dei pesticidi e sul rispetto dei diritti dei lavoratori agricoli. Ennesima dimostrazione della natura conservatrice e reazionaria del governo in carica, che cerca di barcamenarsi facendo il doppio gioco tra Roma e Bruxelles.
“Tutta propaganda”, ha dichiarato la segretaria del Pd, Elly Schlein riferendosi alle parole di Meloni e all’aumento dei fondi per il comparto agricolo. Lo stravolgimento del Piano nazionale di ripresa e resilienza, secondo il Pd, rischia di “diventare un disastro economico per il Paese”. Il governo è tentato da un uso “privatistico-elettorale” delle risorse pubbliche, ma l’esito finale non è scontato, viste le minacce degli imprenditori agricoli (da non confondere con i contadini) che si sentono traditi dalla politica. I nemici del Comitato degli agricoltori continuano a essere, infatti, il governo e l’Europa, accusata di volere il fallimento delle imprese agricole taglieggiandole con le tasse, i mancati sostegni finanziati all’aumento del costo del gasolio, e con le politiche che favoriscono l’ingresso nel mercato di prodotti che arrivano da fuori Europa.
Il movimento dei trattori spariglia dunque le carte: e deve essere interpretato (anche dalla sinistra progressista), perché oggi forse non sono sufficienti i confronti con il precedente movimento dei forconi che era direttamente legato alla destra e a Forza Nuova, o con i “gilet gialli”, perché gli obiettivi e gli slogan degli agricoltori sono sicuramente corporativi, ma nello stesso tempo mettono in discussione l’intero funzionamento del sistema della produzione e distribuzione alimentare.
La pandemia e la crisi conseguente nella divisione internazionale del lavoro e del mercato agricolo hanno lasciato ferite profonde. Molti dei manifestanti intervistati in questi giorni hanno spiegato l’impossibilità di tenere in piedi un’attività sempre in perdita, visto che le merci vengono pagate al di sotto dei costi di produzione, come ha spiegato un agricoltore speciale. Sentite la dichiarazione dell’ex pm di “Mani pulite”, Antonio Di Pietro: “A me produrre un litro d’olio costa 12 euro. In giro lo trovo in vendita a 2 euro e 50. Solo le latte costano un euro e 50 l’una. Chi può reggere con questi squilibri?”.
Ma a parte le battute a effetto della gente famosa, e del grido d’allarme di chi convive ogni giorno con la puzza di letame, è chiaro che dietro la mobilitazione dei trattori si nasconde un problema gigantesco: quello della determinazione del prezzo dei prodotti nella catena di valore agricola e della composizione sociale di chi sui campi lavora. Lo ha spiegato con chiarezza il sociologo Enrico Pugliese sul “manifesto”: a capo della protesta non ci sono i contadini sfruttati, né i lavoratori dei campi (più della metà dei quali sono immigrati, almeno 700mila su una manodopera complessiva di un milione e mezzo di addetti). E non bisogna neppure fermarsi alle dichiarazioni roboanti contro l’Europa e all’ipocrisia dell’esecutivo che critica Bruxelles per ottenere il consenso degli agricoltori, ma poi vota tutte le misure della politica agricola comunitaria. “La Pac è stata votata da tutti, compresa Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia”, ci ricorda Camilla Laureti, parlamentare europea del Pd e responsabile della politica agricola e alimentare del partito.
Ecco dunque la domanda vera: come siamo arrivati a questo punto? Come si determina il prezzo della bottiglia di latte che troviamo sugli scaffali del supermercato? Perché mangiare sano è ancora un privilegio per pochi? Sono domande che vanno oltre la cronaca, e che, a quanto pare, creano imbarazzo a tutti. Basta vedere come reagisce la grande stampa. Sulle prime pagine di oggi, lunedì 5 febbraio (giorno della protesta a Roma), non c’è quasi traccia dei trattori, con due sole eccezioni.