La segretaria del Pd si gioca tutto nelle prossime elezioni europee. Una buona metà del suo partito è pronta a darle il benservito dopo la tornata elettorale di giugno, e un’altra parte, più piccola, è chiaramente disponibile a una scissione. C’è un solo modo per evitare ambedue queste probabilità: ottenere un buon risultato, superiore o almeno non inferiore al 20% dei voti. C’è poi un’altra ragione: la leadership di Elly si è affermata, in una certa misura, fuori dalla nomenklatura del partito. Andarono a votare per lei, nei gazebo, anche elettori dei 5 Stelle. Per drenare ancora quei consensi, e rimanere dunque saldamente avanti a Conte in termini elettorali, Schlein deve presentarsi personalmente in tutte e cinque le circoscrizioni di cui è composta la competizione elettorale europea. Deve evitare, inoltre, che ci sia una consistente dispersione verso l’Alleanza verdi-sinistra, che del resto non ha alcuna chance di superare lo sbarramento al 4% dei voti.
Ma – si dice, lo ha sostenuto di recente Romano Prodi – così si svilisce la democrazia. Si sa infatti in anticipo che Elly non andrà al parlamento europeo, lasciando il posto a chi sulla scheda viene dopo di lei – per giunta sempre un uomo, per via dell’alternanza di genere nella formazione delle liste. Ciò è vero, però fino a un certo punto: perché nulla impedisce che la segretaria di un partito sia parlamentare europea, magari lasciando il suo seggio alla Camera. In ogni caso, lo “svilimento della democrazia” in Italia c’è già, e da tempo. Ha inizio con l’estrema personalizzazione della politica almeno trent’anni fa, in particolare con la nascita del berlusconismo politico, di cui la stessa attuale presidente del Consiglio è una conseguenza.
Di fronte a questa situazione, non avrebbe senso recitare la parte delle “anime belle” che non si sporcano le mani. E comunque l’attenzione per questo aspetto della cosa ha un lato molto “peloso”: i bonacciniani all’interno del Pd non vedono l’ora di arrivare a giugno per cogliere un risultato elettorale insoddisfacente e così buttare giù la segreteria, in fondo qualcosa di stravagante se si pensa a ciò che il Pd realmente è. Congiurano in molti in quella direzione: si pensi a uno come il presidente della Regione Campania, che addirittura non sta nella pelle.
Per tutte queste ragioni, in attesa di tempi migliori per la democrazia italiana, Elly dovrà sostenere da sola (o pressoché da sola) lo scontro elettorale con una destra al tempo stesso estrema e del tutto berlusconiana. Questo compito ingrato è il destino stesso – a voler parlare in maniera un po’ roboante – che glielo impone. Siamo sicuri che l’intrepida ragazza ne abbia piena consapevolezza.
Post-scriptum – C’è una possibile obiezione: se, pur presentandosi in tutte le circoscrizioni, il risultato dovesse essere deludente, Schlein, avendoci messo la faccia, dovrebbe dimettersi, e i suoi oppositori interni l’avrebbero vinta. Diversamente, non presentandosi, in caso di esito elettorale negativo, potrebbe dire: “Avete visto a non candidarmi com’è andata?”, e in questo modo avrebbe ancora della strada da fare. Tuttavia si tratterebbe solo di un mezzuccio. E poi: è sicuro che, nella pur deprecabile personalizzazione della politica, il suo nome farebbe la differenza. Un risultato al di sotto del 20%, lei in lizza, è piuttosto improbabile; con lei fuori dalla competizione diventa al contrario probabile.