La giustizia militare sembra proprio un tema faticoso. E adesso quasi si tinge di giallo. La riforma Cartabia (legge 71 del 2022) prevede una decretazione legislativa sull’ordinamento giudiziario militare (vedi qui). Aspettando una decretazione che non si vede, si è deciso di intervenire due volte sul Consiglio della magistratura militare (Cmm), con decreti legge. Per due volte è stata presa una misura che nella giustizia ordinaria farebbe sobbalzare: la proroga della consiliatura in carica, con buona pace dell’alternanza dei componenti diversi da quelli di diritto (vedi qui).
Finalmente, a novembre, il governo ha chiesto al parlamento un parere su uno schema di decreto legislativo (atto 91, XIX legislatura). Il documento segue la delega, con qualcosa in più. Nel Cmm gli eletti passano da due a quattro e, mentre prima lasciavano gli uffici di provenienza, cioè andavano “fuori ruolo”, adesso continuano a lavorare nelle loro sedi; ci sono anche norme di aggiustamento sul lavoro interno del Consiglio. Nelle procure militari arrivano incarichi semidirettivi: i posti di aggiunto.
Si nota, nello schema, anche una deroga alla riforma Cartabia. Per la giustizia ordinaria, la legge ha ripristinato il divieto di attribuire posti direttivi o semidirettivi agli eletti al Csm dopo il mandato, e questo per ben quattro anni. Siccome, per regola generale, al Cmm si applicano le norme del Csm, il divieto si sarebbe esteso alla giustizia castrense; ma ecco la deroga, nello schema: per i magistrati militari il termine è di un anno solo. Questo periodo più breve è stato individuato, dice la relazione illustrativa, “in maniera ragionevole e commisurata alla articolazione e struttura concreta della magistratura militare, con salvaguardia di tutti gli interessi in gioco”. Già, interessi in gioco.
Sullo schema, prima il Cmm ha emesso un parere, poi il Senato e la Camera hanno sentito magistrati, professori, avvocati. Discussioni, domande e risposte, per il massimo approfondimento. Il 19 dicembre scorso, il Senato ha dato parere favorevole, aggiungendo una proposta: che gli eletti, come nel Csm, siano in misura paritaria giudicanti e requirenti. La cosa, bruttissima per la giustizia ordinaria, per il Cmm è anche assurda: i magistrati ordinari sono diecimila, quelli militari cinquantotto. Comunque il passo avanti c’è stato: il Senato si è espresso.
E la Camera? Doveva dare il parere entro il 7 gennaio. Che succede? “Repubblica” (vedi qui) scrive che “sembra consumarsi uno scontro interno agli stessi magistrati, ma anche a Palazzo Chigi e nel centrodestra”, e fa il nome di un magistrato militare, Gabriele Casalena, oggi vicecapo del dipartimento Affari giuridici e legislativi della presidenza del Consiglio. L’ipotesi controversa sarebbe di escludere dal Cmm il procuratore generale militare e il presidente della Cassazione, che di diritto ne hanno sempre fatto parte. Al momento non è possibile districare il garbuglio. Intanto non c’è il parere della Camera, non c’è neanche il decreto legislativo e si avvicina la scadenza della consiliatura, già due volte prorogata.
Comunque stiano le cose, tutto il lavoro sulla normativa è stato condizionato negativamente dalla ristrettezza iniziale dello schema e dalla visuale limitata delle discussioni successive. In realtà, la delega contenuta nella legge Cartabia è di ampio respiro, perché riguarda sia il Cmm sia lo stato giuridico dei magistrati militari. Invece, nel modo in cui il governo la sta esercitando, per ora, e nelle discussioni sullo schema, c’è una sopravvalutazione del tema del “fuori ruolo” per gli eletti. Nell’insieme, lo schema, da un lato, tratta coi guanti di velluto i consiglieri del Cmm, riducendo notevolmente la dura preclusione che limita, dopo il mandato, la carriera dei magistrati ordinari; dall’altro, non contiene nulla, al di fuori della composizione del Cmm, che promuova l’indipendenza dei magistrati militari: l’indipendenza, cioè, non solo dei componenti del Consiglio ma di tutti.
Eppure, nel 2022, è stato istituito un gruppo di studio per allineare l’ordinamento giudiziario militare alla riforma di quello ordinario (Gruppo di studio Corradino). E all’interno dell’Associazione dei magistrati militari è stato proposto di intervenire su vari temi: libertà di associazionismo trasparente, divieto di associazioni segrete e massoneria; divieto di incarichi extra retribuiti, specialmente nella giustizia sportiva; possibilità di incarichi di insegnamento solo in scuole militari o strutture pubbliche, con obbligo di versamento di parte dei guadagni per gli orfani dei militari caduti in servizio; cautele sugli effetti dei vincoli familiari e sentimentali fra magistrati nell’ambiente di lavoro; adeguate istruzioni agli ufficiali, prima di entrare nei collegi giudicanti, sulle loro prerogative di indipendenza e segretezza, anche rispetto ai superiori.
Nello schema di decreto non è entrato nulla di tutto questo. Poi le Camere hanno sentito sei magistrati militari, cioè un decimo della struttura – è come se per legiferare sui magistrati ordinari se ne sentisse un migliaio –, e questi temi non sono stati trattati neanche nelle audizioni. Per esempio, sugli incarichi: i magistrati militari guadagnano bene e in Italia milioni di persone sono in povertà, anche fra chi lavora; ma né gli incarichi-extra retribuiti, né la rinuncia a un po’ di quei guadagni, sono entrati nello schema o nel dibattito parlamentare. La riforma ordinamentale della giustizia castrense parte debole. Il suo esordio, poi, non consiglia di attribuire la giurisdizione sui crimini internazionali ai tribunali militari; e quest’altro tema, già di suo, è controverso da tempo (vedi qui). C’è da sperare che altri decreti legislativi realizzino meglio l’indipendenza dei magistrati militari, prima che la delega scada. Le occasioni non vanno sprecate.