Anna, Elisa, Alessia, Erica, Sofia, Irene, Melissa, Keisi, Alida, Arianna, Lorenzo, Dario e tanti altri studenti delle scuole fiorentine, in questi giorni, si sono recati a Campi Bisenzio per aiutare quelle persone che hanno vissuto momenti di angoscia e distruzione a causa delle piogge della scorsa settimana. Bellissima la reazione di moltissime ragazze e moltissimi ragazzi, gesti meravigliosi, gioventù nobile: si sono infilati gli stivali di gomma per iniziare a spalare. I secchi pieni di acqua, i mobili pesanti, il fango fino al bacino non li hanno intimoriti. La natura, benigna o matrigna che sia, non tarda a ricordarci ciò che abbiamo dimenticato, per egoismo o semplice indifferenza. L’Italia non può assuefarsi ai dissesti colposi, dolosi e dolorosi, non può più essere il Paese che li attende come un giudizio universale permanente. Il nostro destino non è aspettare la prossima alluvione, l’ennesima frana o le macerie di un terremoto, il crollo di strade e viadotti della vergogna, ma è prevenire il disastro, presidiare la sicurezza del territorio, la qualità dei progetti e la serietà della loro messa in opera. Per la politica, a ogni livello, sono finiti i margini per bluffare. Non è più il caso. Il gong è suonato per tutti.
Rileggiamo l’enciclica di Francesco, Laudato si’, sulla cura della casa comune, dove vi è un’eccezionale miscela fra i grandi temi della teologia, della scienza, del destino dell’uomo, combinati con la trattazione di questioni ambientali di enorme concretezza. D’altronde, si legge nell’enciclica: “Il clima è un bene comune, di tutti e per tutti. (…) I cambiamenti climatici sono un problema globale con gravi implicazioni ambientali, sociali, economiche, distributive e politiche (…) e costituiscono una delle principali sfide attuali per l’umanità”. È un testo che invita alla mobilitazione generale, come rivoluzionario era il testo a cui il papa si è ispirato: il Cantico delle creature, con il quale Francesco d’Assisi rivolgeva un messaggio di affetto verso il Creato, in un’epoca nella quale la natura era vista come ostile e minacciosa per l’uomo.
È necessario porsi delle domande sullo sfruttamento che l’attuale modello di sviluppo esercita sulle condizioni sociali delle comunità. Possiamo dunque affermare, con rigore scientifico, che homo sapiens sta contribuendo a cambiare il clima del pianeta sul quale vive, e di conseguenza anche la conformazione della sua superficie: non è un fenomeno recente, ma non era mai accaduto in tempi così rapidi e con conseguenze così vaste. Una situazione complessa che si è tradotta in una crisi strutturale profonda, da cui il nostro Paese non riesce a riemergere, irta di contraddizioni e paradossi. Basti pensare alla abnorme e spesso conflittuale produzione normativa che in Italia resta inosservata, salvo le parti che favoriscono la privatizzazione e, in nome della semplificazione, l’abbattimento dei controlli istituzionali, molte volte in deroga al diritto vigente. Uno degli effetti diretti della copertura dei terreni con materiale impermeabile è l’erosione causata dall’acqua, che compromette le funzionalità del suolo e si traduce in dissesto idrogeologico. Se oggi siamo vittime di queste esplosive condizioni meteorologiche, è anche perché abbiamo premuto troppo sull’acceleratore del riscaldamento globale e inserito il freno a mano sulle difese strutturali.
La natura è più grande di noi, perché ci sorprende in guisa di un agente patogeno, uno fra le miriadi di virus che circolano sul pianeta da miliardi di anni, che in poche settimane mette in scacco l’organizzazione sanitaria, sociale ed economica del mondo. La natura è più grande di noi perché è una trama di relazioni che ci avviluppa, ci alimenta e, in certi casi, ci sgomina. La devastazione della biodiversità è connessa al riscaldamento climatico, che a sua volta peggiora tutti i fattori di riduzione della biodiversità. Gli ecosistemi violentati e il traffico di animali aumentano le probabilità di pandemie da zoonosi. L’insicurezza climatica genera instabilità, migranti ambientali e conflitti per le risorse. Anthony Giddens ha scritto che “lo sforzo tecnologico ed economico per scongiurare i cambiamenti del clima potrebbe essere nei prossimi venti anni ciò che l’information technology è stata nei venti precedenti: la forza trainante di un più vasto cambiamento economico e sociale”.
Come rane in un paiolo che non si accorgono di finire lentamente bollite, abbiamo cambiato la geofisiologia della Terra forzando il clima verso il caldo, e adesso dovremmo rapidamente adattarci a un mondo da noi stessi stravolto, ma non lo facciamo, ci attardiamo, cincischiamo su questioni marginali, perché in fondo non vogliamo capire cosa sta succedendo, non lo interiorizziamo, inconsciamente lo rifiutiamo. Certe verità sono scomode perché riguardano qualcosa di grande, di lento, di non lineare: quel qualcosa di potente e imprevedibile che è appunto l’insieme dei processi naturali del terzo pianeta del sistema solare. Per questo, forse, non riusciamo a prevedere, a prendere sul serio i rischi che corriamo, a essere lungimiranti come lo erano i costruttori di cattedrali. Pertanto, ogni volta, ci facciamo cogliere impreparati: da una pandemia, da una guerra, da una siccità, da un’alluvione e da ogni altro disastro ambientale.
Infine, la natura è più grande di noi perché ci fa scoprire ciò che non stavamo affatto cercando. Non solo sappiamo di non sapere, cioè abbiamo gli strumenti intellettuali per capire quanto siamo ignoranti, ma a volte ci accorgiamo che non sapevamo nemmeno di non sapere. Nella storia di un grande Paese, viene il momento in cui si guarda in faccia la realtà, si fa tesoro degli errori del passato, errori di tutti, e si scrive la pagina del futuro. Ma siamo un grande Paese?
*Studentessa del Liceo Galilei di Firenze