Venti di crisi, venti di guerra. Mentre l’Italia si spacca con la scelta scellerata dell’autonomia differenziata, il sistema economico è costretto a cercare vie di fuga. E una di queste potrebbe essere, paradossalmente, quella classica: investire sui conflitti bellici e quindi sulle armi e i sistemi di armamento, elementi che nella storia contemporanea hanno fatto molto spesso da “volani”. Per ora non se ne parla apertamente, ma ci sono segnali. Un importante quotidiano nazionale ha aperto, per esempio, con le minacce che provengono dalla crisi del Mar Rosso. I prossimi rincari delle bollette vengono attribuiti direttamente agli Huthi, che stanno ostacolando la navigazione internazionale. Un altro focolaio pericoloso dove l’Italia è già pronta a intervenire con una sua nave da guerra, che navigherà agli ordini della missione angloamericana.
Nel frattempo, è il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, a parlare: “L’Italia e la comunità internazionale si trovano ad affrontare complesse sfide in uno scenario mondiale in continuo divenire – ha spiegato il ministro alla Scuola della Guardia di Finanza –, prima la pandemia, poi l’impennata dei prezzi dell’energia e delle materie prime, quindi l’inflazione, fino alle tensioni derivanti dal conflitto russo-ucraino, da quello palestinese e dalla crisi nel Mar Rosso. Tutti fattori che mettono a rischio la crescita internazionale e quella economica italiana”. Dopo le previsioni negative dell’Ocse e i dati inequivocabili della Banca d’Italia, questa volta il governo italiano è costretto ad ammettere i problemi. La falsa e rassicurante rappresentazione della presidente del Consiglio viene per un momento accantonata, perché tutte le previsioni di crescita sono smentite. La bussola è saltata.
Secondo le previsioni di Bankitalia, nel quarto trimestre dell’anno scorso la crescita dell’economia si è praticamente fermata e l’effetto negativo si farà sentire sul Pil di quest’anno, che risulta in crescita di appena lo 0,6%. Esattamente la metà dell’obiettivo fissato dal governo nel Documento programmatico 2024, su cui è stata costruita la legge di Bilancio. Il governo aveva puntato su una crescita dell’1,2%. Il ministro dell’Economia non può dunque far finta di niente, e parla della necessità di realizzare le riforme annunciate e di utilizzare tutte le risorse del Pnrr per fare investimenti. Ma passare dai bandi ai cantieri è molto complicato: non bastano le buone intenzioni, o gli spot dell’altro ministro Salvini sul Ponte sullo Stretto.
Di fronte a un quadro del genere, i partiti di opposizione dovrebbero avere il coraggio di far saltare il banco proponendo una visione economica alternativa come risposta a una politica reazionaria che punta sulla guerra, e nei fatti è ostile a una vera transizione ecologica. Si dovrebbe, insomma, prendere spunto da chi propone ricette diverse, a partire dall’Ocse – l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo – che ha pubblicato proprio in questi giorni le sue raccomandazioni all’Italia. Su quelle ricette si dovrebbe discutere, perché oltre all’appello tradizionale alla riduzione del debito pubblico, e perciò alla riduzione della spesa e all’aumento degli investimenti, nel documento Ocse ci sono proposte che non sono contenute nei programmi elettorali nostrani e vanno oltre la tradizionale ricetta ultraliberista.
L’organizzazione per la cooperazione di Parigi parla, per esempio, di interventi sulle pensioni, a partire da quelle d’oro, e di interventi sul fisco a partire dai patrimoni. I temi sono sempre gli stessi, ma l’ottica sembra diversa. È necessario riformare di nuovo il sistema pensionistico – dicono gli economisti Ocse – al fine di ridurre la pressione sulla spesa derivante dalle pensioni più elevate. In base all’attuale sperequazione e diseguaglianza interna al sistema previdenziale, si propone un “contributo di solidarietà” a carico delle pensioni d’oro, che “potrebbe essere mantenuto fino a quando il reddito relativo dei pensionati non sarà allineato alla media Ocse”.
Sul fronte delle entrate, si auspica lo spostamento dell’imposizione fiscale dal lavoro alla proprietà e ai consumi: scelta che tutelerebbe il gettito fiscale del Paese e, al contempo, renderebbe il sistema più equo e funzionale alla crescita. Anche sul fronte della transizione energetica il documento è chiaro: il sostegno connesso alla crisi energetica “è stato in parte revocato e dovrebbe giungere a termine, ma il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) e i tagli mirati alle imposte sul reddito sostengono la domanda. Qualora i prezzi dell’energia aumentassero nuovamente in maniera considerevole, occorrerebbe reintrodurre esclusivamente misure che siano destinate alle famiglie più indigenti”. Sul fronte ambientale – denuncia l’Ocse – il ritmo della riduzione delle emissioni ha registrato un calo nell’ultimo decennio, con la ripresa della crescita e l’allentamento delle misure a sostegno della decarbonizzazione.
Ma tutte queste “raccomandazioni” sembrano già essere archiviate. La strada più facile per rilanciare l’economia e gli investimenti finanziari potrebbe essere un’altra. Basta scorrere la performance delle aziende quotate in Borsa. Nel 2023 le azioni di Leonardo (azienda del comparto Difesa, la ex Finmeccanica) sono tornate ai massimi dal 21 giugno 2022, con una performance nei primi due mesi del 2023 di oltre il +30% e con un trend positivo che continua a crescere. Un’altra star delle Borse è una vecchia conoscenza del comparto militare: la Lockheed Martin è una delle maggiori aziende, a livello mondiale, nella progettazione e produzione di sistemi d’armamento. Nel settembre scorso, a Piazza Affari, il titolo Unicredit è stato scavalcato proprio da Leonardo, mentre su tutte le Borse europee i titoli delle aziende che producono armi stanno superando anche i titoli delle società multinazionali dell’intelligenza artificiale.