Transparency International, l’organizzazione internazionale non governativa che si occupa della corruzione non solo politica, nel suo rapporto annuale per il 2023 ha dichiarato, il 30 gennaio scorso, che il Venezuela “è un esempio di grande corruzione”, confermandosi come il Paese più corrotto d’America per il decimo anno consecutivo. A livello globale, si colloca al secondo posto nella classifica delle nazioni più corrotte al mondo dietro la Somalia. Nel Paese di Nicolás Maduro, la corruzione si manifesta in modo particolare mediante l’appropriazione indebita di fondi, grazie alla quale “miliardi di dollari di denaro pubblico sono stati sistematicamente sottratti per beneficiare pochi individui potenti ed esacerbando la povertà e la disuguaglianza”.
L’altro modo attraverso cui la corruzione si è impossessata del Venezuela riguarda il sequestro di poteri pubblici, dato che i “grandi schemi di corruzione vanno di pari passo con la cattura dei sistemi legislativo, normativo e giudiziario da parte di funzionari di alto livello per generare potere ed eludere la punizione”. In Venezuela – prosegue il rapporto di Tranparency – il “pagamento di tangenti e la cooptazione di giudici e procuratori a tutti i livelli del sistema giudiziario è diventato uno dei principali meccanismi utilizzati dalle reti criminali per assicurare la continuità delle loro attività illecite, così come la loro impunità”.
In una situazione di tale drammaticità, lo scorso 26 gennaio la Corte suprema del Venezuela, spesso accusata di essere fin troppo disponibile nei confronti dell’attuale governo, ha confermato l’ineleggibilità di María Corina Machado, la donna politica che si è battuta per il rispetto dei diritti umani, fondatrice del movimento Vente Venezuela, già deputata all’assemblea nazionale venezuelana dal 2011 al 2014. Machado è stata capace di vincere le primarie autogestite organizzate dall’opposizione nell’ottobre del 2022, e, nonostante i boicottaggi e gli attacchi dell’esecutivo, ha saputo raccogliere più di due milioni di voti, che l’hanno incoronata come candidata al 92% di una opposizione finalmente unita alle elezioni presidenziali che, in virtù dei recenti accordi di Barbados, dovranno essere celebrate entro l’anno in corso.
L’accordo firmato a Barbados, nell’ottobre 2023, aveva fissato il calendario delle elezioni presidenziali nella seconda metà del 2024, con la presenza di osservatori internazionali, chiedendo nel contempo di “promuovere l’autorizzazione di tutti i candidati presidenziali e partiti politici” a partecipare a condizione che rispettino la legge. Ciò ha costretto il governo a permettere ai candidati di ricorrere contro provvedimenti di ineleggibilità, cosa che anche Machado aveva fatto, presentando un ricorso nel mese di dicembre, con il quale sosteneva che il divieto era nullo.
Ciononostante, la Corte alla fine ha mantenuto l’interdizione, con l’accusa di frodi e violazioni fiscali, e con quella di avere richiesto le sanzioni economiche che gli Stati Uniti hanno imposto nello scorso decennio. Già in passato, il governo venezuelano aveva fatto ricorso allo stratagemma dell’ineleggibilità per escludere potenziali rivali a livello nazionale e locale. Tanto è vero che la revoca dei provvedimenti di interdizione degli oppositori è sempre stata uno dei principali punti in discussione nei negoziati tra governo e opposizione. Ma la Corte suprema ha respinto la domanda che la cinquantaseienne Machado aveva presentato per potersi candidare, con la motivazione che “è squalificata per quindici anni”. Precedentemente, era stata dichiarata ineleggibile per un un anno, nel 2015, per avere partecipato come “ambasciatrice supplente” di Panama a una riunione dell’Organizzazione degli Stati americani. Quando Panama l’aveva invitata, al fine di consentirle di denunciare le presunte violazioni dei diritti umani durante le manifestazioni che chiedevano la fine del governo di Maduro.
Da parte sua, l’opposizione aveva sempre respinto queste sanzioni, ritenendo María Corina Machado innocente, la qual cosa le consentiva di partecipare alle elezioni primarie organizzate da una commissione indipendente dalle autorità elettorali venezuelane. Già durante la campagna per le primarie, Machado ha sempre sostenuto di non avere mai ricevuto una notifica ufficiale del divieto, affermando che gli elettori che l’hanno votata, e non il governo, sono gli unici che potevano decidere sulla sua candidatura. E dopo la recente decisione della Corte, ha fatto sapere che “la lotta per conquistare la democrazia attraverso elezioni libere ed eque” non è finita. Per Machado, la decisione della giustizia di Maduro pone fine ai negoziati a Barbados tra il regime e la Piattaforma unitaria democratica. “Il regime ha deciso di porre fine all’accordo di Barbados. Ciò che non finisce è la nostra lotta per la conquista della democrazia attraverso elezioni libere e pulite”, ha detto.
Tutto ciò in una situazione che vede un calo pauroso della popolarità di Maduro, dato perdente su Machado da ogni sondaggio reso pubblico. A tal punto, che nelle scorse settimane negli ambienti politici di Caracas era addirittura circolata l’ipotesi che il Partito socialista che lo appoggia stia pensando di chiedergli un passo indietro. In attesa di conoscere la data delle elezioni, che secondo quanto ha dichiarato il capo del parlamento, Jorge Rodríguez, saranno fissate la prossima settimana, dall’esito delle primarie dell’opposizione a questa parte, Machado e il suo partito sono diventati il bersaglio di una feroce persecuzione da parte del regime chavista. Nelle ultime settimane, almeno cinque leader di Vente Venezuela sono stati arrestati arbitrariamente, con l’accusa di essere legati a presunte cospirazioni contro la vita di Maduro. Lo scorso settembre, un gruppo di lavoro sostenuto dall’Onu, incaricato di indagare sugli abusi dei diritti umani in Venezuela, ha reso noto che il governo di Maduro ha intensificato i suoi sforzi per limitare le libertà democratiche in vista delle elezioni del 2024. Con il risultato di avere sottoposto alcuni politici, difensori dei diritti umani e altri oppositori ad arresti, sorveglianza, minacce, campagne diffamatorie e processi penali arbitrari.
La decisione della Corte suprema era attesa con impazienza. Per l’opposizione, che ha boicottato le elezioni presidenziali del 2018 e finalmente nel 2024 si presentava unita e con buone possibilità di farcela; per gli Stati Uniti, per i quali mettere fine all’ineleggibilità degli oppositori era una delle principali priorità. Washington ha recentemente affermato che la decisione su Machado e su Henrique Capriles Radonski, a cui pure è stato impedito di competere, mina la democrazia, annunciando che rivedrà la sua politica sulle sanzioni. A seguito dell’esclusione dalla corsa per le presidenziali di Machado, gli Stati Uniti hanno anche annunciato che non rinnoveranno le licenze per il petrolio e il gas concesse al Venezuela in cambio di un’apertura democratica. Il governo statunitense aveva infatti dato tempo fino ad aprile a Maduro, affinché rivedesse il divieto di candidarsi per María Corina Machado. Ma la risposta del governo di Caracas ha rimesso tutto in discussione, riportando nuovamente in alto mare il delicato processo negoziale che aveva portato all’accordo di Barbados e a un allentamento delle sanzioni. Lo spiraglio che il portavoce della Casa Bianca, John Kirby, aveva aperto per continuare i negoziati, ritardando una decisione definitiva ad aprile, è stato chiuso.
Le autorizzazioni alle compagnie petrolifere per negoziare con il Venezuela scadranno il prossimo 18 aprile, ed è difficile che, stante la situazione, esse possano essere prorogate, nonostante le contrazioni che il mercato energetico globale sta vivendo con la guerra in Ucraina e in Medio Oriente. E mentre il Venezuela vede in ciò un chiaro ricatto, gli Stati Uniti giudicano “le azioni di Nicolás Maduro e dei suoi rappresentanti, compreso l’arresto di membri dell’opposizione” e “il divieto per i candidati di competere nelle elezioni presidenziali di quest’anno”, incoerenti con gli accordi firmati alle Barbados.
La conferma della ineleggibilità di Machado ha destato allarme anche nel resto della comunità internazionale, che si era spesa affinché, attraverso gli accordi di Barbados, il Venezuela trovasse una via di uscita dalla sua crisi politica, con lo svolgimento di elezioni libere in cui l’opposizione avesse una possibilità di vittoria. La stessa Organizzazione degli Stati americani, domenica 28 gennaio, ha fatto sapere che la decisione della Corte liquida la “possibilità di elezioni libere, giuste e trasparenti in Venezuela”. Anche l’Unione europea ha espresso la sua profonda preoccupazione: “Le decisioni volte a impedire ai membri dell’opposizione di esercitare i loro diritti politici fondamentali possono solo minare la democrazia e lo Stato di diritto”, ha detto il portavoce principale degli Affari esteri e della Politica di sicurezza dell’Unione, Peter Stano.
Nella foto: María Corina Machado