Loris Scarpa, il governo ha convocato i sindacati per domani, 20 dicembre. Che cosa vi aspettate? Il segretario generale della Fiom, Michele De Palma, ha detto che non vi muoverete da palazzo Chigi finché non ci sarà una risposta. Che cosa si può fare?
La prima cosa da dire è che ci aspettiamo dal governo una scelta chiara: ci devono far sapere come vogliono comportarsi nell’assemblea dei soci fissata per venerdì 22. Non sono più accettabili rinvii. Non c’è più tempo, le fabbriche si stanno consumando, la situazione degli stabilimenti centrali e di tutto l’indotto è diventata intollerabile. Il governo ci comunichi la sua decisione. Per quel che ci riguarda, noi non stiamo chiedendo la luna o di fare chissà quale rivoluzione. Chiediamo l’applicazione della normativa esistente e degli accordi, di fronte a una palese inadempienza del socio privato. Chiediamo, cioè, che lo Stato salga in maggioranza nella gestione dell’azienda. Non sono idee strane, ma ciò che prevedono le norme. Significherebbe una gestione dell’azienda: lo Stato diventa maggioranza in quanto già oggi possiede più del 30% del capitale. Siamo alla svolta decisiva in un momento in cui la produzione di acciaio è strategica più che mai. Per non parlare poi della questione occupazionale. Ci sono diecimila lavoratori interessati a queste produzioni direttamente, più un indotto di ottomila persone. E le Acciaierie d’Italia, ex Ilva, non sono solo Taranto. Ci sono anche gli stabilimenti di Genova, Novi Ligure, Marghera, Padova, Milano, Paderno, Racconigi (Cuneo), più un piccolo sito a Salerno.
La soluzione che proponete viene però descritta come una scelta radicale di politica economica: l’ingresso dello Stato. Una nuova statalizzazione? E in quale rapporto con il capitale privato?
In tutto il mondo la produzione di acciaio ha capitale pubblico esegue strategie governative precise, in tutta Europa, e anche negli Stati Uniti, in Cina, e perfino in Ucraina. Il capitale pubblico interviene direttamente nella siderurgia, perché continua a essere un settore strategico, e il fabbisogno di acciaio in tutte le sue tipologie è in crescita. Ma stanno cambiando gli equilibri tra chi lo produce e chi lo consuma, mentre l’Unione europea subisce le peggiori ripercussioni. I segnali di una inversione di tendenza nel rapporto tra capitali pubblici e capitali privati sono chiari. Anche ArcelorMittal, in Europa,ha fatto capire le sue intenzioni di concentrarsi sull’India, è un segnale inequivocabile. Perfino IndustriAll Europe chiede ai governi che non vengano dati ulteriori fondi pubblici ad ArcelorMittal, perché non investe e non rispetta gli accordi. Le guerre in corso hanno accelerato i processi, ma già prima della pandemia avevamo visto forti ripercussioni nell’automotive legati alla transizione energetica, poi c’è stata la pandemia che ha cambiato i paradigmi, e oggi assistiamo a nuova forte domanda di acciaio. Le guerre contribuiscono a cambiare gli equilibri mondiali. La Cina, per esempio, è diventata il primo consumatore di rottame (con cui si produce acciaio). Si alzano così i prezzi in Europa, perché tutti si accaparrano il rottame, tutti lo cercano ed è diventato più scarso. Anche l’Italia avrà un incremento della produzione. Ma nel frattempo noi vediamo solo un ampio uso di cassa integrazione in tutte le acciaierie. Importiamo ed esportiamo, e l’Ilva rimarrà strategica, è il più grande produttore in Europa, può fare la differenza. Stiamo però assistendo al declino, perché soprattutto a Taranto (dopo la privatizzazione dell’Italsider) non si sono mai fatti gli investimenti e gli stabilimenti non hanno alcuna manutenzione, mettendo sempre a rischio la vita dei lavoratori. Aumenta il rischio di incidenti mortali – e naturalmente l’inquinamento. Siamo al paradosso che Taranto, pur producendo molto meno rispetto al passato, inquina di più. I problemi ambientali sono ancora più forti. Per questo è necessaria, non più rimandabile, una vera svolta. I soldi ci sono, e sono capitali pubblici. E ci sono poi i fondi legati ai fondi europei, che vengono pagati con le tasse dei cittadini, anche degli italiani.
Si possono citare esempi di riconversione industriale nel campo dell’acciaio? Ovvero: si può oggi produrre acciaio senza inquinare e superare la contrapposizione tra difesa del posto di lavoro e tutela della salute?
Noi siamo in questa situazione per la totale assenza delle politiche industriali. Dalla privatizzazione dell’Italsider, lo Stato ha delegato tutto al capitale privato: che si arrangino loro, il manovratore non deve disturbare i privati. Ma ci sono le condizioni per invertire questa rotta. In questi giorni, parlando con i lavoratori di Taranto, ci siamo resi conti della realtà tragica: vivere in quell’ambiente senza manutenzioni e interventi di riconversione ha determinato una condizione estrema. Si è creata appunto una situazione molto complicata, ma bisogna trovare una soluzione per riappacificare, farlo assieme, non ci può essere una contrapposizione tra fabbrica e cittadini, tra sindacati e cittadini. Tutto deve partire però dal governo italiano, che può fare tesoro di tanti esempi di riconversione nel nord Europa. In un recente convegno di Legambiente, a Taranto, si è parlato per esempio del caso della Svezia, che ha iniziato a produrre acciaio con idrogeno verde da fonti rinnovabili. Esiste anche un impianto sperimentale, a idrogeno grigio con fonti fossili. Ci sono tanti investimenti in molti Paesi, nuovi investimenti, altre produzioni nel mondo, anche in Germania. L’Italia è la prima per produzione per forno elettrico legato al rottame, e ha quindi bisogno più di altri di un’evoluzione, il rottame non basta, anche perché i semilavorati sono d’importazione. Diventa necessario, non più rimandabile, fare evolvere il sistema siderurgico, con aziende italiane che producono sistemi all’avanguardia. Il settore dell’energia rinnovabile, come l’eolico, è concentrato soprattutto al Sud e deve essere potenziato in modo che la produzione cambi radicalmente. La prima pala eolica offshore sarà inaugurata a febbraio proprio a Taranto. Insomma, è necessario mettere tutto assieme: tecnologie e risorse. Anche se la questione è ciclica, siamo ora davvero a un momento di svolta. Basta approcci ideologici. Bisogna scegliere per il bene del Paese.