La sinistra, dopo la caduta del Muro di Berlino, provò a svecchiare, a lasciare nell’armadio le vecchie armature ideologiche dei riti del partito del secolo scorso. Fece la sua “Bad Godesberg”. Alcuni dicono che, senza quella svolta, della sinistra che sopravvive si sarebbero già celebrati i funerali. Qualcosa di simile sta avvenendo oggi nel campo della destra. Già pagarono un dazio con il congresso di Fiuggi, che fu un mini-strappo rispetto alla ortodossia fascista del Movimento sociale di Giorgio Almirante, il leader che segnava la continuità storica con la dittatura di Benito Mussolini e con Salò. Ma servì a poco, perché poi il connubio tra il protagonista di Fiuggi, Gianfranco Fini, e Silvio Berlusconi non ebbe a durare. Quello che sta accadendo in queste settimane rappresenta una novità che racconta davvero la crisi della destra, la sua scomposizione, anche se il matrimonio tra Giorgia Meloni e il Paese va ancora a gonfie vele. E forse le ragioni di questo smottamento a destra stanno proprio nel consenso a una dirigente che sta cambiando pelle.
Matteo Salvini è disperato, ha bisogno di riportare su la sua Lega. Dalla vetta del 34,26% dei voti raccolto alle europee del 2019, è precipitata al quasi 9% delle politiche del 2022. Si spiega così l’antieuropeismo, il richiamo alle armi delle coalizioni “primatiste”, anche se poi, all’appuntamento di Firenze dello scorso fine settimana, non si sono presentati né Marine Le Pen né il leader dell’ultradestra alle ultime elezioni olandesi, Geert Wilders. L’attivismo di Salvini sembra un tentativo di risalire la china, anche a costo di rompere con Fratelli d’Italia, di cui vorrebbe provare a riprendersi una parte dei voti. Eccolo, dunque, sparare ad alzo zero contro immigrati e delinquenti, arrivando a difendere il gioielliere appena condannato a diciassette anni per avere ucciso due rapinatori in fuga prendendoli alle spalle. Un’esecuzione.
Si gioca il tutto per tutto Salvini, non capendo che il vento è cambiato. Ci sarà pure una spiegazione del consenso verso Meloni, nonostante la leader di Fratelli d’Italia abbia tradito tutti gli impegni e promesse elettorali. Questa destra di governo assapora la novità di stare nelle stanze del potere e ha chiuso negli armadi della memoria il proprio bagaglio ideologico-culturale. Ha sete di recuperare il tempo perduto. Ricorda il vecchio “manuale Cencelli” e ha bisogno di sfruttare l’occasione per proporsi come classe dirigente del Paese.
Persino la destra che resisteva all’interno della ex Alleanza nazionale, i rautiani di Gianni Alemanno, i generosi ragazzi di Almirante, come Fabio Granata, si sono resi conto della necessità di uno strappo definitivo, collocandosi oltre l’ideologia della destra in quella terra di nessuno occupata oggi da mezza Italia che non va più a votare, insieme con i gruppetti di una sinistra che fu, che vanno verso un futuro senza ideologie, avendo metabolizzato la sconfitta.
Certo, Salvini si agita e prova a giocare vecchie carte che un tempo apparvero vincenti. Ma forse, anche Salvini non è più in sintonia con il Paese, non ne riconosce più gli umori. Fece fortuna, con le ultime europee, grazie a una infornata di militanti e dirigenti della vecchia Alleanza nazionale nel Centro-sud, per presentarsi come un partito nazionale. Oggi si ritrae nelle sue valli padane. Ma si fa fatica a vedere il ministro Giorgetti, o il presidente Zaia, al seguito del ribelle Salvini. La rivoluzione “gentile” ha intanto trasformato la presidente del Consiglio nella più fedele leader dell’Occidente a trazione americana. E, in politica economica, è nel solco dell’ex governatore della Banca centrale europea, Mario Draghi.