Nella notte (ora italiana) tra il 12 e il 13 novembre, il ministro dell’Economia argentino e candidato alla presidenza per l’Unión por la Patria, Sergio Massa, e Javier Milei (La libertad avanza) hanno incrociato le lame per l’ultima volta nella Facoltà di Diritto di Buenos Aires, per il terzo incontro organizzato dalla Camera nazionale elettorale in vista del ballottaggio di domenica 19 novembre. Sei i temi su cui Massa e Milei erano chiamati a confrontarsi: economia, politica estera, educazione e salute, lavoro, sicurezza, diritti umani e convivenza democratica. La formula del dibattito prevedeva, dopo un minuto di presentazione da parte di ogni candidato, blocchi di dodici minuti durante i quali i due candidati, che potevano interrompersi, sono stati chiamati a discutere dei sei assi tematici.
Secondo la maggioranza dei commentatori, Sergio Massa, ieri sera, ha avuto la meglio su Javier Milei, per quanto rimanga il dubbio sugli effetti che il dibattito potrebbe avere sugli elettori, soprattutto tra coloro che ancora non hanno deciso come votare al ballottaggio. In termini generali, Massa si è mostrato più convincente riuscendo a prevalere soprattutto nella prima parte, che per lui, ministro dell’Economia di un governo che si trova ad affrontare un’inflazione del 138% annuo e un 40% di popolazione in povertà, era certamente la più difficile. Nonostante ciò, pure su quel terreno insidioso, il candidato peronista è riuscito a bombardare Javier Milei, economista di professione e candidato le cui ricette economiche hanno fatto la differenza, con una serie di domande dirette, costringendo l’avversario a rispondere.
Massa, che dopo aver flirtato con il kirchnerismo – versione di sinistra del peronismo – si è autodefinito di centro, proponendo un governo di unità nazionale in caso di vittoria, ha così potuto evitare di essere inchiodato al banco degli imputati per rispondere dei disastri dell’economia argentina, di cui lo schieramento che lo sostiene porta, ovviamente, più di qualche responsabilità. Per quanto, nella narrazione della maggioranza che governa l’Argentina, tutte le colpe debbano essere ascritte all’ex presidente Mauricio Macri e al suo scellerato prestito con il Fondo monetario internazionale, causa di tutti i mali di cui il Paese sudamericano attualmente soffre. Sfruttando la sua abilità, maturata in trent’anni di attività politica, ha fatto apparire Milei un principiante chiamato a rispondere alle sue incalzanti domande, senza però mai riuscire a fargli perdere le staffe: obiettivo al quale Massa di sicuro tendeva, nella speranza di permettere agli spettatori di toccare con mano il carattere instabile del suo avversario.
In palio c’era non tanto chi ha già deciso chi votare tra i due contendenti, quanto quella percentuale di elettori che, al primo turno, hanno preferito Patricia Bullrich di Juntos por el cambio. Come si ricorderà, all’indomani del 22 ottobre, Bullrich – officiante l’ex presidente Mauricio Macri – è convolata a nozze con il candidato di estrema destra. Una decisione che ha fatto barcollare pericolosamente lo schieramento della destra tradizionale, provocando la presa di distanza dei radicali, che hanno dichiarato che mai e poi mai avrebbero potuto votare un candidato come Milei. E la netta presa di posizione contraria di Horacio Rodríguez Larreta, ex vice di Bullrich nel binomio della candidatura presidenziale, nonché ex sindaco di Buenos Aires. Oltre a ciò, i discorsi dei due candidati dovevano anche conquistare quel 6,79% di voti ottenuti dal peronista ribelle Juan Schiaretti.
Difficile dire se il confronto di ieri porterà qualcosa in termini di voti a Massa o a Milei. Più facile, invece, che la maggiore esperienza politica e capacità di condurre il dibattito dimostrate dal primo spingano coloro che erano vicini al voto in bianco, o all’astensione, a confermare la loro scelta, sottraendo preziosi consensi al secondo, dato leggermente in vantaggio dai sondaggi, anche se in un potenziale pareggio tecnico.
Milei ha risposto in un modo che, abituati ai suoi comportamenti autoritari e alla sua instabilità emotiva, sono apparsi un po’ sottotono. Anche se la sua condotta ha confermato la scelta maturata dopo l’accordo con Bullrich e Macri di abbassare il volume. Cosa che gli è costata la critica di una parte dei suoi sostenitori, che preferivano il Milei che, presentando il suo programma, imbracciava la motosega. Si è visto, invece, un Milei che, più che proporre un nuovo radioso avvenire finalmente liberato dai ladri della casta, cui a pieno titolo appartiene Sergio Massa, è stato costretto a rispondere con un sì o con un no alle incalzanti domande del suo avversario per due ore, durante le quali il ministro dell’Economia ha puntato il dito sulle contraddizioni dell’avversario, costringendolo a difendersi per la maggior parte del tempo. Milei ha cercato di contrattaccare definendo Massa un bugiardo che fa parte della casta che “ha impoverito il Paese”, mentre, sulla scia di Trump e Bolsonaro, ha insinuato che domenica prossima l’Argentina corre il pericolo di una possibile frode.
Massa si è concentrato sui cambiamenti di opinione del suo rivale, che nella campagna per il ballottaggio ha abbandonato proposte come il libero porto d’armi, la fine degli aiuti sociali o la fine dell’istruzione pubblica. E ha toccato temi cari a Milei, come quello della privatizzazione del sistema pensionistico, tralasciando invece di approfondire la questione dei diritti umani, su cui avrebbe forse potuto approfittare della posizione negazionista (circa i crimini della dittatura argentina degli anni Settanta) sostenuta da Victoria Villaruel, vice di Milei.
Anche quando hanno affrontato il tema della sicurezza, Massa, che da anni predica la mano dura contro il crimine, è sembrato avere la meglio. E a Milei che affermava che quando lo Stato si occupa di sicurezza “come tutto ciò che lo Stato fa lo fa male, l’Argentina è un bagno di sangue. Non crediamo nella logica che il criminale è una vittima”, Massa ha detto di essere contento di essere finalmente d’accordo con Milei su qualcosa. E ha vantato i suoi risultati positivi nella lotta alla criminalità quando era sindaco di Tigre, il comune della periferia di Buenos Aires, tra il 2007 e il 2013.
Milei ha confermato che sosterrà le sue due principali proposte di campagna in materia economica: la dollarizzazione dell’economia e la chiusura della Banca centrale, che l’accordo con Macri e Bullrich, dopo il primo turno, sembrava avere messo in discussione. Bombardato da Massa, non ha avuto problemi a ribadire il suo sostegno al primo ministro britannico durante la guerra delle Malvinas. Una posizione che, recentemente, gli è costata critiche nel suo partito e nei social network. “Milei, non hai vergogna, lodare la Thatcher è il peggiore dei tradimenti che un argentino possa immaginare. Non capisco come sia stato possibile che un traditore e ritardato come te abbia potuto diventare candidato alla presidenza del nostro Paese”, ha scritto un elettore argentino. Mentre un altro ha commentato: “E questo pagliaccio dichiara apertamente il suo amore e la sua ammirazione per la Cagna di Ferro sette giorni prima delle elezioni del 19 novembre?”.
Precedentemente, quando gli era stato chiesto a quali governanti del mondo si sentiva vicino, in un’intervista, Milei, oltre alla premier inglese durante la guerra nelle Falkland, aveva ricordato anche Winston Churchill e Ronald Reagan. Sempre in quella occasione, interrogato su quale sarebbe il suo rapporto con i governi di sinistra, se eletto presidente, aveva detto: “Non ho intenzione di promuovere il commercio e le relazioni con i governi di sinistra. Se la decisione del settore privato è quella di commercializzare e avere legami con loro, è un loro problema, io con i tonti non tratto”. Ieri invece, incredibilmente, Milei non ha quasi fatto cenno alla corruzione, riuscendo a parlare direttamente ai suoi elettori solo alla fine, quando si è rivolto ai giovani, categoria nella quale pesca la maggioranza dei suoi sostenitori. “Ti chiedo se vuoi continuare a sostenere questa casta politica chorra (“ladra”, ndr), parassitaria e corrotta. Ti chiedo se vuoi scegliere tra il populismo che ci affonda o la repubblica. Ecco perché vi offriamo il modello della libertà, che si applica nei Paesi ricchi. La casta ha paura”.
Ciononostante, il candidato di estrema destra alla fine ha perso, dimostrandosi poco avvezzo a sostenere un dibattito di tale livello, ben differente rispetto ai talk show televisivi che lo hanno proiettato sulla scena nazionale. Confermandolo di fatto come un dilettante che ha mancato l’occasione di inchiodare alle sue responsabilità il kirchnerismo, travolto dai fallimenti economici e dalla corruzione. Ma se Milei è apparso perdente alla maggioranza dei commentatori della politica per il suo dilettantismo, bisognerà poi vedere se, agli occhi degli elettori, questa alla fine sarà vista come una pecca e non come un pregio, ovvero come la conferma della sua totale estraneità a quella politica che ha portato il Paese al disastro, e che Milei vorrebbe archiviare una volta per tutte.
Dal canto suo, Massa è apparso solido e professionale, perfettamente a suo agio nei dibattiti grazie alla lunga frequentazione della politica che conta. Se ciò può avere rassicurato una parte degli elettori sulla solidità di una sua guida per i prossimi quattro anni, può anche avere convinto quella parte più tiepida e dubbiosa nei suoi confronti di avere a che fare con l’ennesimo esponente di quella casta che l’elettorato dell’anarco-liberista vorrebbe finalmente prendere a calci nel sedere.
Tutto sommato, per com’è andata, pare più probabile che il dibattito di ieri possa incrementare le schede bianche o l’indecisione. Difficile che possa produrre una spinta negli elettori affinché diano il loro voto a Milei. Qui sta il risultato positivo, se in tal modo può essere definito, portato a casa da Massa, che non ha cercato di convincere chi difficilmente potrebbe esserlo, date le fallimentari politiche del governo peronista. Ma che forse è riuscito a far crescere il dubbio sulle capacità e sulle ricette del suo avversario, in un voto che domenica prossima avrà pur sempre i connotati di un voto “contro”, determinato, com’è, dalla paura. Il 19 novembre capiremo se Massa avrà avuto ragione nella sua scommessa, conquistando, anche solo per un pugno di voti, la presidenza. Grazie a quell’incremento di schede bianche di elettori fino all’ultimo indecisi se votare o meno Milei. Una fetta significativa di elettorato che ha visto probabilmente aumentare i propri dubbi nei confronti del candidato di estrema destra. Un serbatoio di preferenze che, una volta precluso a Milei, potrebbe portare l’ex liberale approdato al peronismo alla Casa Rosada.