Sembrava impossibile che avvenisse una mutazione di questa portata in così breve tempo. Anche loro, Fratelli d’Italia, gli eredi della destra di un tempo che viveva dei rimpianti del fascismo, hanno mollato gli ormeggi. Oggi, se non partecipano, comunque assistono all’Armageddon contro la magistratura, contro quei pm – per dirla con il ministro della Giustizia, Carlo Nordio – fuori controllo, che hanno un potere immenso che andrebbe ridimensionato, perché rappresenterebbe un pericolo. E non è un caso che, a poche ore dalle dichiarazioni del ministro, anche il vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, espressione della maggioranza di governo, Fabio Pinelli, ha preso di mira la gestione precedente del Csm, accusandola di “impropria attività politica”. Nessun tentativo di mediazione, dunque, in materia di giustizia. Il governo Meloni ha trovato un punto di equilibrio tra il garantismo, che ha l’obiettivo della impunità delle classi dirigenti, e il pugno di ferro contro qualsiasi “devianza”.
È sfocata l’immagine dell’Italia che il ministro Nordio, nella sua relazione annuale al parlamento, propone sullo stato dell’arte della giustizia nel nostro Paese. Sono falsati gli indicatori sulla “sofferenza penale”, a partire dalla corruzione che, secondo Nordio, non avrebbe la dimensione reale che le viene attribuita. Il governo è impegnato a vanificare qualsiasi strumento di controllo della legalità. A partire dalle intercettazioni telefoniche e ambientali, che vanno ridimensionate. Anche in materia di riciclaggio e corruzione si allentano gli strumenti di controllo. Per esempio, vengono alzate le soglie di contanti che ciascuno può gestire.
E apripista di questa nuova filosofia della giustizia, che si fonda, sul tema della corruzione, sul depotenziamento degli strumenti di indagine, è stata la cancellazione del reato di abuso d’ufficio. Un reato che andava riscritto e non cancellato.
Intervenendo nel dibattito al Senato, Walter Verini, Pd, ha accusato il ministro Nordio di proporre una politica vendicativa: “Perché si vogliono ridurre le telefonate dei detenuti ai propri familiari? Perché si riducono anche gli spazi di socialità interni alle carceri?”. Forti con i deboli e deboli con i forti, si potrebbe dire. La situazione nelle carceri è di nuovo drammatica. Sono sessantamila i detenuti, diecimila in più rispetto alla capienza delle strutture. E ottantacinquemila, invece, sono quelli che scontano pene alternative al carcere.
La pulsione repressiva delle “devianze” trova sbocco nei diversi progetti di legge o decreti legge poi approvati dal parlamento. Dalla criminalizzazione dei rave a quella degli imbrattatori, ai reati di strada che colpiscono i minori. Dai migranti e dalle Ong alle detenute madri, che non possono vivere con i propri piccoli. È un mondo ingiusto, quello che propone il ministro Nordio. La sensazione è che, questa volta, i vecchi proclami “garantisti” dei governi Berlusconi, che finivano con un nulla di fatto, possano oggi essere realizzati.
È vero che questo governo non propone una riforma compiuta della giustizia. Oggi vuole piegare l’autonomia e l’indipendenza della magistratura sterilizzando le norme, i reati, riducendo gli strumenti investigativi. Teorizza, nei fatti, che il corso della giustizia sia una corsa a ostacoli, per impedire che vengano perseguiti i reati. E, laddove si individuino i reati e gli imputati, entra in azione l’ennesima riforma della prescrizione, per vanificare l’azione della magistratura. Non è più il tempo della guerra mediatica contro “i magistrati che fanno politica”. Il tema è quello della impunità per tutti, sacrificando, se necessario, la stessa libertà d’informazione.