Ha sorpreso molti la generica apertura che il cancelliere tedesco, Olaf Scholz, ha espresso nei confronti del piano italiano per la creazione di centri in Albania per accogliere i migranti, vista anche l’ironia con cui la “Süddeutsche Zeitung”, da sempre vicina alla Spd, aveva trattato la questione parlando, a piena pagina, di “Ruanda sull’Adriatico”. Eppure, a margine del congresso socialista europeo di Malaga, sabato scorso Scholz ha sottolineato che l’Albania è in fondo un Paese candidato all’adesione all’Unione europea: “In questo senso, stiamo davvero parlando di come possiamo risolvere sfide e problemi insieme nella famiglia europea”, ha aggiunto. Per questo gli accordi italo-albanesi sarebbero, a suo avviso, potenzialmente plausibili, sempre nel rispetto delle normative europee. “Seguiremo tutti da vicino la questione”, ha dichiarato Scholz, che ha poi insistito sul fatto che l’Unione dovrebbe portare a termine la riforma della legge europea sull’asilo prima della fine di questa legislatura del parlamento europeo. E questo sia per una migliore protezione delle frontiere sia per l’attivazione di un più efficace meccanismo di ridistribuzione dei rifugiati tra gli Stati dell’Unione.
In realtà, l’uscita del cancelliere non sorprende più di tanto, e il possibilismo di Scholz deriva direttamente dagli sviluppi della politica interna tedesca. Giusto qualche giorno prima delle dichiarazioni di Malaga, martedì 6 novembre, Scholz aveva concluso un burrascoso e lunghissimo vertice tra il governo federale e i governatori dei sedici Länder, che aveva proprio la questione migratoria al suo centro. Alla conclusione del vertice, sono state concordate nuove e più severe misure per arginare l’elevato numero di migranti che affluiscono nella Repubblica federale, ed è stato raggiunto un discutibile compromesso su una questione che è diventata un enorme problema politico per il governo e un tema scottante per la società tedesca.
Le nuove misure comprendono l’accelerazione delle procedure di asilo, la limitazione dei sussidi per i richiedenti e maggiori aiuti finanziari da parte del governo federale agli Stati e alle comunità locali che si occupano della gestione materiale dell’afflusso. Parlando, dopo un incontro notturno durato diverse ore, martedì 6 mattina, Scholz ha definito l’accordo “un momento storico” per il raggiungimento dell’“obiettivo comune di frenare l’immigrazione irregolare” – il che dimostra quanto il tema sia diventato un peso per il governo.
L’accordo giunge dopo una intensificazione, nelle ultime settimane, delle attività governative in campo migratorio, tra cui una legislazione per rendere più semplice la deportazione dei richiedenti asilo non accolti, inasprire le pene per i passeurs, consentire ai richiedenti asilo di iniziare a lavorare in tempi brevi e introdurre controlli temporanei alle frontiere polacche, ceche e svizzere. È stato concordato, inoltre, di modificare il sistema di finanziamento dei costi per i richiedenti asilo. A partire dal prossimo anno, il governo federale pagherà una somma forfettaria annuale di 7.500 euro per ogni richiedente, e non più una somma totale annuale di circa 3,7 miliardi di euro. I richiedenti asilo riceveranno almeno una parte delle loro prestazioni sotto forma di voucher, da spendere nei negozi e credito su una carta prepagata in luogo dei contanti. Scholz ha definito la riforma una “transizione verso un sistema che respira”. È interessante e chiarificatore, rispetto alle dichiarazioni di Malaga, che alcuni governatori dei Länder avevano chiesto l’introduzione di un nuovo sistema di procedure di asilo da collocarsi al di fuori della Germania, per evitare che i migranti arrivino direttamente nel Paese; ma la misura non è passata, anche se il governo ha dichiarato di volere esaminare la possibilità di spostare le procedure al di fuori dell’Unione europea.
Tuttavia, il documento scaturito dall’accordo segna una svolta che appare potenzialmente fatale. Il fatto che la parola “diritti umani” non sia neppure menzionata in un pacchetto di diciassette pagine di risoluzioni su come trattare le persone provenienti da Stati ingiusti, da regioni in guerra e da zone di povertà estrema, dice molto circa una prospettiva pericolosamente cambiata: il Paese sta per dire addio allo spirito del Grundgesetz, la legge costituzionale elaborata dopo la guerra, ispirata a criteri di umanitarismo secondo cui la Germania avrebbe dovuto essere e rimanere per sempre un luogo che garantisce protezione alle persone in pericolo, perché la dignità di ciascuno è inviolabile.
D’altro canto, sull’immigrazione la stessa “coalizione semaforo” è in difficoltà da tempo: il patto recentemente siglato tra i liberali e i cristiano-democratici sul contenimento dei flussi migratori è un chiaro avviso agli altri due membri della coalizione. Di recente, ci sono stati cauti tentativi di riavvicinamento anche tra i socialdemocratici e i cristiano-democratici: Scholz e il capogruppo parlamentare della Cdu-Csu, Friedrich Merz, si sono incontrati per discutere della questione. Si era parlato addirittura di uno storico “Patto per la Germania sull’immigrazione” da concordarsi, che però non si è concretizzato, e Merz ha annullato per il momento ulteriori colloqui. Ma voci critiche, all’interno della stessa Spd, sostengono che sia ormai lo stesso Merz, e non Scholz, a dettare la linea del governo in ambito migratorio.
Dietro questa brusca marcia indietro di una politica tedesca finora ispirata, in linea di massima, all’accoglienza, c’è certamente lo spauracchio della crescita dell’estrema destra di Alternative für Deutschland, che i sondaggi danno addirittura secondo partito alle prossime europee, e che continua a guadagnare consensi a Est, mentre si preparano le amministrative del 2024 in Turingia, Sassonia e Brandeburgo. Il pacchetto delle nuove misure concordate non servirà certo a frenare le domande di asilo, dato che molte delle misure appaiono scarsamente efficaci e genericamente definite; ed è probabile che non si ottenga molto nel breve termine, a meno che non si compromettano ulteriormente gli standard costituzionali. Ma il segnale che si vuole mandare all’opinione pubblica appare del tutto sbagliato. Il rischio è quello di rallentare o addirittura invertire processi di integrazione di persone destinate, in ogni caso, a rimanere in Germania in modo permanente. Questo perché l’inasprimento della normativa renderà anche più difficile l’accesso all’assistenza e l’integrazione nel mercato del lavoro – la cosa più sbagliata da fare, se si guarda alla carenza di manodopera. E significa che i richiedenti asilo dovranno a lungo avere servizi sanitari più scadenti, dato che, anche in questo ambito, si prevedono restrizioni.
I costi che ne deriveranno per la società sono enormi, avvertono gli esperti. Tuttavia non vengono recepiti da una polemica anti-immigrazione che appare ormai fuori controllo. Il fatto che il miglioramento delle pratiche di ricongiungimento familiare per i rifugiati riconosciuti con lo status di protezione sussidiaria, promesso nel programma della “coalizione semaforo”, sia stato ora cancellato ne è un’amara prova. Si tratta di un’occasione deliberatamente mancata, che poteva aprire una via d’immigrazione legale. L’umanitarismo come principio ispiratore della politica postbellica, che ancora qua e là traspariva al tempo della crisi siriana, è stato messo da parte; mentre la destabilizzazione e l’emotività nella società tedesca continuano a crescere. Ma fare della Germania un Paese meno attraente per i migranti non pare la soluzione.
Questo il clima e l’orizzonte di fondo in cui ha trovato spazio nel dibattito tra governo e Länder la possibilità di spostare le procedure di asilo in Paesi terzi. Come accennavamo nell’articolo precedente (vedi qui), il fascino discreto della deportazione e delle soluzioni facili alla questione migratoria sembra affermarsi ormai in tutta Europa, cancellando pressoché completamente un’ipotesi di soluzione progressista e unitaria. La “esternalizzazione” della questione migratoria, demandata ai singoli Paesi e ad accordi ad hoc, se dovesse concretizzarsi, non promette nulla di buono. E tuttavia in questo ambito l’Unione europea si gioca alcune delle ragioni della sua stessa storia ed esistenza.