Il waterfront genovese (di cui abbiamo dato ragione su queste pagine, vedi qui), fortemente voluto dal sindaco Marco Bucci, potrebbe avere un suo doppio in tono minore a Savona. Il “modello frontemare” ha un suo appeal, suscita interessi di vario genere ed è ripetibile. Sul finire di novembre, è stato infatti presentato ufficialmente, alla presenza del presidente Giovanni Toti e del viceministro alle Infrastrutture, Edoardo Rixi, il masterplan della trasformazione del “frontemare” di levante, a opera degli architetti di “One Works”, Ana Paez e Francesco Vitetta, ed è stato firmato un accordo che stanzia i primi venti milioni di finanziamento. Da tempo, si parlava della valorizzazione e riqualificazione di questi spazi, in nome dell’immancabile “sviluppo sostenibile” del territorio savonese e delle attività del suo porto.
Il sindaco Marco Russo e il commissario straordinario alle attività portuali, Paolo Piacenza, hanno presentato in pompa magna un progetto unitario che dovrebbe “valorizzare” una vasta area, dalla Torretta di Savona alla Passeggiata degli artisti di Albissola Marina. Non si tratta di una novità assoluta, dato che esisteva un progetto analogo, presentato già nel maggio 2017, e realizzato dallo studio di architettura 5+1AA. Il nuovo progetto pare più attento del precedente ai dettagli, mescolando abilmente aspetti di interesse pubblico (creazione di una piazza-anfiteatro per eventi, introduzione di modesti percorsi ciclo-pedonali, razionalizzazione degli snodi infrastrutturali), con altri più marcatamente turistico-speculativi: i consueti parcheggi, i posti barca, un porticciolo per yacht da trenta metri, con ristorante e spazi per sport del mare annessi, e svariate attività commerciali. Un mix che pare funzionare: non a caso il commissario straordinario Piacenza, nel suo intervento, ha giustificato l’operazione insistendo sulla necessità di “creare nuovi spazi pubblici, connettere città e mare riportando i cittadini a contatto con l’acqua; valorizzare la storia integrando il nuovo fronte mare con i riferimenti storici presenti”.
Sintomatiche, e al tempo stesso programmatiche, anche le dichiarazioni di Toti, che evidenziano il legame non solo ideale ma materiale con quanto si sta facendo a Genova. Così si è espresso il presidente: “Guardiamo al mare come risorsa e bellezza per il territorio, come frontiera di interscambio marittimo e sviluppo del Nordovest, di cui la Liguria è punto di riferimento. Con questa nuova alleanza porto-città […] portiamo avanti anche a Savona la progettazione dei ‘waterfront’ delle principali città liguri”. E ha proseguito sottolineando enfaticamente che “come dimostra l’esempio di Genova, la riqualificazione paesaggistica ha un valore economico e turistico di particolare rilievo, perché unirebbe Savona, capoluogo di provincia, ai comuni del Levante savonese favorendo gli spostamenti dei flussi di merci e persone”.
Si profila forse un disegno a livello regionale, in cui i diversi “frontemare” delle città costiere divengono elemento di attrattività per il turismo,mentre si propongono di fungere da elemento di sintesi delle attività urbane con quelle portuali. Difficile dire se esista un vero e proprio piano di estensione su scala regionale del modello, cui sarebbe eventualmente sotteso un riorientamento complessivo delle attività economiche della regione in chiave marcatamente turistica; e forse è sbagliato attribuire intenzionalità che esistono solo a parole, scambiando per una visione generale quel che potrebbe essere unicamente il frutto di interessi parziali e locali. In ogni caso, il tema è tornato anche nell’intervento del sindaco, Marco Russo, secondo cui si è trattato di “una giornata molto importante per la città di Savona e per tutti i Comuni di ambito portuale. Il masterplan rappresenta finalmente il disegno organico di una porzione strategica che è la porta di ingresso alla città, ma è anche simbolo di un passato industriale e portuale che poi si è trasformato in area di degrado. Questo disegno, finalmente, potrà simboleggiare il rilancio della città insieme al suo porto”.
Per il momento non si sono levate in città voci che si oppongano, salvo alcuni rilievi marcatamente tecnici da parte dei verdi locali. Un freno al progetto, in origine ancora più ambizioso, è venuto dalla Sovrintendenza alle belle arti, che ha posto un vincolo sulle vecchie funivie, ritenute elementi di archeologia industriale, che si pensava di smantellare e ora dovrebbero invece essere ricomprese nel nuovo progetto, sia pure in una ingentilita versione green da “bosco verticale”.
Tra restituzione ai cittadini del rapporto con l’acqua, redenzione di un’area degradata, creazione di spazi pubblici, e gli immancabili richiami alla sostenibilità, la retorica ufficiale si è dispiegata in tutta la sua gamma, ma tutto il progetto appare discutibile, sovradimensionato rispetto a una città piccola, che ha spazi compressi, schiacciata tra le colline e il mare, e non particolarmente funzionale al quotidiano di chi vive e lavora a Savona.
Inoltre, chi dovrebbe finanziare il tutto? Se avanzeranno risorse dall’accordo da 175 milioni tra Autostrade per l’Italia e il ministero dei Trasporti – per gli interventi su Genova, a seguito del crollo del Morandi, destinate all’area genovese –, è da qui che arriveranno i primi venti milioni. Tra i presenti alla ufficializzazione del masterplan, infatti, c’erano sia l’amministratore delegato di Autostrade, Tomasi, sia una funzionaria di Anas.
Ripensando alle dichiarazioni che hanno accompagnato il masterplan savonese, è impressionante vedere quanta speculazione permettano l’etichetta della sostenibilità e la retorica del degrado, e colpisce, al tempo stesso, la scarsa fantasia di chi promuove questi momenti di “rigenerazione urbana”, che sembrano svilupparsi sempre sulla medesima falsariga, come mostra bene anche il precedente progetto del 2017, in cui erano presenti, in linea di massima, elementi analoghi a quelli attuali. L’unica ricetta per “rivitalizzare” le città sembra quella turistico-commerciale, imitativa di quanto fatto in altri luoghi e altri mondi, spesso avulsa dalle tradizioni e dalla storia locale, utile per lo più unicamente ad alimentare gli affari dei soliti noti ed episodi di valorizzazione immobiliare. Il ricorso alla ristrutturazione dei vari “frontemare” pare dunque l’estrema risorsa per estrarre valore da territori languenti e segnati da una demografia avversa, lungi dal rappresentare, come si vorrebbe, un momento di quel rilancio economico della regione che appare sempre più lontano.