Con l’Olanda che scivola verso l’estrema destra, secondo gli ultimissimi risultati elettorali, con l’Italia che vi è già scivolata nel 2022 (complice l’inanità del Partito democratico che non ha saputo mettere su una proposta elettorale credibile), con una Svezia in cui la vecchia socialdemocrazia è solo un ricordo, ci vuole davvero una faccia molto tosta a mettere su un nuovo partito sovranista e populista “di sinistra”, come sta facendo in Germania Sahra Wagenknecht. Si poteva credere che il momento della trovata peronista, che aveva avuto perfino i suoi teorici, per rivitalizzare una politica di sinistra, si fosse esaurito con la pandemia. Questa, infatti, mostrando la necessità della interconnessione tra i Paesi europei per fronteggiare il virus, aveva tolto ossigeno ai sovranismi di qualsiasi colore. Invece no. Quelli “di sinistra” ci riprovano, con la loro panoplia di strumenti adatti a far concorrenza all’estrema destra, che vanno dal rifiuto degli immigrati fino, soprattutto oggi, a uno scetticismo climatico, se non a un negazionismo vero e proprio. Certo, la guerra tra Russia e Ucraina ci ha messo del suo. È vero, per dirne una, che all’Europa, segnatamente alla Germania, questa guerra non conviene per nulla e andrebbe chiusa al più presto con un compromesso – ma non sta qui il nocciolo del problema.
Il populismo cosiddetto di sinistra sbaglia alla radice perché pretende di porsi in concorrenza con le istanze di una destra estrema all’attacco. Ma su quel terreno la destra estrema avrà sempre la meglio. Solo in Spagna (dove pure Podemos, ai suoi inizi, aveva fatta sua una forma di neoperonismo) c’è stata una chiara correzione di tiro, più di recente grazie all’opera di Yolanda Díaz, che ha condotto a una stabile alleanza di sinistra dimostratasi capace di governare. In Francia, il campione Mélenchon sta invece conducendo alla dissoluzione, con i suoi atteggiamenti, la pur precaria unità costruita sotto il nome di Nuova unione popolare ecologica e sociale un anno e mezzo fa. Certo, tra la Spagna e la Francia la differenza è data dalla forza di attrazione esercitata ancora dal Partito socialista nel Paese iberico e ridotta piuttosto ai minimi termini nell’Esagono. Ma si deve anche dire che per una formazione politica non è sufficiente avere un leader capace di catalizzare dei processi elettorali, come indubbiamente Mélenchon; ci vorrebbe che questo leader fosse anche intelligente.
Diversamente, come purtroppo vediamo in Germania in questi mesi, si può arrivare a disfare un partito (sia pure non propriamente glorioso, con una delle sue radici nella vecchia Germania Est organica al blocco sovietico) per avanzare verso il buio più completo. La Linke non meritava questo, nonostante tutto. Avrebbe dovuto cercare, piuttosto, una maggiore convergenza con la Spd per trattenere quest’ultima a sinistra: soprattutto in un momento in cui tutto lascia pensare che il cancelliere Scholz stia andando nella direzione di una nuova intesa con i conservatori democratico-cristiani.
Al contrario, Wagenknecht e il suo gruppo, preparandosi a dare vita a quello che in Italia si chiamerebbe un “partito personale”, palesano una totale incapacità di leggere la politica del proprio Paese, oltre che quella dell’Europa nel suo complesso. Ma le forti agitazioni sindacali viste nei mesi scorsi in Germania inducono a sperare che la base sociale che si prepara a esprimere il proprio voto alle europee del 2024 sappia farsi valere anche elettoralmente – e sia in grado di discernere tra le ambizioni di una microdirigente e la centralità delle organizzazioni politiche di sinistra in una fase di attacco da parte della destra.